L’attacco all’Iran si farà

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centrosardegna
00mercoledì 5 aprile 2006 22:03
«Prima che il presidente Bush lasci la poltrona (gennaio 2009) le ambizioni nucleari iraniane saranno storia passata».
Così ha assicurato ad Arnaud de Borchgrave un «importante neocon ancora nei favori della Casa Bianca e dell'Ufficio del segretario alla Difesa [Donald Rumsfeld].
De Borchgrave, vecchio anticomunista paleo-conservatore, già direttore del Washington Times ed ora direttore della UPI, nonchè vicinissimo ai servizi segreti francesi, è un teste affidabile.
L'«importante neocon» di cui riferisce i propositi è probabilmente Richard Perle o un altro dei membri (israeliti, spesso israeliani) del gruppo che Perle guida, il Defense Policy Board; il team di «consulenti privati» - e tutti membri dell'American Enterprise, il think tank di Wolfowitz - che ha trascinato l'America nella guerra all'Iraq.
Questi congiurati sembravano scomparsi, o in disgrazia.
Invece sono ancora lì, rivela De Borchgrave, a preparare la prossima guerra: all'Iran.
Per loro, il fatto che Bush non sia più rieleggibile è un vantaggio: può infischiarsene dell'opinione pubblica.
Del resto costoro, gli stessi che a suo tempo giurarono che l'invasione dell'Iraq sarebbe stata «una passeggiata», hanno convinto il presidente che la guerra all'Iran si può fare con poco e senza perdite umane - almeno americane.



Ma rilasciamo la parola a De Borchgrave.
Ha chiesto: «se le sanzioni non piegano i mullah iraniani, quale sarà il prossimo passo del presidente Bush?».
«I B-2 - mi ha risposto quell'importante stratega da tavolino. Due di questi aerei bastano a fare il lavoro in una sola missione contro bersagli multipli. Dato che ciascuno ha un equipaggio di due piloti, sarebbero a rischio solo quattro vite americane. Un record nell'intera storia della guerra».
I B-2 sono i bombardieri strategici «invisibili» pensati per la guerra atomica all'URSS.
Possono partire dagli USA e tornarvi senza scalo.
Costano 2,2 miliardi di dollari l'uno (poco meno di 4 mila miliardi di vecchie lire).
Meraviglie dell'avionica.
Ma, dice sarcastico De Borchgrave, per lo stratega da tavolino questi mostri hanno un grosso svantaggio: possono colpire solo 16 bersagli contemporaneamente.
«Uno in meno dei 17 siti nucleari iraniani segnati in rosso nelle mappe che il Mossad ha presentato ai nostri leader in presentazione Power Point».
Ecco perché occorreranno due B-2.
L'anonimo neocon è informatissimo sulla varietà di formidabili armamenti che il B-2 può portare.
Ciascuno può caricare 34 CBU (Cluster Bomb Units, teleguidate a laser), oppure 16 JDAM (Joint Direct Attack Munition), od otto BLU-28 (bunker buster e «daisy cutter» teleguidate da satellite) o 16 JSOW (Joint Standoff Weapon); oppure ancora sedici JASSM (Joint Air to Surface Standoff Missile).



Qualunque sia la scelta fra questo mazzetto a beneficio dell'Iran, sono come minimo 20-30 mila chili di esplosivo sparabile a distanza di una ventina di chilometri.
Le installazioni nucleari iraniane sono non solo sotterranee, ma vicine a centri abitati: le prime immagini del raid dei B-2 saranno dunque, ragiona De Borchgrave, quelle di donne e bambini morti diffuse in tutto il mondo da Al Jazeera: un danno collaterale per gli americani superiore a quello delle foto delle torture di Abu Ghraib.
Il tutto mentre la «passeggiata» raccomandata dai neocon in Iraq supererà entro l'anno il costo di mezzo miliardo di dollari (800 mila miliardi di vecchie lire) senza contare il costo politico per gli USA, che si traduce in altrettanti guadagni di Russia e Cina nel campo dell'influenza globale.
Ma questo non interessa al neocon anonimo: la salvezza d'Israele prima di tutto.
Bush si è rassegnato ad una Corea del Nord nucleare, ma «in nessun modo» si rassegnerà a un Iran con un paio di bombe atomiche.
La sua risoluzione di far decollare i B-2 è, ha assicurato il neocon, «altrettanto solida che la sua decisione di liberare l'Iraq da Saddam».
E' per questa «solida decisione» che - rivela De Borchgrave - lo Stato Maggiore britannico e i servizi di sua maestà si sono riuniti nei giorni scorsi (la notizia è stata smentita, ma il nostro la conferma) per valutare le conseguenze politiche, sia in Europa sia nel mondo, dell'attacco all'Iran.



