MRT75Roma
00mercoledì 20 maggio 2009 19:21
da Motonline:
183 CV e 119 kg di peso. Questi i fondamentali della Tularis 800, nata nel garage di un celebre tecnico della Formula 1. Partendo da un motore da motoslitta
Sembra la trama di un film hollywoodiano. La storia inizia con un primo piano sulla maglia del protagonista, la stessa del resto della squadra, dove c'è scritto: "Siamo scienziati aerospaziali!"
Questo personaggio fuori dagli schemi, con un quoziente intellettivo impressionante, nasce e cresce in Germania, dove il padre iraniano vende tappeti persiani. Poi, però, la sua famiglia si trasferisce negli Stati Uniti e lui prosegue i suoi studi di dottorato in astrofisica all'Università della California. E' a questo punto, però, che la passione per il mondo delle moto diventa talmente forte da convincerlo, nel 1996, a mollare galassie e buchi neri per diventare il responsabile tecnico telaista della Victory, società inglobata nella più grande azienda americana produttrice di motoslitte e ATV, la Polaris.
La persona di cui stiamo parlando si è anche cimentata in qualche gara per moto d'epoca con una Norton bicilindrica e ha perfino trovato il tempo per costruire un'originale monocilindrica da corsa spinta dal motore di una Honda CR500 a due tempi. Poi, un bel giorno, mentre stava girando in azienda, c'è stato l'incontro che ha cambiato la sua vita, quello con il prototipo di una motoslitta.
La sua fertile immaginazione, infatti, si è subito messa in moto e, dopo tre anni di duro lavoro, il nostro eroe è riuscito a finalizzare gli sforzi portati avanti nella cantina della sua casa di Minneapolis, dove insieme a un piccolo gruppo di sostenitori ha dato vita a un vero e proprio capolavoro, un'opera d'arte a due ruote che non assomiglia a niente di già visto finora.
Tra l'altro questo progetto, caratterizzato appunto dal bicilindrico a due tempi di una motoslitta inserito in una struttura davvero inedita (che rappresenta lo stato dell'arte in tema di telai motociclistici), non è nato con l'obiettivo di gareggiare in una classe specifica, nonostante preveda numeri assolutamente sorprendenti, come dimostrano i 183 CV all'albero di potenza massima e i 119 Kg di peso a secco.
Solo una cosa, in questa vicenda, è andata storta, anzi due. La prima è che il protagonista della storia ha testato la moto a Daytona, nel 2000, rendendosi conto che l'esperienza maturata vincendo quattro titoli nazionali AHRMA non era affatto sufficiente per domare una simile belva e la seconda è che, nel frattempo, è stato "costretto" a cambiare lavoro per dedicarsi all'impegnativo ma gratificante compito di sviluppare una piattaforma che i principali team di Formula 1 e Formula Indy hanno poi utilizzato per simulare il comportamento delle loro vetture in qualsiasi tipo di condizione immaginabile, sia in pista che su strada. Pertanto, il nostro eroe ha dovuto appendere il casco al chiodo, delegando ad altri il compito di guidare la sua creatura.
Ebbene, questa moto non ha fatto in tempo a muovere i primi passi negli Stati Uniti, dove si è dimostrata subito vincente per mano di Robert Jensen, che il suo progettista ha ricevuto un'offerta impossibile da rifiutare, dopo che già aveva detto di no alla possibilità di trasferirsi in Italia, nella fattispecie a Bologna, per prendere parte alla progettazione del telaio della Ducati Desmosedici!
Del resto, a lui piaceva l'idea di vivere in Gran Bretagna, in qualità di responsabile del reparto di ricerca e sviluppo di uno dei più importanti team di Formula 1, dunque così è stato. Insieme alla moglie Kate, il nostro personaggio ha fatto le valige e si è trasferito nelle campagne vicino a Oxford, dove molte squadre di Formula 1 hanno il loro quartier generale.
Naturalmente, nel bellissimo cottage dove è andato ad abitare non poteva mancare un ampio garage nel quale ha trovato posto la sua incredibile motocicletta, che nel frattempo è stata affiancata da una Supermotard costruita sulla base della Yamaha YZ450 e portata in gara con successo da Doug Henry, secondo nel campionato AMA Supermoto del 2003.
Il resto della storia è presto detto. Al termine del primo anno di impiego nel suo nuovo ruolo, il team del nostro eroe ha vinto il titolo in Formula 1 per mano di un giovane pilota spagnolo, il che dimostra che l'operato del protagonista di questa storia ha effettivamente fatto la differenza.
