00 12/04/2012 15:02
Roberto Calvi
Nato nel 1920, era entrato in servizio all'Ambrosiano nel 1946. Alla fine degli anni '60 aveva conosciuto il "banchiere della mafia" Michele Sindona, vicino ad Umberto Ortolani, il numero due della P2, e le relazioni d'affari tra i due erano divenute fiorenti.

Nel 1971 Calvi diventò direttore generale del Banco Ambrosiano. Sindona lo mise in contatto con monsignor Marcinkus, fatto da Paolo VI presidente dell'Istituto per le opere religiose, e con Licio Gelli, capo della P2. Nel 1975 Calvi fu affiliato alla P2 e venne eletto presidente del consiglio d'amministrazione dell'Ambrosiano.

Così Calvi, Sindona e Marcinkus fondarono in società una banca nel paradiso fiscale delle Bahamas, la Cisalpine Overseas Bank., per sottrarsi al controllo delle autorità monetarie italiane: alle imprese del trio partecipavano la massoneria, i servizi segreti e la mafia.

Il Banco Ambrosiano era nato nel 1893 come istituto bancario cattolico. Dagli anni '70 fino al crac del 1983 fu il maggiore strumento nazionale di riciclaggio di denaro sporco, proveniente dalla mafia, dalla P2, dai servizi segreti deviati, dai traffici illeciti di faccendieri, dai politici.

Calvi fece di tutto per espandere l'attività della banca all'estero (Sudamerica, Cina, Svizzera, Bahamas), trasferendo cifre astronomiche su conti segreti (Licio Gelli, Pippo Calò, Francesco Pazienza, Flavio Carboni, Umberto Ortolani), operando scalate azionarie e tentando di acquistare quotidiani (p.es. il Corriere della Sera nel 1976). (Flavio Carboni era stato un piccolo imprenditore sardo legato ad ambienti politici della sinistra Dc, amico di Armando Corona, repubblicano e Gran Maestro della Massoneria, socio del Gruppo editoriale l'Espresso; era bene introdotto in alcuni uffici vaticani e rappresentò il ponte tra Roberto Calvi, Vaticano e politica. Carboni conobbe Calvi in Sardegna nel 1981 e riuscì presto a conquistare la fiducia del banchiere, mettendogli a disposizione le sue preziose conoscenze al governo, con in testa un sottosegretario, democristiano e anche lui sardo, Giuseppe Pisanu).

Nel Lussemburgo ritroviamo Calvi non solamente nelle holding dei gruppo Ambrosiano, ma anche come membro dei consiglio d'amministrazione della Kreclietbank Luxembourg (che occupa, in Cedel, un posto di primo piano). D'altra parte, la principale loggia massonica lussemburghese lo accetta tra le sue fila, mentre rifiuta l'ammissione a Michele Sindona, sapendo che questi era stato condannato in Italia nel 1976 e che era stato arrestato negli Stati Uniti.

Dopo aver riversato vistosi capitali del Banco nelle casse IOR, fidandosi delle promesse che alcuni leader della DC, tra cui anzitutto Andreotti, gli avevano fatto circa l'acquisizione di altri gruppi bancari, Calvi si ritrovò invece ad avere un debito colossale di circa 1,2-1,5 miliardi di dollari (500 miliardi di lire), di cui non è in grado di rendere conto alla Banca d'Italia (ma si pensa che il buco s'aggirasse sui 3000 miliardi di lire).

Intanto nel 1978 vi è un'ispezione effettuata dalla Banca d'Italia all'Ambrosiano.

Dopo la scoperta, nel 1981, della lista degli affiliati alla P2 di Licio Gelli, Calvi venne arrestato per reati valutari e condannato in primo grado. Nell'ufficio di Gelli infatti erano stati trovati documenti sull'export illecito di capitali da parte del Banco e di altri istituti di credito.

Calvi viene arrestato sette giorni dopo l'attentato di piazza San Pietro, il 20 maggio 1981. Il precedente 5 febbraio, in relazione al crac di Michele Sindona, era stato arrestato anche l'amministratore delegato dello IOR, il laico Luigi Mennini.

Il 6 giugno, nel corso di un colloquio in carcere, il presidente dell'Ambrosiano affidò a sua moglie e a sua figlia un biglietto da recapitare in Vaticano con scritto: "Questo processo si chiama Ior"; appena le due donne uscirono dal carcere, Alessandro Mennini (figlio di Luigi Mennini, e dirigente del Banco Ambrosiano) tentò di impossessarsi del biglietto intimando loro di non nominare mai la banca vaticana. Calvi sosteneva infatti che le operazioni valutarie illecite che lo avevano portato in carcere le aveva effettuate per conto della banca papale, dunque voleva essere soccorso dalla Santa Sede.

L'agente massone Francesco Pazienza racconterà che durante la detenzione di Calvi venne mandato da monsignor Marcinkus a Nassau per convincere il figlio del banchiere, Carlo, a desistere dal creare problemi al Vaticano inviando continuamente telex e fax per parlare con il papa o col card. Silvestrini. Marcinkus non era contrario a prestare aiuto a Calvi. Intervenne anche monsignor Cheli da New York che raccomandò al figlio di Calvi di convincere il padre a non rivelare segreti di sorta. (Francesco Pazienza, già stretto collaboratore di Calvi, era diventato nel 1981 un tramite tra Gelli, i servizi segreti italiani e quelli statunitensi).

I "segreti vaticani" che Calvi doveva tacere ai magistrati italiani erano legati, in particolare, a varie società-fantasma (Astolfine Sa, Bellatrix Sa, Belrosa Sa, Erin Sa, Laramie Inc, Starfield Sa), tutte domiciliate nel paradiso fiscale di Panama, e possedute da tre holding: la Utc (United Trading Corporation, proprietà dello IOR e domiciliata a Panama), la Manie e la Zitropo (con sede in Lussemburgo, entrambe partecipate dallo IOR). Le otto società-paravento erano i terminali dei traffici di Calvi e Marcinkus, ultima spiaggia della banca vaticana che sfruttava il Banco Ambrosiano Overseas di Nassau, alle Bahamas, quale "ponte" per ingarbugliare le tracce dei capitali succhiati dalle casseforti del Banco Ambrosiano di Milano e dispersi nel mar dei Caraibi (una parte dei quali rientrava in Europa per finanziare il sindacato polacco Solidarnosc). Era stato proprio su designazione di Calvi che Marcinkus era entrato a far parte del consiglio di amministrazione della consociata estera dell'Ambrosiano alle Bahamas, l'Overseas di Nassau.

Erano in pratica gli strumenti di operazioni finanziarie occulte. Come appureranno i liquidatori dell'Ambrosiano dopo il crac, le varie società-paravento del duo Marcinkus-Calvi al 17 giugno 1982 avevano drenato dal gruppo bancario milanese un miliardo e 188 milioni dì dollari, più 202 milioni di franchi svizzeri, senza che se ne potesse appurare la destinazione finale: una parte certo utilizzata da Calvi e dalla P2, ma un'altra parte - con altrettanta certezza - utilizzata dal banchiere di papa Wojtyla.