Naturalmente l'attacco all'Iran, anche solo dal cielo, non sarà una passeggiata.
Un Paese con 70 milioni di abitanti, che ha resistito a Saddam in una guerra di otto anni che ha fatto un milione di morti da entrambe le parti, non manca di frecce militari al suo arco.
Per tacere di quelle economiche - Teheran può bloccare gli stretti di Ormuz, da cui passa quasi tutto il petrolio che il Medio oriente vende al pianeta - e provocare un inferno di guerriglia e di attentati mobilitando gli sciiti iracheni.
Ma il neocon è tranquillo del fatto suo (e del diritto di Israele).
Bush manderà i B-2.
Quando?
Nel periodo fra le elezioni parlamentari USA di novembre e la fine del mandato di Bush, appunto a gennaio 2006.

centrosardegna
00domenica 9 aprile 2006 21:36
Iran. Per il New Yorker la Casa Bianca sta considerando l’opzione nucleare


L'amministrazione Bush sta pianificando una massiccia campagna di bombardamenti contro l'Iran, che non esclude l'uso delle bombe atomiche distruggi-bunker per demolire l'impianto atomico di Natanz. La rivelazione è del New Yorker, che ha anticipato un articolo che apparirà sul numero del 17 aprile.
L'autore è Seymour Hersh, uno dei più noti giornalisti d'inchiesta statunitensi,
lo stesso che rivelò la strage di My Lai, in Vietnam, e più di recente gli abusi nel carcere di Abu Ghraib.
Secondo l'informatissimo reporter, il presidente George W. Bush e alcuni suoi collaboratori, alla Casa Bianca, considerano il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad un potenziale Adolf Hitler. "E' proprio questo il nome che usano", ha raccontato un ex responsabile dei servizi segreti.
Secondo una fonte del Pentagono, "questa Casa Bianca ritiene che l'unico modo per risolvere il problema sia cambiare la struttura di potere in Iran, e questo significa guerra". La convinzione che circola nell'amministrazione è che "una sostenuta campagna di bombardamenti umilierebbe la leadership religiosa e convincerebbe la gente a sollevarsi e rovesciare il governo". Nelle ultime settimane, il presidente ha già dato avvio a una serie di contatti con alcuni importanti senatori e membri del Camera, tra cui almeno anche un democratico. Una delle opzioni all'esame prevede il possibile uso di armi nucleari tattiche come le bombe B61-11 'bunker buster' (distruggi-bunker) per radere al suolo l'impianto per l'arricchimento dell'uranio di Natanz. §
Il problema e' dato dalle resistenze, che circolano anche in seno ai militari, rispetto all'utilizzo di "armi nucleari contro altri Paesi", una resistenza che ha spinto qualcuno anche a minacciare di dimissioni.
Secondo il consigliere del Pentagono, bombardare l'Iran scatenerebbe una "reazione a catena" fatta di attacchi contro rappresentanze e cittadini americani nel mondo e potrebbe anche rinfocolare la reazione di Hezbollah. "Se andiamo, la metà meridionale dell'Iraq si accenderà come una candela


Il Washington Post conferma: gli USA stanno progettando piani di attacco contro obiettivi iraniani
Tratto da RaiNews24 www.rainews24.it/Notizia.asp?NewsID=60925