Naturalmente, il finale del film prevede che al termine della stagione, durante un test privato del team, il nostro uomo colga l'occasione per far provare a un amico la sua creatura, giunta nel frattempo al quarto anno di sviluppo, prima che quest'ultima venga di nuovo messa in garage a svernare... Così, mentre il fortunato si avvia lungo la corsia box in sella a questa fantastica motocicletta, con un bellissimo tramonto sullo sfondo, partono i titoli di coda…
Non c'è che dire, sarebbe davvero un gran bel film, se non fosse per il fatto che è tutto vero! Robin Tuluie, questo il nome del personaggio, è riuscito a realizzare una moto assolutamente eccezionale nella cantina di casa sua. Un mezzo che, oltre ad essere straordinario dal punto di vista tecnico, si è anche dimostrato competitivo nei confronti della più agguerrita concorrenza giapponese all'interno della classe Open americana.
Tuluie ha attraversato l'Oceano nel 2004 per guadagnare le fila del Team Renault in F1 come capo del reparto di ricerca e sviluppo, giocando un ruolo fondamentale nella conquista del titolo da parte di Fernando Alonso. Il quarantunenne astrofisico, convertitosi in ingegnere, ha dunque dato vita alla Tularis 800 Formula USA, questo il nome che identifica la moto in questione, partendo dal motore di una motoslitta Polaris e, soprattutto, facendo quasi tutto da solo!
Il progetto è partito appunto nel 1997, quando a Robin è venuta l'idea di utilizzare alcuni ricambi Polaris per dar vita alla Formula USA. Il suo bicilindrico parallelo a due tempi con perni di manovella sfalsati di 180° aveva inizialmente una cilindrata di 700 cc, ma poi è stato maggiorato a 772 grazie a misure caratteristiche di 85 mm di alesaggio e 68 mm di corsa. Così configurato e senza alcun tipo di ulteriore messa a punto, il motore erogava già 148 CV alla ruota (165 all'albero), allorché Tuluie ha allungato la corsa di altri 2 mm, portandola a 70, per un totale di 792 cc e 173 CV a 8700 giri all'albero, corrispondenti a 152 CV alla ruota. Dopo il trasferimento in Inghilterra, lo sviluppo è proseguito fruttando altri 10 CV in più, per una potenza massima di 183 CV a 8700 giri all'albero (161 alla ruota) racchiusi in un motore piccolissimo, capace di spingere la Tularis a 291 Km/h sui banking di Daytona nel marzo del 2003 e senza contare i 14,38 Kgm di coppia, valore superiore a quello di una MotoGP di 990 cc.
Se infatti paragoniamo simili prestazioni con i 131 CV a 10.500 giri e i 102 Kg della NSR 500 che Sete Gibernau guidava nel campionato del mondo del 1999 è evidente come la Tularis vanti un rapporto peso/potenza di gran lunga migliore.
E' bene ricordare ancora una volta che stiamo confrontando una moto costruita da un'unica persona nella cantina di casa sua con un mezzo ufficiale progettato, realizzato e messo a punto dal reparto corse più grande e facoltoso del mondo: la HRC.
A tutto ciò, poi, va aggiunta la presenza di una valvola parzializzatrice che Tuluie ha introdotto nell'ultima fase dello sviluppo, vale a dire poco prima che mi fosse concessa la straordinaria occasione di testare la moto sul circuito di Silverstone, tra un'uscita e l'altra della Renault da Formula 1. Prima d'allora, avevo provato la Tularis sul tracciato di Brainerd, in Minnesota, con il suo lungo rettilineo dove negli anni Novanta il Mondiale Superbike vide per la prima volta superato il muro dei 300 Km/h.
Una volta inforcata, la moto di Robin appare assai spaziosa, anche per un pilota che supera il metro e ottanta di altezza, nonostante che a vederla da lontano sembri piccolissima. Le sovrastrutture snelle, piuttosto sviluppate in senso verticale, denotano un'ottima ergonomia e chi sta in sella si sente perfettamente inserito nel corpo macchina.
Non appena il motore prende vita, grazie al contributo di un apposito avviatore, le vibrazioni si fanno sentire, soprattutto attraverso i semimanubri, così come la fantastica tonalità di scarico emessa dalle due espansioni sotto il codone, cupa e potente, diversa da qualsiasi altro bicilindrico a due tempi.
Per fortuna che le vibrazioni scemano un po' con il salire dei giri, diventando meno invasive, anche se passano comunque in secondo piano per via della concentrazione richiesta dalla guida. Una volta inserita la prima attraverso il cambio rovesciato, si scopre infatti come il motore abbia una fascia di utilizzo molto particolare, caratterizzata da una cospicua riserva di coppia. La spinta del bicilindrico si fa interessante già a partire dai 3000 giri, tant'è che bisogna stare attenti a non sfrizionare troppo, come si fa di solito su una normale moto a due tempi, se non ci si vuole mettere la moto per cappello, soprattutto quando si è ancora leggermente piegati.