Monsignor Marcinkus voleva svincolare al più presto le finanze vaticane dal pericolante partner catto-massone, e recidere ogni legame fra la banca papale e l'Ambrosiano mantenendo segreti i rapporti pregressi. Calvi, da parte sua, contava sul soccorso della banca papale per evitare la bancarotta.

Il dirigente del settore estero del Banco Ambrosiano, Giacomo Botta, dichiarerà ai magistrati milanesi che il dominio dello IOR sul Gruppo del Banco Ambrosiano era reso palese dalla fulminea carriera di Alessandro Mennini [figlio dell'amministratore delegato dello IOR, Luigi], entrato inopinatamente in banca con il grado di vicedirettore; il trasferimento dallo IOR al Gruppo Ambrosiano della Banca Cattolica del Veneto, cui non era seguito cambiamento alcuno nella direzione e nell'organo di amministrazione; il finanziamento cospicuo dello IOR (150 milioni di dollari) che aveva aiutato la neonata società Cisalpine [poi Baol-Banco Ambrosiano Overseas Limited] ad affermarsi come banca; la presenza di monsignor Marcinkus nel consiglio di amministrazione della stessa banca di Nassau; la gelosia con la quale Calvi custodiva e gestiva il proprio esclusivo rapporto con lo IOR; l'appartenenza allo IOR di Ulricor e Rekofinanz, azioniste del Banco Ambrosiano, nonché di quattro società titolari dei pacchetti di azioni del Banco Ambrosiano che la Rizzoli aveva costituito in pegno per un finanziamento ottenuto da Baol.

Il Vaticano era in sostanza il padrone del Banco Ambrosiano, praticamente dalla fine degli anni '70.

Il 20 luglio 1981 il Tribunale di Milano dichiarò Calvi colpevole di frode valutaria, e lo condannò a 4 anni di prigione e a 15 miliardi di lire di multa. Il banchiere catto-massone ottenne la libertà provvisoria in attesa del processo d'appello.

Calvi tornò ai vertici del Banco e cercò, insieme al faccendiere Flavio Carboni, l'aiuto dello IOR. Poche settimane dopo egli si recò in Vaticano, da monsignor Marcinkus, nella sede dello IOR, ove firmò un documento che liberava la banca del Papa e Marcinkus da ogni responsabilità per l'indebitamento delle società panamensi verso il Gruppo Ambrosiano; in cambio, ottenne dallo IOR lettere a garanzia della situazione debitoria di quelle stesse società, con scadenza 30 giugno 1982. Attraverso le lettere di patronage della banca del Papa, e entro quella data, Calvi avrebbe dovuto trovare gli ingenti capitali necessari al salvataggio del suo impero finanziario.

Calvi non voleva perdere la preziosissima partnership della banca vaticana, anzi intendeva renderla organica e ufficiale. Ed essendo ormai bruciati i rapporti con la fazione massonico-curiale, decise di rivolgersi a quella avversa, con l'obiettivo di arrivare a coinvolgere l'Opus Dei. L'interlocutore del banchiere massone fu il cardinale Pietro Palazzini, prefetto della Congregazione per le cause dei santi e caposaldo curiale della fazione opusiana.

Cardinale di Curia dal 1973, da sempre vicinissimo all'Opus Dei, Pietro Palazzini era amico di Camillo Cruciani, alto dirigente della Finmeccanica, fuggito in Messico in seguito allo scandalo Lockheed nel 1976.

Proprio nel periodo della convalescenza di papa Wojtyla, le due opposte fazioni curiali si misero d'accordo per commissariare la Compagnia di Gesù, verso la quale nutrivano entrambe una forte ostilità.

Pochi giorni prima che Wojtyla tornasse in Vaticano, il 29 settembre, la Santa Sede diramò una notizia stupefacente: il presidente della banca vaticana, monsignor Marcinkus, era stato nominato dal Papa convalescente anche pro­presidente della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano; il capo dello IOR e neo-governatore dello Stato vaticano, inoltre, era stato promosso al rango di arcivescovo, in attesa di ricevere la porpora.

La notizia della nuova carica cumulata da Marcinkus (il quale in pratica era divenuto il capo assoluto di tutte le finanze vaticane) suscitò sconcerto nella stessa Curia, soprattutto nel Segretario di Stato il cardinale Casaroli, da tempo ai ferri corti con Marcinkus. A causa di Solidarnosc Wojtyla non poteva fare a meno di Marcinkus: in particolare si dovevano assicurare ingenti finanziamenti alla leadership moderata di Walesa.

La fazione opusiana appoggiava fortemente il sostegno papale a Solidarnosc: per questo accettava che le finanze vaticane restassero nelle mani di monsignor Marcinkus, e che l'arcivescovo americano si facesse carico dei rischiosi finanziamenti segreti a Walesa. Da notare che l'entourage più stretto di Wojtyla era convinto che l'attentato fosse collegato alla sua decisione di elevare l'Opus Dei a Prelatura personale. Tanto che egli accettò una "speciale protezione" opusiana, nella persona del capitano della Guardia svizzera Alois Estermann, nuova guardia del corpo del Pontefice.

Quando in Polonia il governo comunista di Jaruzelski impose lo stato d'assedio per scongiurare l'invasione sovietica e la guerra civile, in Vaticano il cardinale Casaroli, insieme a molti curiali, riteneva il Sommo Pontefice corresponsabile della tragedia polacca, gravida di incognite ben più sanguinose. Si temeva, sopra ogni altra cosa, che emergessero i finanziamenti vaticani a Solidarnosc, e che il sindacato-partito cattolico voluto e sostenuto da Giovanni Paolo II a quel punto sfuggisse al controllo politico papale imboccando la strada dell'insurrezione.

Anche la Loggia P2 - in dissenso dalla fazione massonico-curiale, a maggioranza fautrice dell'Ostpolitik - approvava i finanziamenti "anticomunisti" a Solidarnosc. Al punto che persino una parte dei 7 milioni di dollari fatti affluire nel biennio 1980-81 dalla P2 - tramite l'Ambrosiano - sul conto svizzero "Protezione" a beneficio del politico italiano Bettino Craxi, venne utilizzata per aiuti a Solidarnosc.

Nel dicembre 1981 il finanziere Carlo De Benedetti, da pochi giorni vicepresidente e azionista dell'Ambrosiano (il 18 novembre aveva acquistato per 50 miliardi il 2 per cento del Banco), tentò di appurare con precisione quali rapporti legassero la banca di Calvi e la P2 alla banca del Papa, ma non ottenendo da Calvi alcuna risposta, pretese d'incontrare a Roma, per chiarimenti definitivi, monsignor Achille Silvestrini della Segreteria di Stato vaticana. Il successivo 22 gennaio 1982 De Benedetti, sottoposto a pressioni e minacce, lasciò il Banco Ambrosiano cedendo la propria quota del 2 per cento allo stesso Calvi, per una somma che procurerà al finanziere l'accusa di concorso in bancarotta fraudolenta e una vicenda giudiziaria lunga e tortuosa conclusasi con l'assoluzione.