La notizia era stata pubblicata ieri dal New Yorker a firma del premio Pulitzer Seymour Hersh. Oggi dalla stampa arriva un’altra conferma: a parlare di piani di attacco americani contro l’Iran è il Washington Post che cita fonti della Casa Bianca.
Il quotidiano americano precisa che "anche se nessun attacco sembra probabile in tempi brevi... l'amministrazione si sta preparando per l'opzione militare anche per avere una minaccia in più per persuadere" gli iraniani.
Il Washington Post, sottolineando che l'opzione militare rientra nell'ambito di quella che si potrebbe definire una forma di "diplomazia coercitiva", scrive che al Pentagono e alla Cia si stanno già studiando i possibili obbiettivi di un massiccio attacco aereo. In ogni caso, prosegue il giornale, invece "non è prevista alcuna invasione di terra".

Diviso il parere degli esperti sul significato di questo sordo rumore di tamburi di guerra. Per Kori Schake, ex collaboratore del Consiglio per la sicurezza Nazionale di Bush, "si tratta più che altro di una mossa tattica dentro una partita diplomatica più ampia".
Per Kurt Campbell, ex ufficiale del Pentagono, le cose invece stanno in un altro modo: "La squadra di Bush sta valutando l'ipotesi di attacchi aerei semplicemente perché molti pensano che questa sia l'unica opzione realistica a disposizione".
Il Washington Post mette anche in evidenza che piani per un attacco aereo all'Iran sono stati messi a punto anche da Gran Bretagna e Israele. Particolarmente dettagliato sarebbe il piano israeliano, piano a cui Tel Aviv farebbe ricorso solo nel caso in cui gli Usa decidessero di non intervenire.
Resta il problema del sito di Natanz, cuore del programma nucleare iraniano. Per gli esperti Usa Natanz può essere colpito in modo efficace solo con una testata atomica. Israele - che ufficialmente non ha mai ammesso di avere l'atomica - non sembra in grado di assumersi l'onore e la responsabilità di una mossa simile. Il timore è evidente: un'atomica israeliana sganciata contro l'Iran scatenerebbe l'inferno in tutto il medio oriente



centrosardegna
00domenica 9 aprile 2006 21:55
CONTO ALLA ROVESCIA, 10…9…8…7


Se foste cresciuti come me negli anni sessanta sono sicuro che avreste sognato, come me, di diventare un astronauta e di essere lanciati con un razzo verso pianeti lontani. Un ragazzo di 10 anni non tiene minimamente conto delle decine di migliaia di ore necessarie a costruire un razzo o dei miliardi di dollari di denaro pubblico che vengono spesi; non pensa che tutti i sistemi devono essere controllati, ricontrollati e che devono funzionare perfettamente per permettere al razzo di decollare dalla piattaforma di lancio. Un ragazzo di 10 anni pensa solo al conto alla rovescia e al brivido di essere un astronauta in rotta per lo spazio. Ricordo come da bambino guardavo le missioni Apollo e la folla silenziosa mentre si raggiungeva la fase del conto alla rovescia. Tutti trattenevano il fiato in attesa del decollo sperando “contro ogni logica” che non ci fosse nessuna esplosione sulla piattaforma di lancio.

Riguardo alla situazione mondiale possiamo dire di essere giunti alla fase del conto alla rovescia con i media che trattengono il fiato sperando che non avvenga una esplosione sulla piattaforma di lancio. I media ufficiali ci inducono a parlare del tempo o di qualsiasi altra cosa che non siano gli ultimi avvenimenti internazionali, molti dei quali è probabile raggiungano una qualche conclusione nelle prossime settimane. I media “di regime” racconteranno infatti ogni singolo evento tralasciando di presentare il legame che unisce tutti questi fatti.

