LA DISCRIMINAZIONE DEI LAVORATORI OVER 45

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vanni-merlin
00venerdì 30 giugno 2006 15:07
LA DISCRIMINAZIONE DEI LAVORATORI OVER 45

Affrontiamo il problema degli "over 45", discriminati dalle imprese sia al momento delle assunzioni sia nella permanenza in azienda.
Parliamo per lo più di persone che hanno uno scarso livello di istruzione e scarse qualificazioni professionali. Sono i lavoratori dipendenti delle grandi imprese industriali nel . Ma ci sono anche quelli del Centro e del Sud che al lavoro in maniera regolare non ci sono mai stati e lungo questi percorsi occupazionali fragili arrivano a un punto in cui non ce la fanno più. Quelli che lavorano nelle grandi imprese possono usufruire di ammortizzatori sociali ma quelli che non dipendono da imprese che hanno la possibilità di ottenere queste forme di tutela rischiano ancora di più.
I dipendenti maturi che hanno accumulato anzianità, sedimentato diritti di protezione sociale costano più di un giovane con contratto di collaborazione e rischiano di diventare i “capri-espiatori” di quelle riforme che l’Europa ci chiede e che anche la sostenibilità del modello di welfare ci impone.
Si dice che le persone mature siano meno pronte ad apprendere nuovi saperi... Si dice che le persone mature siano meno capaci di fronteggiare l’innovazione organizzativa e tecnologica, di fatto si parla di formazione continua ma poi non c’è tanta voglia da parte delle imprese di riorientare la formazione e i dipendenti adulti lo vivono come un periodo rischioso o di minaccia.
Gente scarsamente scolarizzata si sente, anche psicologicamente, inadatta e fuori luogo, per questo ci sono anche resistenze soggettive.
Nelle piccole imprese, nei settori meno complessi organizzativamente e meno tecnologizzati, lì dove c’è un maggiore rapporto fiduciario datore-dipendente c’è meno crisi. Sono stati invece falcidiati nei settori di servizi come nelle banche, settori che hanno innovato il tipo di prodotto, il tipo di relazione con il pubblico, il tipo di produzione di quel prodotto.
Il nostro sistema tradizionalmente non è un sistema attivante e promozionale. Abbiamo un sistema dove il job-matching è una cosa non ancora sufficientemente esercitata e collaudata. Basti dire che i servizi pubblici per l’impiego che svolgono una serie di monitoraggi sul funzionamento dei servizi all’impiego non registravano in maniera specifica la domanda di lavoro degli “over 45” e non registravano gli interventi realizzati verso questa fascia di lavoratori.
In Italia è cresciuta la quota degli “attivi” così come è cresciuta l’età media di ingresso nel pensionamento. Sono segni forti di attenzione e cambiamento nei confronti di questo fenomeno. Nel Veneto l’occupazione complessiva è significativamente trainata dalle donne mature che probabilmente prima se ne stavano a casa e adesso anche a 50-55 anni cominciano ad accettare dei lavori interinali. Nel Sud Italia è tutto un altro scenario: abbiamo un’età di pensionamento più tardiva di quella del Nord per gli occupati, che probabilmente hanno avuto percorsi occupazionali più intermittenti e meno regolari, hanno maturato meno requisiti e quindi devono rimanere più a lungo negli impieghi.
Negli anni ’80 in tutta Europa c’è stata una caduta dei tassi di occupazione dei lavoratori maschi in particolare delle classi adulte che ha superato anche i 20 punti percentuali, poi negli anni ’90 la richiesta dell’Europa di rivedere il sistema di welfare. Fino agli anni ’80 c’è stata la possibilità che le imprese scaricassero il peso sui costi pubblici, le imprese si liberavano di queste risorse che ritenevano costose e non produttive, i sindacati in fondo tutelavano il reddito e i lavoratori si reinventavano qualcosa. Fino a che i costi sono diventati esplosivi.



DA : www.babyboomers.it/finanza/art.asp?art_id=608




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