Con il divenire dello scandalo IOR-Calvi-Ambrosiano, la figura di Marcinkus si faceva sempre più ingombrante per la fazione massonico-curiale, proprio mentre il potere del presidente della banca papale, nominato anche governatore dello Stato vaticano, era aumentato a dismisura. Il cardinale Casaroli intendeva recidere i legami IOR-Ambrosiano mediante una trattativa diplomatica e una transazione finanziaria; monsignor Marcinkus era assolutamente contrario a una simile eventualità, ritenendo che la Santa Sede dovesse limitarsi a negare qualunque responsabilità dello IOR nell'imminente bancarotta dell'Ambrosiano.

Gli echi del contrasto Casaroli-Marcinkus finiranno nelle memorie del massone Francesco Pazienza. L'agente-collaboratore del servizio segreto militare italiano racconterà di essere stato mandato in Vaticano dal capo del Sismi, il generale massone della P2 Giuseppe Santovito, su richiesta della Segreteria di Stato vaticana, per incontrare il braccio destro del cardinale Casaroli, monsignor Pier Luigi Celata, il quale pretendeva la rimozione di Marcinkus dallo IOR, anche per attenuare il potere politico dello stesso Wojtyla sulla curia vaticana. Wojtyla, fin dalle sue prime mosse, dal punto di vista "politico" aveva lasciato intuire, contro la linea diplomatica di Casaroli, che il Vaticano sarebbe andato nella direzione di una linea dura, di scontro frontale con Mosca e i Paesi satelliti.

Quando Pazienza lascia il Sismi per diventare consulente personale di Calvi, su richiesta di quest'ultimo, il motivo di questa collaborazione era il tentativo di coinvolgere l'Opus Dei nell'azionariato del Banco Ambrosiano, facendo pervenire al cardinale Palazzini proposte, documenti e "confidenze" sulle connessioni segrete fra lo IOR e l'Ambrosiano. In pratica, Calvi proponeva alla fazione opusiana di estromettere monsignor Marcinkus dalla presidenza dello IOR, di affidare la banca papale a un fiduciario dell'Opus Dei, e di far rilevare dallo IOR una quota societaria del 10 per cento del Banco Ambrosiano per 1.200 milioni di dollari.

A febbraio del 1982 il cardinale Palazzini diede risposta negativa. Il cardinale Casaroli, interessato a impedire che l'Opus Dei, così ostile ai sovietici e tanto amica dei polacchi di Solidarnosc, non voleva ch'essa mettesse le mani sullo IOR-Banco Ambrosiano. Il Papa la pensava come il cardinale Palazzini, però non voleva problemi con il suo segretario di Stato e men che meno con la fazione massonico-curiale.

Il 30 maggio Roberto Calvi rivolse un estremo appello al cardinale Palazzini perché lo si facesse uscire da una situazione che lo portava alla bancarotta, chiedendo di poter parlare con Wojtyla.

Così Calvi scrisse a papa Wojtyla il 5 giugno 1982: “Santità sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di Sindona…; sono stato io che, su preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti Paesi e associazioni politico-religiose dell’Est e dell’Ovest…; sono stato io in tutto il Centro-Sudamerica che ho coordinato la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filomarxiste; e sono io infine che oggi vengo tradito e abbandonato…“ (citato in Ferruccio Pinotti, Poteri forti, Bur, 2005). Calvi si riferiva ai finanziamenti di alcuni regimi fascisti (Pinochet, Somoza...) e al fatto che aveva contribuito enormemente a distruggere la linea dell'Ostpolitik dell'ala di Casaroli.

Wojtyla il 6 giugno s'incontra invece con Reagan per stabilire ulteriori aiuti al sindacato Solidarnosc, i cui leader erano in carcere. Monsignor Marcinkus si occupa di convogliare al sindacato clandestino anche i finanziamenti Usa, che si appaiavano ai fondi IOR-Ambrosiano. Dell'accordo Wojtyla-Reagan vennero tenuti all'oscuro sia la Segreteria di Stato vaticana, sia il Dipartimento di Stato americano.

Il 12 giugno 1982 Roberto Calvi lascio l'Italia. Quarantottto ore dopo monsignor Marcinkus firmò una lettera di dimissioni dal Consiglio di amministrazione del Banco Ambrosiano Overseas di Nassau.

Il 16 giugno il direttore generale dell'Ambrosiano, Roberto Rosone, si recò in Vaticano, presso la sede dello IOR, avendo saputo che il Banco Ambrosiano Andino aveva elargito grossi finanziamenti allo IOR, ovvero a società ad esso facenti capo e che erano stati garantiti con una serie di pacchetti azionari di ottima immagine, tra cui il 10 per cento circa di azioni del Banco Ambrosiano (circa 5 milioni e 300 mila azioni). Il credito complessivo del Banco Andino si aggirava su un miliardo e 300 milioni circa di dollari Usa. Calvi era convinto di aver trovato finalmente un aiuto concreto.

I responsabili dello IOR erano favorevoli a fare una sorta di transazione, ossia a restituire il puro capitale, senza interesse alcuno. Ma il 17 giugno le autorità monetarie italiane deliberarono la liquidazione coatta del Banco Ambrosiano, che crolla in borsa.

Calvi intanto riceve una lettera da Licio Gelli, il capo della P2, che gli conferma che Finetti e Seigenthaler, indicati come cassieri romani dell'Opus Dei, si stavano occupando per salvare l'Ambrosiano dalla bancarotta.

Calvi si era recato a Londra per ottenere un pacchetto finanziario di salvataggio proveniente dall'Opus Dei (che proprio in quella città aveva il suo quartier generale), ma l'Opus Dei, in cambio dell'aiuto, chiedeva precisi poteri politici in Vaticano, ad esempio nella determinazione della strategia verso i Paesi comunisti e del Terzo mondo. La fazione massonico-curiale di Casaroli, appoggiata da Andreotti, era contraria.

Calvi venne trovato impiccato il 18 giugno 1982 sotto il ponte dei Frati Neri sul Tamigi, in una zona di Londra la cui polizia dipendeva dal duca di Kent, capo della massoneria mondiale. Successivamente il pentito della mafia siculo-americana, F. Marino Mannoia, dirà che a strangolare Calvi fu Di Carlo, su ordine di Pippo Calò. Verrà uccisa anche la sua segretaria personale.

Il 27 novembre, cioè tre mesi dopo l’annuncio della decisione papale, la Congregazione per i vescovi ufficializza la erezione dell'Opus Dei a Prelatura personale del pontefice, la prima nella storia della Chiesa di Roma.

Secondo i calcoli fatti dall'allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta (la cui denuncia sulle collusioni tra IOR e finanza deviata gli costarono un lungo "purgatorio" politico), il Vaticano fu coinvolto nello scandalo per una somma di 1159 milioni di dollari: era il credito di alcune affiliate estere del Banco verso due società dello IOR, con sede in America Latina. Il Vaticano rimborsò anni dopo, al Nuovo Banco Ambrosiano, solo una parte (250 milioni di dollari) della cifra con cui Calvi si era indebitato.

Il 15 ottobre 2003 due pm di Roma – Luca Tescaroli e Maria Monteleone – hanno chiesto il rinvio a giudizio di quattro persone, con l'accusa di omicidio: Giuseppe Calò, Ernesto Diotallevi, Flavio Carboni e Manuela Kleinszig.