Qualcuno sta facendo sicuramente tutto ciò che è in suo potere per causare la guerra civile in Iraq, questo mese, se possibile. La Coalizione presente in Iraq si sta disintegrando così come il paese, ed è stata emanata anche una direttiva per il ritiro delle truppe entro la fine dell’anno. Si stanno creando le condizioni per giustificare un nuovo attacco all’Iran, per le sue ambizioni nucleari o per le aspettative della Borsa Petrolifera. I mercati delle materie prime stanno vendendo a un prezzo che è il più alto negli ultimi 25 anni e un impulso è necessario per mantenere i prezzi a questi livelli. L’OPEC minaccia di tagliare la produzione di greggio mentre la Royal Dutch Shell fa del suo meglio per abbassare la capacità produttiva della Nigeria. Il mercato azionario sta lottando per mantenere la stessa contrazione e controllo necessari ad affrontare il prevedibile crollo. Il mercato del dollaro e delle obbligazioni ha la necessità di sapere se sarà necessario aumentare il debito per finanziare una nuova guerra, intanto il livello del debito pubblico americano è già al limite.
Detto questo, il nuovo direttore della Federal Reserve sta per raggiungere l’importante scadenza dei due mesi, ricorrenza che ha visto anche i tre direttori precedenti affrontare una medesima crisi. Comunque il processo democratico continua nel resto del mondo e, una elezione questo mese in Israele, e il prossimo mese in Italia ci diranno verso quale direzione si muove il mondo.
Perché nessuno cerchi di trovare la connessione tra tutti questi eventi è oltre la mia comprensione, così come l’atteggiamento dei media di trattenere il fiato in attesa di vedere cosa accadrà alla fine del conto alla rovescia.

Iraq

Nel corso della storia ogni potenza occupante che ha dovuto affrontare il ritiro ha messo in atto, prima della sconfitta, la strategia della “terra bruciata”.
La guerra civile tra le popolazioni locali è sempre stata la migliore alternativa per gli invasori. L’Inghilterra è stata la nazione più abile a fomentare la Guerra Civile quando l’impero stava crollando. Gli Inglesi fecero tutto il possibile per causare una guerra civile negli Stati Uniti con gli eventi che portarono al 1860, quando risultò chiaro che la Banca Centrale d’Inghilterra aveva perduto il controllo del mercato americano. Non dovrebbe quindi sorprendere che l’India piombò nel caos tra indù e musulmani quando al paese fu assicurata l’indipendenza dalla corona.
Stessa storia riguardo al caos creato dalle truppe americane in Cambogia quando le forze imperialiste furono finalmente cacciate dal Vietnam.
Lasciare il territorio, dal quale gli invasori sono stati costretti a ritirarsi, inabitabile, è stata una pratica usuale per migliaia di anni.

Le forze della Coalizione che ancora restano in Iraq stanno chiaramente preparandosi per il ritiro entro la fine dell’anno. Questo perché molte nazioni hanno già lasciato la Coalizione e anche quelle rimaste hanno chiaramente manifestato questa intenzione.
La Corea del Sud ha già ridotto il suo contingente, il Giappone è pronto ad annunciare il proprio ritiro a giugno. La Danimarca a causa delle diserzioni non riesce a mantenere la “carne da cannone” di 500 soldati.
Non importa quale fascista venga eletto il mese prossimo in Italia perché entrambi i candidati hanno fatto campagna elettorale annunciando il ritiro delle truppe dall’Iraq.
I “prezzolati tirapiedi” Ucraini stanno lasciando, ma la coalizione può ancora contare sul supporto Polacco fino a quando sarà loro conveniente. Gli australiani comandano un gruppo scelto di ben 460 soldati e rimarranno fino a che troveranno un buco per nascondersi.
Lasciare l’Iraq in preda alla guerra civile è la sola opzione rimasta agli invasori. Per questo le forze americane inglesi ed israeliane rimaste continueranno con bombardamenti di moschee e stragi di civili iracheni con la speranza di creare così una via di fuga.





