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11 gennaio 2006
Il codice di Giuda
Nel Vangelo ritrovato la rivincita dell’apostolo
di Aristide Malnati
Un codice del IV secolo, dal contenuto «esplosivo», rischia di provocare una piccola rivoluzione nell'esegesi del cristianesimo primitivo e di apportare modifiche di non poco conto alla manifestazione storica della religione più praticata al mondo. Si tratta di un manoscritto apparso sul mercato antiquario egiziano all’inizio degli Anni 70, di cui si erano poi perse le tracce, il cui contenuto integrale sta per essere finalmente divulgato. Il documento, conservato per una trentina di pagine (ma in base al contenuto si ritiene ne manchino altrettante), è vergato in copto, vale a dire nell'alfabeto che, ricalcato sulle lettere greche con l'aggiunta di quattro segni, esprimeva la lingua egizia all'epoca del protocristianesimo e che ancora oggi è sopravvissuto nella liturgia della messa cristiana nel paese del Nilo.
Il testo conservato è di difficile lettura e lacunoso: la parte superiore delle pagine è stata strappata, forse perduta in origine, più probabilmente dopo il ritrovamento del manufatto. Tuttavia non vi sono dubbi: l'opera contenuta è il Vangelo di Giuda, un apocrifo del I secolo, di cui fino a oggi si aveva notizia solo da Sant'Ireneo, vescovo di Lione nel II secolo e principale autore del canone neotestamentario.
Il contenuto dello scritto sarà reso noto attorno a Pasqua in un'edizione, con traduzione in inglese, tedesco e francese, coordinata da Rudolph Kasser, il maggiore coptologo al mondo, per conto della Maecenas Foundation for Ancient Art di Basilea e del National Geographic, acquirenti del prezioso reperto. Un'idea generale e assai nebulosa del contenuto era già stata diffusa dagli esperti e informazioni vaghe sono reperibili su Internet, ma il testo completo rimane per ora blindatissimo. Siamo tuttavia riusciti a saperne di più grazie alle rivelazioni dello studioso americano Charles W. Hedrick, che ci ha fornito elementi ben più concreti, in grado di fare luce in modo abbastanza circostanziato sulle parti portanti del testo. Il coptologo statunitense è entrato in possesso delle riproduzioni fotografiche di alcune pagine nelle sue mani durante le vicissitudini trentennali dell'antico manoscritto, prima di approdare nelle mani sicure degli attuali proprietari.
Proprio nei fogli finali, a compendio dell'intera opera, si presenta Giuda come strumento della volontà di Dio nel progetto salvifico che ha visto il sacrificio di Gesù per l'umanità intera. Il tradimento dell'«apostolo maledetto» sarebbe funzionale e necessario alla realizzazione del piano di Dio e dunque senza Giuda non potrebbe esserci la salvezza degli uomini. Ecco che per gli autori di questo Vangelo Giuda è definibile come «eroe» e comunque come «vittima sacrificale» impossibilitata a sottrarsi al proprio destino. Queste prime indiscrezioni sull'ossatura del nuovo Vangelo ben si combinano con il passaggio in cui Sant'Ireneo accenna alla medesima opera (Contro gli eretici, XXXI-1, c. 180): «Essi \ dichiarano che solo Giuda il traditore conosceva la Verità come nessun altro e che per questo ha realizzato il mistero del tradimento, in seguito al quale tutto, in terra e in cielo, rimase sconvolto. Essi hanno dunque prodotto una storia fondata su dette basi e l'hanno chiamata Vangelo di Giuda».
Il Vangelo di Giuda, redatto in greco antico e di cui la copia in nostro possesso è in copto saidico (dialetto diffuso in certe regioni egiziane) e proviene presumibilmente dalla regione di Minya, tra Il Cairo e Luxor, poco più a Nord di Nag Hammadi, dove fu trovata un cospicuo gruppo di testi gnostici alla fine degli anni 40. In questo nómos (dipartimento) dell'Egitto romano era più che altrove attiva un'importante setta gnostica (dal greco gnósis, «conoscenza», e in un'accezione più precisa «conoscenza spirituale»): costoro, sulla base di un'interpretazione dualistica della filosofia platonica, dividevano la realtà in Bene e Male e ritenevano il mondo strumento di espressione e di realizzazione del Male, a cui l'umanità soggiaceva; il Bene invece era presente unicamente in una dimensione trascendente, che si poteva raggiungere unicamente con una vita retta e quasi ascetica.
Per l'applicazione di tesi così rigide alla religione cristiana, gli gnostici furono messi al bando dalla Chiesa ufficiale dopo Costantino; ebbero tuttavia influenza su alcuni movimenti ereticali (a cominciare dal Manicheismo, assai diffuso in Egitto) e in parte sullo stesso Agostino, che nel De civitate Dei distingue tra Città terrestre e Città celeste. In particolare, stando a Hedrick, il Vangelo di Giuda sarebbe opera dei Cainiti, un gruppo interno allo gnosticismo, che identificava nella coppia Caino-Abele il primo esempio di dualismo tra Male e Bene.
Ecco quindi che Giuda assurgerebbe a strumento di salvezza, voluto da Dio, e sarebbe elemento decisivo nel dirimere il Bene dal Male e nel far trionfare il primo. Una pista di un simile ruolo, rifiutato dall'intero movimento gesuano dei primi secoli, sarebbe allusa già nel patronimico: «Iscariota». Non è un onomastico rapportabile ad alcuna radice ebraica né aramaica; è riferibile piuttosto al latino "sicarius", un assassino armato di pugnale che compiere una missione per conto di qualcun altro; il che confermerebbe la lettura del tradimento di Giuda come atto in ottemperanza unicamente alla volontà divina, presente nel nuovo scritto apocrifo.