Nei giorni in cui Roberto Calvi era a Londra vennero segnalate diverse presenze interessanti: quella di Flavio Carboni e di alcuni camorristi, fra cui Vincenzo Casillo, luogotenente di Raffaele Cutolo, in contatto con i servizi deviati e in particolare col faccendiere Francesco Pazienza. Casillo verrà poi ucciso a Roma in un'auto imbottita di tritolo.

Un altro pentito di mafia, Vincenzo Calcara, per l'omicidio Calvi ha tirato in ballo Giulio Andreotti, elementi deviati dello Stato e dei Servizi, massoneria e ambienti vaticani.




Licio Gelli
I tabulati della loggia massonica Propaganda 2 vengono trovati nel marzo 1981 nella casa di Licio Gelli (ex fascista e repubblichino, collaboratore da sempre dei servizi segreti americani), durante le indagini giudiziarie sul caso Sindona. L'allora presidente del Consiglio, Forlani, si rifiutò di pubblicizzarli: fu la commissione parlamentare Sindona a farlo.

Gli iscritti alla P2 erano 953, ne mancavano 1650. Tutti avevano giurato fedeltà alla massoneria. Il governo Forlani fu costretto a dimettersi, sostituito dal governo Spadolini (1981).

Tra gli iscritti figuravano esponenti politici, giornalisti, autorità civili e militari (soprattutto dei servizi segreti), personaggi del mondo economico e dello spettacolo.

Fu approvata una legge che sancì lo scioglimento della P2 e il divieto di costituire associazioni segrete, soprattutto se a scopo eversivo, come appunto la P2.

La commissione parlamentare d'inchiesta che ha messo in luce l'attività eversiva della P2 era capeggiata dalla democristiana Tina Anselmi (1981-1984). La commissione non riuscirà a scoprire i referenti internazionali della loggia.

Gelli si era iscritto alla massoneria nel 1963 e tre anni dopo il gran maestro Giordano Gamberini l'aveva trasferito a dirigere la loggia Propaganda 2, di cui diventa "maestro venerabile" nel 1975.

La sua loggia ebbe una parte rilevante nel tentativo di colpo di stato del principe Julio Valerio Borghese nel 1970.

Ma la vera strategia della P2 è l'occupazione del sistema politico ed economico attraverso il controllo delle nomine di vertice, in funzione soprattutto anticomunista.

Licio Gelli investiva il denaro dei Corleonesi di Totò Riina nella banca dello IOR in Vaticano, ha detto il pentito Francesco Marino Mannoia.

Quando Gelli viene arrestato a Ginevra, dopo la scoperta dei tabulati, il suo ruolo viene assunto da Francesco Pazienza.

Gelli evade dal carcere di Ginevra nel 1983. Nel 1987 si presenta al palazzo di Giustizia di Ginevra e nel 1988 viene estradato in Italia. Rimane in carcere per due mesi, poi viene rilasciato per motivi di salute.

Quando nel 1988 viene emessa la sentenza sulla strage della stazione di Bologna, Gelli viene condannato a 10 anni per calunnia aggravata.

Di recente ha donato all’archivio di Stato pistoiese la parte “presentabile” dei suoi documenti storici e si è orientato verso posizioni di centro-sinistra. Ha chiesto il ritiro di tutte le basi americane dall'Italia, il ritiro di tutti i nostri soldati dalle cosiddette "missioni di pace", la rinuncia del voto agli italiani all'estero.



Scoppia lo Scandalo P2
IL 20 MAGGIO 1981 SONO PUBBLICATI GLI ELENCHI DELLA LOGGIA MASSONICA DI LICIO GELLI.
L’ITALIA SCOPRE L’ESISTENZA DI UN INQUIETANTE POTERE PARALLELO
AREZZO Il 17 marzo 1981, i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell'ambito di una inchiesta sul presunto rapimento di Michele Sindona, ordinano la perquisizione di Villa Wanda, la residenza di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi, presso Arezzo. Gli agenti della Guardia di Finanza, guidati dal colonnello Bianchi, scoprono una lista di 953 iscritti alla loggia massonica P2 (leggi l'elenco). Tra gli affiliati c’è il comandante generale dello stesso Corpo Orazio Giannini (tessera n. 832). Cinque giorni dopo la magistratura spicca un ordine di cattura a carico di Licio Gelli per violazione dell'art. 257 del codice penale (Spionaggio politico e militare). Il Gran Maestro scappa in Uruguay.



BERLUSCONI, SILVIO
Tessera numero 1816. L’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi è uno degli affiliati alla P2 più noti. A cosa può essergli servita l’iscrizione alla P2? La commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi fece a suo tempo un esempio molto dettagliato. Per le sue prime attività in campo edile, Berlusconi ottiene credito dalla Banca nazionale del lavoro (nei cui vertici ci sono 8 affiliati alla P2) e dal Monte dei Paschi di Siena (il direttore generale Giovanni Cresti è anch’egli piduista). Ferruccio De Lorenzo (affiliato alla P2) acquista per conto dell’Enpam (l’Ente nazionale previdenza e assistenza dei medici italiani, di cui è presidente) due hotel a Segrate e decine di appartamenti di Milano 2. L’Enpam affida poi a Berlusconi anche la gestione del teatro Manzoni di Milano. Gli affiliati alle loggia sono tenuti al sostegno reciproco, a privilegiare l’interesse dei confratelli a qualunque altro principio. Questo avviene in tutte le logge massoniche. Ma la P2 ha un progetto ben più ampio. Molti degli affiliati sono stati protagonisti delle trame più misteriose della stagione dell’eversione e delle stragi. È il caso di Vito Miceli, Gian Adelio Maletti, Antonio Labruna, Giuseppe Santovito, solo per fare qualche nome. In un’intervista all’Indipendente del 1996 Gelli afferma che Berlusconi “ha preso il nostro Piano di rinascita e lo ha copiato quasi tutto”.

CRISI POLITICAIl 20 maggio 1981 il presidente del Consiglio Arnaldo Forlani rende pubblici gli elenchi della P2. Li ha ricevuti quasi due mesi prima, il 25 marzo, dai magistrati Turone e Colombo. Inizialmente sostiene che spetti ai giudici togliere il segreto dagli elenchi. Ma della P2 si parla ormai da tempo e la tensione sul caso sale. Quando rende pubblica la lista, Forlani scatena un terremoto politico. Tra gli affiliati ci sono 2 ministri, 44 parlamentari (di tutti i partiti a parte quello comunista), alti ufficiali dei Carabinieri, dei servizi segreti, il comandante della Guardia di finanza, oltre a moltissimi magistrati, banchieri, imprenditori e giornalisti di primo piano. Forlani si dimette. Al suo posto Sandro Pertini chiama il repubblicano Giovanni Spadolini, primo presidente del Consiglio non democristiano nella storia della Repubblica. Viene varata una commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 presieduta da Tina Anselmi. Il sospetto – più che fondato – è che la loggia di Gelli abbia tramato contro le istituzioni democratiche fino a realizzare un vero e proprio potere parallelo. Il 25 gennaio 1982 una nuova legge scioglie la P2 e vieta le associazioni segrete.