Iran

E’ chiaro che si sta rapidamente avvicinando il momento di stanare o di far fuori l’Iran. I mercati non vogliono continuare a sostenere lo stress di questa minaccia senza che ci sia una completa liquidazione di qualche tipo. Mi sembra abbastanza chiaro che questa guerra annunciata è tutta una montatura senza fondamento. Considerando che l’Iraq è pronto a cacciare gli invasori, non posso che immaginare che la coalizione o comunque gli Stati Uniti, decidano, “coraggiosamente” di colpire l’Iran.
L’Iran ha risentito più che della perdita della guerra di 15 anni fa, delle sanzioni economiche degli anni seguenti che l’hanno reso un bersaglio facile per l’attacco e l’invasione da parte degli Stati Uniti. Una tra le tante ragioni per le quali penso che questa guerra sia tutta una montatura è che i principali attori che la sosterrebbero non sono ancora venuti allo scoperto. L’ex primo ministro israeliano Sharon vive ormai nel suo mondo dei sogni e due interi gruppi di Guardie Generali Rivoluzionarie Iraniane sono stati “miracolosamente mandati a casa” da Allah.
Mentre coloro che dovrebbero opporsi al conflitto restano silenziosi osservatori, tutti gli altri restano inoperosi in attesa dello “scoppio della pace”.

Penso che le ambizioni nucleari iraniane non siano nient’altro che un tentativo di aumentare la produzione energetica, in modo da permettere al paese di esportare più petrolio in un mercato che già è in fase di saturazione. L’ipocrisia di non permettere all’Iran di produrre energia nucleare, a causa del trattato di non proliferazione, è ormai più di quanto una persona sana di mente possa sopportare. Negli ultimi 35 anni gli Stati Uniti non hanno fatto assolutamente nulla per onorare i termini di questo accordo, che chiede agli Stati Uniti e alle altre nazioni armate con il nucleare, di ridurre ed eliminare i loro arsenali di bombe e missili nucleari. E’ inconcepibile come nessuno urli a gran voce che il trattato di non proliferazione non ha più alcuna validità.
Credo sarebbe relativamente semplice raggiungere un accordo riguardo l’arricchimento del combustile nucleare iraniano entro questo mese. Se la Russia e l’Iran non approfittassero di questo insolito rialzo dei prezzi per le loro esportazioni questo accordo addirittura potrebbe essere concluso in qualche ora.
Non c’è proprio nessun motivo ad impedire il raggiungimento di una rapida conclusione.

C’è un altro argomento che circola con insistenza in internet, come succede per il mito del “Peak Oil”, e riguarda l’apertura della Borsa Iraniana del petrolio entro la fine di questo mese. Questa “buona novella” potrebbe far pensare che la sua creazione possa avere come conseguenza un crollo del dollaro. Ma considerato che solitamente, per ciò che riguarda le notizie che circolano in rete, il loro esatto contrario corrisponde a verità, se davvero gli USA vogliono aumentare il valore del dollaro quasi certamente la creazione di una Borsa iraniana del petrolio potrebbe essere d’aiuto in tal senso. Se davvero questa Borsa aprirà, notizia che per ora circola solo in rete, allora sarà chiaro per tutti che la FED ne sarà stata la principale artefice.
Fosse anche solo per questa ragione, non ci sarà nessuna guerra in Iran.

I mercati

Per quanto riguarda i mercati, deve ancora passare del tempo prima di giungere ad una fase cruciale. Da una prospettiva storica direi che il più importante evento che gli ultimi tre direttori della Fed hanno dovuto affrontare sia stata una grossa crisi di fiducia entro i primi due mesi dall’insediamento.
Sir Alan Greenspan era alla guida da due mesi quando il DOW ha subito una vertiginosa caduta in un solo giorno nel 1987. Paul Volcker ha dovuto fronteggiare una crisi monetaria e finanziaria due mesi dopo aver assunto l’incarico e siamo molto vicini al “magico” termine dei due mesi anche per l’ultimo direttore della FED Ben Shalom Bernanke. Benboy ha alcune frecce al suo arco che non potranno comunque aiutarlo a superare questa prova del fuoco.