Questo perché intorno ai 5700 giri c'è un incredibile incremento di potenza, pari a circa 50 CV in soli 500 giri! Un picco quasi istantaneo che richiede una certa abitudine per cominciare a spingere. In pratica, bisogna rialzare la moto in fretta prima di poter aprire il gas in modo deciso, altrimenti c'è il rischio di essere catapultati in aria senza tanti complimenti, e in ogni caso occorre ricordarsi di spingere con forza sulle pedane per cercare di mantenere la ruota anteriore a contatto col suolo. A tal proposito, un valido espediente può essere quello di mantenere il motore costantemente al di sopra dei 6000 giri, anche se la tonalità di scarico gutturale e la robusta spinta ai medi regimi potrebbero far pensare che il modo migliore per guidare un motore del genere sia quello di far leva sulla curva di coppia. Ciò sarebbe vero se non ci fosse quell'enorme scalino nel bel mezzo dell'erogazione (che la valvola parzializzatrice ha successivamente smussato).
Viceversa, rimanendo sempre sopra i 6200 giri, si ha modo di apprezzare come la Tularis sia davvero molto, molto veloce, sia in termini di accelerazione che di velocità massima, oltre a dimostrarsi piacevolmente stabile, in rettilineo come nei curvoni in appoggio, anche in presenza di dossi o buche e nonostante il corto interasse e l'alto baricentro.
Evidentemente, gli studi che Tuluie ha portato avanti sulle simulazioni al computer in ambito automobilistico gli hanno permesso di definire una ciclistica davvero efficace, con un ottimo comportamento sia in curva che in frenata. In quest'ultimo frangente, tuttavia, bisogna fare i conti con il frequente sollevamento della ruota posteriore, che perde contatto con l'asfalto sotto la potente azione dell'impianto frenante anteriore con pinze AP a sei pistoncini.
Per quanto riguarda la maneggevolezza pura, invece, sono convinto che la Tularis risulti un po' troppo alta, sia davanti che dietro. Ciò, se da una parte favorisce il trasferimento di carico, e quindi la trazione, in fase di accelerazione, dall'altra penalizza un po' i rapidi cambi di direzione, soprattutto laddove vi sia un asfalto non perfettamente liscio. La sospensione posteriore, inoltre, sembra piuttosto rigida e questo impedisce al retrotreno di assorbire le eventuali asperità, con ripercussioni negative anche sulla ruota anteriore. Per contro, in accelerazione l'avantreno non ha la tendenza ad allargare la traiettoria e rimane fedele alla linea impostata nonostante che lo sterzo abbia talvolta delle leggere oscillazioni.
Ad ogni modo, il motore della Tularis non è rapidissimo nel prendere i giri come un bicilindrico a due tempi di piccola cilindrata, ma ha comunque una progressione vigorosa che lo porta fino a quota 8500 giri, in prossimità dei quali è meglio passare al rapporto successivo, evitando così di imbattersi nel limitatore, posto dopo altri 500 giri. Naturalmente, cercare di mantenere sempre un elevato regime di rotazione significa essere costretti a un intenso uso del cambio, che sulla Tularis non è particolarmente morbido e mal digerisce l'inserimento delle marce senza l'utilizzo della frizione, cosa piuttosto insolita su un motore a due tempi.
Di sicuro, su una moto del genere farebbe comodo un dispositivo elettronico, ormai di uso comune nelle competizioni, che consenta di passare al rapporto successivo senza chiudere il gas e senza tirare la frizione, oltre a un contagiri munito di led luminosi che si accendano progressivamente segnalando il momento giusto per cambiare.
Come detto, la presenza della valvola parzializzatrice che Robin ha introdotto prima del test di Silverstone è servita a mitigare un po' il temperamento del bicilindrico, rendendolo meno repentino nel passaggio tra medi e alti regimi. La fascia di utilizzo si è dunque allargata, a beneficio della possibilità di affrontare le curve più lente senza dover fare i conti con furiose impennate e con un uso frenetico del cambio.
Alla luce di questo miglioramento, dunque, è davvero un peccato che una moto così geniale e innovativa venga oggi impiegata solo a scopo dimostrativo all'interno di eventi come il Festival della Velocità a Goodwood, per poi tornare nel garage di Robin Tuluie.
"Costruire questa moto ha rappresentato per me un'esperienza bellissima – racconta Tuluie – soprattutto per il divertimento e la soddisfazione che ho provato durante il suo sviluppo, oltre che per le persone che ho potuto conoscere lungo questo cammino. Grazie alla Tularis ho potuto incontrare dei veri amici e questa è la cosa migliore che potesse capitarmi, oltre naturalmente alla famosa vittoria ottenuta nella Formula USA!".
Chi ha le corse nel sangue, si vede...