DEMOCRATICA, PIANO DI RINASCITA
È il manifesto programmatico ritrovato tra le carte di Gelli. Punta a una serie di interventi nella politica e nella società per “rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori”. L’informazione ha un ruolo centrale. Va abolito il monopolio della Rai. La tv via cavo deve essere “impiantata a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese”. Devono essere pagati sotto banco giornalisti dei maggiori quotidiani nazionali, in modo da non avere mai contro nessuna voce autorevole. La magistratura deve essere messa sotto il controllo del potere politico. Il ruolo del presidente del Consiglio deve essere rafforzato a spese delle prerogative del Parlamento. I sindacati devono essere resi innocui. Una sorta di golpe bianco, da attuare nel rispetto formale della legalità ma con assoluta intransigenza nei confronti degli oppositori. Attraverso l'indebolimento dei sindacati, il controllo dei giornali e dei politici dei partiti di governo, del Movimento sociale italiano e la distruzione del monopolio Rai, si puntava a un mutamento della repubblica in senso presidenziale, al fine di indebolire l'opposizione di sinistra e impedirne l'ingresso nel governo. È quanto afferma Licio Gelli in un'intervista rilasciata il 5 ottobre del 1980 a Maurizio Costanzo (tessera 1816) sul Corriere della Sera. Leggi il documento integrale del Piano di Rinascita democratica.

EVERSIONE
Golpe o non golpe? Nel 1974 i gruppi che in precedenza avevano pensato a una svolta autoritaria in chiave anticomunista (Leggi Golpe Borghese), optano per una svolta più morbida. Bisogna occupare i gangli della società fino a creare un doppio Stato. La P2 è parte centrale di questo progetto.



FORLANI, ARNALDO
Democristiano delle corrente “Dorotea”, Forlani si dimette da Presidente del Consiglio quando scoppia lo scandalo P2. Gli avversari lo accusano di reticenza per non aver rivelato subito l’esistenza degli elenchi. Dopo un periodo di appannamento, Forlani verrà eletto nel 1989 segretario Dc, carica che aveva già ricoperto dal 1969 al 1973. Negli ultimi anni della Prima Repubblica, formerà con Andreotti e Craxi un’alleanza politica chiamata Caf, dalle iniziali dei tre. Il progetto che lo voleva Presidente della Repubblica sfuma per pochi voti nel 1992. L’anno successivo Forlani sarà travolto da Tangentopoli e abbandonerà la politica.

GELLI, LICIO
Chi è il venerabile maestro della potentissima loggia? Nato a Pistoia nel 1919, fascista repubblichino nella Seconda Guerra Mondiale, Gelli diventa poi collaboratore dei servizi segreti inglesi e americani e agente segreto della Repubblica italiana. Nel 1965 entra nella massoneria. Cinque anni dopo, Lino Salvini, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia (la loggia italiana più potente) gli affida la gestione della Loggia P2. Gelli diventa un personaggio potentissimo. La P2 ha affiliati in Uruguay, Brasile e soprattutto Argentina, dove Gelli arruola nella loggia l’ammiraglio Emilio Massera, capo di Stato maggiore della Marina, Josè Lopez Rega, ministro del Benessere sociale di Juan Domingo Peron, Alberto Vignes, ministro degli Esteri, l’ammiraglio Carlos Alberto Corti e altri militari. Il ruolo della P2 nel golpe argentino del 1976 è determinante. Durante tutti gli anni Settanta Gelli costruisce un impero nemmeno tanto occulto. Dirà: “C’era la fila per venire a parlare con me”. Quando lo scandalo P2 esplode, fugge in Sud America. La magistratura lo accusa di esseri coinvolto in vario modo in reati gravissimi, tutti legati alla P2: omicidio del giornalista Pecorelli, concorso in bancarotta per il crack del Banco Ambrosiano, omicidio del banchiere Roberto Calvi, costituzione di capitali all’estero, cospirazione politica, spionaggio, interesse privato in atti d’ufficio, rivelazione di segreti di Stato, finanziamento di gruppi armati a scopo eversivi, associazione sovversiva con finalità di strage, depistaggio di indagini, calunnia, millantato credito, associazione a delinquere e truffa aggravata. In totale, tra il 1992 e il 1994, sarà condannato a scontare 35 anni di detenzione. Nel 1987, rientrato in Italia, Gelli è prosciolto da ogni accusa penale e civile. Nel maggio 1998 scappa di nuovo dopo la sentenza passata in giudicato che lo condanna a dodici anni di carcere per il fallimento del Banco Ambrosiano: catturato in Spagna cinque mesi dopo, viene estradato in Italia. Oggi vive in libertà in Italia.

IOR
Istituto per le Opere di Religione, la banca centrale della chiesa cattolica romana situata nella Città del Vaticano. Lo Ior è coinvolta nel 1982 nel crack del Banco Ambrosiano, del quale era il suo maggiore azionista. Il capo dello Ior Paul Marcinkus (il “banchiere di Dio”) viene incriminato nel 1982 in Italia come responsabile del fallimento. Va ricordato che il Banco Ambrosiano fu accusato di riciclaggio di denaro della mafia in connessione con la P2. Marcinkus non sarà mai processato in Italia poiché risultava impiegato del Vaticano e quindi immune ai procedimenti penali. La Banca Vaticana non ha mai ammesso le responsabilità per il fallimento del Banco Ambrosiano, ma ha riconosciuto la responsabilità morale e ha pagato 241 milioni di dollari ai creditori. Marcinkus è morto negli Usa nel 2006.

LONGO, PIETRO
È divenuto, suo malgrado, l’immagine del politico piduista. Segretario del Partito Socialdemocratico Italiano (Psdi). Travolto dallo scandalo P2, cederò la segreteria a Franco Nicolazzi. Longo sarà arrestato nel 1993 in piena bufera Tangentopoli.

MASSONERIA
Nasce in Inghilterra nel XVIII secolo come associazione filosofica e filantropica. I suoi fondatori si richiamano alle associazioni dei muratori inglese (Masons Guilds) del XIV secolo. Queste organizzazioni, impegnate nella costruzione di chiese e palazzi nobiliari, avevano un regolamento che vincolava i membri sulle tecniche edili e sui procedimenti lavorativi. Col tempo, queste associazioni diventano organizzazioni morali. La trasformazione definitiva avviene a Londra nel 1717, quando quattro si riuniscono nella “società dei liberi muratori”. Vengono allora codificati i tre gradi di appartenenza: apprendista, compagno e maestro. La massoneria diffonde in Europa e in America le idee illuministiche di tolleranza, cosmopolitismo e fratellanza universale. In Italia arriva nel 1733 nonostante la ferma opposizione della Chiesa cattolica. Nel 1908 si divide nella loggia di Palazzo Giustiniani e la Grande loggia nazionale italiana. Nel 1925 il fascismo mette al bando la massoneria, che torna già dl 1944. Nella seconda metà del Novecento la massoneria riguarda sempre meno la ricerca di solidarietà e sempre più i giochi di potere politico ed economico. Per la legge italiana la massoneria non è illegale; sono invece illegali le logge massoniche segrete (o coperte) come appunto la P2.

PONTE DEI FRATI NERI
Il 18 giugno 1982 a Londra, sotto il Blackfriars bridge, viene trovato impiccato il banchiere italiano Roberto Calvi, iscritto alla P2. Nel 1975 Roberto Calvi era divenuto presidente del Banco Ambrosiano attraverso la creazione di una rete di “scatole vuote”: filiali off shore alle Bahamas, holding in Lussemburgo, società fantasma in America Latina, conti segreti in Svizzera. D’intesa con lo Ior di Marcinkus, crea un impero finanziario che si occupa di riciclaggio di denaro sporco, traffico d’armi e finanziamenti illeciti ai partiti. Nel 1977 la primi crisi. A novembre Michele Sindona (vedi sotto) riempie Milano di manifesti che denunciano presunte irregolarità del Banco Ambrosiano. Sindona si vendica così Calvi, che si era rifiutato di tappare i buchi delle sue banche. Il giudice Emilio Alessandrini (in seguito ucciso dai terroristi rossi di Prima linea) coordina ispezioni che in effetti portano alla luce gravi e diffuse irregolarità del Banco Ambrosiano. Ma scatta la controffensiva: il governatore della Banca d'Italia Paolo Baffi e il capo della vigilanza Mario Sarcinelli, che avevano ordinato le ispezioni all’Ambrosiano, sono accusati dal magistrato Antonio Alibrandi di alcune irregolarità e posti agli arresti (domiciliari per Baffi). Saranno assolti nel 1983. La crisi definitiva dell'Ambrosiano arriva nel 1981 con l’esplosione dello scandalo P2. Svanita la protezione, Calvi viene arrestato per reati valutari e in seguito condannato. Una volta in libertà provvisoria (e dopo un tentativo di suicidio in carcere), Calvi entra in contatto col finanziere Flavio Carboni, legato alla Banda della Magliana. Calvi fugge a Londra dove qualche giorno dopo viene trovato cadavere. La magistratura inglese inizialmente archivia la morte di Calvi come suicidio, ma sei mesi dopo l'Alta Corte annulla la sentenza per vizi formali e sostanziali. Nel 1988 inizia in Italia una causa civile che stabilisce che Roberto Calvi è stato ucciso. È ancora in corso un processo penale con Flavio Carboni e il boss di Cosa Nostra Pippo Calò accusati di omicidio. Un mistero (si fa per dire) irrisolto

ROBERTO ROSONE
Roberto Rosone, direttore generale del Banco Ambrosiano, nel 1981 esprime dubbi su alcuni finanziamenti concessi dal Banco al faccendiere Flavio Carboni senza le dovute garanzie. Il 27 aprile 1982 Rosone scampa miracolosamente a un attentato a Milano. Un uomo lo ferisce alla gambe, ma la sua guardia del corpo interviene e uccide il killer. Si tratta di Danilo Abbruciati, uno dei capi della Banda della Magliana. L’episodio svela i legami tra la malavita romana, la P2 e il mondo della finanza.


SEQUESTRO MORO
Il comitato di crisi del ministero dell’Interno che gestisce l’emergenza del sequestro di Aldo Moro da parte delle Br (16 marzo – 9 maggio 1978), è interamente formato da membri della P2. Non è un mistero che Gelli e i suoi non gradiscano le aperture Moro ai comunisti. La segretaria di Gelli sostiene che la mattina del 16 marzo il venerabile avrebbe commentato il rapimento di Moro con una frase inquietante: “Il più è fatto”. Il giornalista Mino Pecorelli (tessera P2 n. 235) dala sua rivista Osservatorio politico (Op) lancia accuse precise sotto forma di messaggi in codice. In un clamoroso articolo intitolato “Vergogna, buffoni!”, sostiene che il generale Dalla Chiesa (lui lo chiama “Amen”) era andato da Andreotti dicendogli che aveva individuato la prigione di Moro e chiedeva l’autorizzazione per il blitz. Ma il presidente temporeggiò – secondo Pecorelli – perché doveva chiedere il permesso alla “loggia di Cristo in paradiso”, chiara allusione alla P2. Pecorelli allude poi a una “amnistia che tutto verrà a cancellare in cambio del silenzio” e promette nuove clamorose rivelazioni. Ma il 20 marzo 1979 Pecorelli viene ucciso a colpi d’arma da fuoco. Nel 1992 il pentito di mafia Tommaso Buscetta sosterrà che il delitto venne eseguito dalla mafia per “fare un favore ad Andreotti”, preoccupato per certe carte su Moro in possesso di Pecorelli. Il processo a carico di Andreotti si è concluso nell’ottobre 2003 con il giudizio della Cassazione che sancisce l’estraneità del senatore a vita al delitto.

SINDONA, MICHELE (1920 – 86)
“Il salvatore della lira”. Così lo definisce Giulio Andreotti da presidente del Consiglio nell’aprile 1973. Sindona è uno dei personaggi più inquietanti della storia italiana del Novecento. È indagando su di lui che i magistrati arrivano a Gelli. Iscritto alla P2 e sospettato di collusioni mafiose, nel 1980 è condannato negli Stati Uniti per la bancarotta della Franklin National Bank. Mette in scena un finto sequestro per tornare clandestinamente in Italia. È lui il mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, ucciso a Milano l’11 luglio 1979 da un killer americano. Arrestato, nel 1986 Sindona viene condannato all’ergastolo. Pochi mesi dopo muore avvelenato da un caffè al cianuro nel supercarcere di Voghera. Sindona se ne va coi suoi segreti.


ZITTI TUTTILa Commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi dichiara che le liste della P2 sono incomplete. Il sospetto è che i fratelli non identificati abbiano continuato a tramare nell’ombra. Nel 1983 una sentenza del tribunale di Roma proscioglie gli imputati appartenenti alla loggia, che non viene ritenuta un'associazione a delinquere. Nel 1994 la Corte d'Assise di Roma assolve la loggia P2 dall'accusa di cospirazione politica ai danni dello stato. Molti dei 953 noti non sono affatto spariti dalla circolazione. Alcuni sono parlamentari (Gustavo Selva), altri sono stati ministri (Publio Fiori e Antonio Martino), altri ancora sono personaggi pubblici più o meno influenti (Roberto Pervaso e Maurizio Costanzo). Ma, al di là della sorte dei singoli, il Piano di rinascita democratica di Gelli sembra essersi effettivamente realizzato in diversi punti.



L'Italia dopo la P2
La scoperta del caso della P2 fece conoscere in Italia l'esistenza, in altri sistemi ed in altri Paesi, del lobbismo, cioè di un'azione di pressione politica sulle cariche detenenti il potere affinché orienti le scelte di conduzione della nazione di appartenenza in direzione favorevole ai lobbisti.
In altri Paesi il lobbismo si applicava e si applica in modo pressoché palese, e nemmeno - d'ordinario - desta scandalo; per l'Italia il fenomeno, almeno in questa forma e con questa evidenza, era inusitato. In più, la circostanza che l'associazione fosse segreta, ha immediatamente evocato allarmanti spettri che le conclusioni dell'inchiesta della commissione parlamentare non hanno fugato.
Il caso della P2 ha certamente lasciato uno spunto di attenzione costante circa la formazione e lo sviluppo delle scelte politiche e verso le eventuali suscettibilità del potere di risentire influenze di gruppi non democraticamente introdotti a dirette forme di dialogo politico.
Altrettanta attenzione è stata posta, nel tempo, sul destino dei piduisti, qualcuno dei quali ha avuto pubblico successo, in politica o nello spettacolo, mentre altri si sono morbidamente confusi nell'anonimato; ad alcuni è stato revocato l'esilio, altri si sono fatti notare in proprio per meriti di Tangentopoli.
E similmente è accaduto ai personaggi politici menzionati nel famoso programma: Bettino Craxi crebbe sino a divenire il più importante esponente del suo partito (del quale ebbe il richiesto "predominio", anche grazie all'appoggio degli USA, che finanziarono il suo partito in chiave anti-PCI, come scriverà poco prima di morire nel suo memoriale consegnato al cognato Paolo Pillitteri, ex sindaco di Milano) e strinse con Andreotti e Forlani un famoso patto di alleanza politica. Ad altri, come Antonio Bisaglia, non andò altrettanto bene.
Nemmeno l'onorevole Tina Anselmi ebbe in seguito una lunga vita politica.




Il mio progetto realizzato
"Guardo il Paese, leggo i giornali e dico: avevo già scritto tutto trent'anni fa" Giustizia, tv, ordine pubblico è finita proprio come dicevo io. Son soddisfazioni, arrivare indenni a quell'età e godersi il copyright. "Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore. La giustizia, la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto trent'anni fa". Tutto nel piano di Rinascita, che preveggenza. Tutto in quelle carte sequestrate qui a villa Wanda ventidue anni fa: 962 affiliati alla Loggia. C'erano militari, magistrati, politici, imprenditori, giornalisti. C'era l'attuale presidente del Consiglio, il suo nuovo braccio destro al partito Cicchitto: allora erano socialisti.
Chi ha condiviso quel progetto è oggi alla guida del paese. "Se le radici sono buone la pianta germoglia. Ma questo è un fatto che non ha più niente a che vedere con me". Niente, certo. Difatti quando parla di Berlusconi e di Cicchitto, di Fini di Costanzo e di Cossiga lo fa con la benevolenza lieve che si riserva ai ricordi di una stagione propizia. Sempre con una frase, però, con una parola che li fissa senza errore ad un'origine precisa della storia.

Quel che rende Licio Gelli ancora spaventosamente potente è la memoria. Lo si capisce dopo la prima mezz'ora di conversazione, atterrisce dopo due. Il Venerabile maestro della Loggia Propaganda 2 è in grado di ricordare l'indirizzo completo di numero civico della prima casa romana di Giorgio Almirante, l'abito che indossava la sua prima moglie quel giorno che gli fece visita a Natale, i nomi dei tre figli di Attilio Piccioni e da lì ricostruire nel dettaglio il caso Montesi che vide coinvolto uno dei tre, ricorda il numero di conto corrente su cui fece quel certo bonifico un giorno di sessant'anni fa, la targa della camionetta di quando era ufficiale di collegamento col comando nazista, quante volte esattamente ha incontrato Silvio Berlusconi e in che anni in che mesi in che giorni, come si chiamava il segretario di Giovanni Leone a cui consegnò la cartella coi 58 punti del piano R, che macchina guidava, se a Roma c'era il sole quella mattina e chi incontrò prima di arrivare a destinazione, che cosa gli disse, cosa quello rispose.
Questo di ogni giorno dei suoi 84 anni di vita, attualmente archiviata in 33 faldoni al primo piano di villa Wanda, dietro a una porta invisibile a scomparsa. "Ogni sera, sempre, ho scritto un appunto del giorno. Per il momento per fortuna non mi servono, perché ricordo tutto. Però sono tranquillo, gli appunti sono lì".

Il potere della memoria, ecco. Il resto è coreografia: il parco della villa che sembra il giardino di Bomarzo, con le statue le fontane i mostri, la villa in fondo a un sentiero di ghiaia dietro a un convento, le stanze con le pareti foderate di seta, i soffitti bassi di legno scuro, elefanti di porcellana che reggono i telefoni rossi, divani di cuoio da due da tre da sette posti, di velluto blu, di raso rosa, a elle e a emiciclo, icone russe, madonne italiane, guerrieri d'argento, pupi, porcellane danesi, un vittoriano buio con le imposte chiuse al sole di settembre, scale, studi, studioli, sale d'attesa coi vassoi d'argento pieni di caramelle al limone. Ma lei vive qui da solo?. "Sì certo solo". E questi rumori, le ombre dietro le porte di vetro colorato? "La servitù".

Commendatore, gli sussurra una segretaria pallida porgendogli un biglietto: una visita. "Mi scusi, mi consente di assentarmi un attimo? E' un vecchio amico".
Gelli è in piena attività. Riceve in tre uffici: a Pistoia, a Montecatini, a Roma. Oltre che in villa, naturalmente, ma fino ad Arezzo si spingono gli intimi. Dedica ad ogni città un giorno della settimana. A Pistoia il venerdì, di solito. A Roma viene il mercoledì, e scende ancora all'Excelsior. Le liste d'attesa per incontrarlo sono di circa dodici giorni, ma dipende. Per alcuni il rito è abbreviato. Al telefono coi suoi segretari si è pregati di chiamarlo "lo zio": "La regola numero uno è non fare mai nomi - insiste l'ultimo di una serie di intermediari - Lei non dica niente, né chi la manda né perché. La richiameranno. Quando poi lo incontra vedrà: è una persona squisita. Solo: non gli parli di politica". Di poesia, vorrebbe si parlasse: perché Licio Gelli da quando ha ufficialmente smesso di lavorare alla trasformazione dell'Italia in un Paese "ordinato secondo i criteri del merito e della gerarchia", come lui dice, "per l'esclusivo bene del popolo" ha preso a scrivere libri di poesia, ovviamente premiati di norma con coppe e medaglie, gli "amici" nel '96 lo hanno anche candidato al Nobel.

"Vorrei scivolare dolcemente nell'oblio. Vedo che il mio nome compare anche nelle parole crociate, e ne soffro. Vorrei che di me come Venerabile maestro non si parlasse più. Siamo stati sottoposti a un massacro. Pensi a Carmelo Spagnolo, procuratore generale di Roma, pensi a Stammati che tentò di uccidersi. E' stata una gogna in confronto alla quale le conseguenze di Mani Pulite sono una sciocchezza. In fondo Mani pulite è stata solo una faccenda di corna. Lei crede che la corruzione sia scomparsa? Non vede che è ovunque, peggio di prima? Prima si prendeva facciamo il 3 per cento, ora il 10. Io non ho mai fatto niente di illegale né di illecito. Sono stato assolto da tutto. Le mie mani, eccole, sono nette di oro e di sangue".

Assolto da tutto non è vero, dev'essere per questo che lo ripete tre volte e s'indurisce. Indossa un abito principe di Galles, cravatta di seta, catena d'oro al taschino, occhiali con montatura leggerissima, all'anulare la fede e un grosso anello con stemma. Questo avrebbe detto dunque a Montecatini, a quel convegno a cui l'hanno invitata e poi non è andato? Dicono che Andreotti l'abbia chiamata per dissuaderla. "E' una sciocchezza. Andreotti non è uomo da fare un gesto simile. Si vede che lei non lo conosce".

Senz'altro lei lo conosce meglio. "Se Andreotti fosse un'azione avrebbe sul mercato mondiale centinaia di compratori. E' un uomo di grandissimo valore politico". Come molti della sua generazione. "Molti, non tutti. Cossiga certamente. Non Forlani, non aveva spina dorsale. Naturalmente Almirante, eravamo molto amici, siamo stati nella Repubblica sociale insieme. L'ho finanziato due volte: la seconda per Fini. Prometteva molto, Fini. Da un paio d'anni si è come appannato". Forse un po' schiacciato dalla personalità di Berlusconi. "Può darsi. Berlusconi è un uomo fuori dal comune. Ricordo bene che già allora, ai tempi dei nostri primi incontri, aveva questa caratteristica: sapeva realizzare i suoi progetti. Un uomo del fare. Di questo c'è bisogno in Italia: non di parole, di azioni".

Vi sentite ancora? "Che domanda impertinente. Piuttosto. L'editore Dino, lo conosce?, ha appena ripubblicato il mio primo libro: Fuoco! E' stata la mia opera più sofferta, anche perché ha coinciso con la morte di mio fratello nella nostra guerra di Spagna. E' un edizione pregiata a tiratura limitata, porta in copertina il mio bassorilievo in argento. Ci sono due altri solo autori in questo catalogo: il Santo padre, e Silvio Berlusconi". Anche Berlusconi col bassorilievo d'argento? "Certo, guardi". Il titolo dell'opera è "Cultura e valori di una società globalizzata". Pensa che Berlusconi abbia saputo scegliere con accortezza i suoi collaboratori? "Credo che in questa ultima fase si senta assediato. E' circondato da persone che pensano al "dopo". Non si fida, e fa bene.

E' stato giusto bonificare il partito, affidarlo a un uomo come Cicchitto. Cicchitto lo conosco bene: è bravo, preparato". Il coordinatore sarebbe Bondi in realtà. "Sì, d'accordo. Credo che anche Bondi sia preparato. E' uno che viene dalla disciplina di partito". Comunista. "Non importa. Quello che conta è la disciplina e il rispetto della gerarchia". Ha visto il progetto di riordino del sistema televisivo? "Sì, buono". E la riforma della giustizia? "Ho sentito che quel Cordova ha detto: ma questo è il piano di Gelli. E dunque?

L'avevo messo per scritto trent'anni fa cosa fosse necessario fare. Leone mi chiese un parere, gli mandai uno schema in 58 punti per il tramite del suo segretario Valentino. Pensa che chi voglia assaltare il comando consegni il piano al generale nemico, o al ministro dell'Interno? Ma comunque non è di questo che vogliamo parlare, no? Vuole anche lei avere i materiali per scrivere una mia biografia? Arriva tardi: ho già completato il lavoro con uno scrittore di gran fama". Su una poltrona è appoggiato l'ultimo libro di Roberto Gervaso. La scrive con Gervaso? "Ma no, ci vuole una persona estranea ai fatti. Se vuole le mostro lo scaffale con le opere che mi riguardano, le ho catalogate: sono 344". Certo: il burattinaio è un soggetto affascinante. "Andò così: venne Costanzo a intervistarmi per il Corriere della sera. Dopo due ore di conversazione mi chiese: lei cosa voleva fare da piccolo. E io: il burattinaio. Meglio fare il burattinaio che il burattino, non le pare?".

Sembra che ce ne siano diversi di burattinai in giro ultimamente. "Il burattinaio è sempre uno, non ce ne possono essere diversi". E adesso chi è? "Adesso? Questa è una classe politica molto modesta, mediocre. Sono tutti ricattabili". Tutti? Mettiamo: Bossi. "Bossi si è creato la sua fortezza conla Padania , ha portato 80 parlamentari è stato bravo. Ma aveva molti debiti... Per risollevare il Paese servono soldi, non proclami. Ho sentito che Berlusconi ha invitato gli americani a investire in Italia: ha fatto bene, se qualcuno abbocca?

Ma la situazione è molto seria. L'economia va malissimo, l'Europa è stata una sventura. Non abolire le barriere, bisognava: moltiplicarle. Fare la spesa è diventato un problema, il popolo è scontento. Serve un progetto preciso". Perla Rinascita del Paese. "Certo". C'è il suo: certo forse i 900 affiliati alla P2 erano pochi. "Ma cosa dice, novecento persone sono anche troppe. Ne bastano molte meno". Allora quelle che ci sono ancora bastano, tolti i pentiti. "Nessuno si è pentito. Pentiti?

A chi si riferisce? Costanzo, forse. L'unico. Con tutto quello che ho fatto per lui. Guardi: io non devo niente a nessuno ma tutti quelli che ho incontrato devono qualcosa a me. Ci sono dei ribelli a cui ho salvato la vita, ancora oggi quando mi incontrano mi abbracciano". Ribelli? "Sì, i ribelli che stavano sulle montagne, in tempo di guerra. Io ero ufficiale di collegamento fra il comando tedesco e quello italiano. Ne ho salvati tanti". Intende partigiani. "Li chiami come crede. Eravamo su fronti opposti, ma quando sei di fronte ad un amico non c'è divisa che conti.

L'amicizia, la fedeltà ad un amico viene prima di ogni cosa". L'amicizia, sì. La rete. Cossiga l'ha citata giorni fa, in un'intervista. Ha detto: chiedete a Gelli cosa pensava di Moro. "Da Moro andai a portare le credenziali quando ero console per un paese sudamericano. Mi disse: lei viene in nome di una dittatura, l'Italia è una democrazia. Mi spiegò che la democrazia è come un piatto di fagioli: per cucinarli bisogna avere molta pazienza, disse, e io gli risposi ?stia attento che i suoi fagioli non restino senz'acqua, ministro'". Anche in questo caso tragicamente profetico, per così dire. Lei cosa avrebbe fatto, potendo, per salvare Moro? "Non avrei fatto niente. Era stato fascista in gioventù, come Fanfani del resto, ma poi era diventato troppo diverso da noi. Lei ha visto il film sul delitto Moro?" Quello di Bellocchio? "No, l'altro. Quello tratto dal libro di Flamigni. Ma le pare che si possa immaginare un agente dei servizi segreti che con un impermeabile bianco va a controllare sulla scena del delitto se è tutto andato secondo i piani?". Gli agenti dei servizi sono più prudenti? "Lei conosce Cossiga? Proprio una bravissima persona. E poi un uomo così colto, uno capace di conversare in tedesco. Un uomo puro, un animo limpido. Dopo la morte di mia moglie mi mandò un biglietto: "Ti sono vicino nel tuo primo Natale senza di lei", capisce che pensiero? Vorrebbe farmi una cortesia? Se lo incontra, vuole porgergli i miei ricordi, e i miei saluti?".



Massoni Italiani del Gruppo Bilderberg
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Lista ad oggi conosciuta in ordine per fascicolo
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