Il programma decennale del tesoro ha raggiunto il livello più alto negli ultimi due anni. Trascorso l’inverno le persone torneranno a cercare case da comprare e allora sarà necessario prevenire che la speculativa esploda, e la via più sicura per evitare il crollo del mercato delle case è che i tassi di interesse scendano. Credo che una volta che sarà chiaro a tutti che non ci sarà la guerra in Iran, i tassi di interesse cominceranno a scendere. E’ da notare che siamo al limite massimo del credito che il congresso si è concesso. Credo che, indipendentemente da ciò che voi o io possiamo pensare, al congresso possa convenire aumentare il limite di credito, ma per il momento questo serve per ridurre l’ammontare del debito. Insieme con i tassi di interesse la ripresa del dollaro ha cominciato a rallentare e si avverte la necessità di un piccolo stimolo per superare la resistenza del livello 91/92 sugli indici. Sono sicuro che se la pace scoppiasse tra USA e Iran questo sarebbe il modo più semplice per accrescere il valore del dollaro.

Anche la ripresa del mercato delle merci sembra in via di esaurimento e se non riceverà al più presto una spinta si arriverà al disastro. L’indice S&P500 (standard e poor indice) è cresciuto di circa il 2% questo anno ma considerando le forti resistenze che ha incontrato è possibile abbia raggiunto il livello massimo del 2006.
Il mercato sta approfittando di questo momento, e questo potrebbe portare alla crisi che Shalom Bernanke dovrà affrontare per mettere alla prova il suo coraggio. Credo che il mercato sia in attesa della direzione verso la quale indirizzare gli investimenti, e che ci sia un’enorme quantità di denaro fermo in attesa degli sviluppi della situazione iraniana.

Il mercato delle materie prime sta inviando segnali allarmanti e credo proprio da qui esploderà la crisi di Bernie. Recentemente uno dei ministri delle finanze russi ha dichiarato che i mercati legati all’indice RTS stanno sperimentando una bolla speculativa, questo può dirci molto riguardo ai prezzi delle materie prime. L’oro si sta vendendo al prezzo più alto degli ultimi 25 anni ed il petrolio, sebbene con un’eccedenza di un milione di barili al giorno, continua ad essere venduto con una media di 60 dollari. Ancora non capisco come l’OPEC possa parlare di una riduzione di un milione di barili, mentre al Canada, con l’imbroglio “Tar Sand” si permette di mantenere la vendita di un milione di barili ad un prezzo elevato.
Occorre intervenire in qualche modo e la coalizione delle Sette Sorelle sta facendo di tutto per tagliare la produzione di greggio: lo ha già fatto riducendo la produzione in Iraq, in Venezuela, Russia, Sudan e ultimamente in Nigeria.
Questo mese ci sarà un incontro dell’OPEC in cui verrà discussa la riduzione delle quote. Se c’è una cosa che la FED potrebbe fare per sostenere il deficit è proprio quella di far sgonfiare la bolla speculativa delle materie prime e da ciò trarremo una chiara indicazione su cosa intendano fare in questo mese.

Marzo promette di essere uno dei mesi più interessanti degli ultimi 3 anni da quando gli USA hanno deciso di aprire il vaso di Pandora invadendo l’Iraq. La Coalizione riuscirà a dare inizio alla Guerra Civile in Iraq? L’Iran sarà denunciata al Consiglio di Sicurezza dell’ONU con la conseguenza dell’inizio della guerra? Ci sarà una Borsa iraniana del petrolio e quale sarà il suo effetto sul dollaro? L’OPEC taglierà le quote o le riserve del Canada si esauriranno prima? Il mercato delle materie prime continuerà a crescere e l’intero sistema economico fondato sul dollaro imploderà? Riuscirà mai Israele ad eleggere “un essere umano” come Primo Ministro? Ed infine, anche Ben Shalom Bernanke riceverà la sua iniziazione allo scoccare dei due mesi come nuovo direttore della FED? È veramente sorprendente come tutto succeda in questo mese, ma la cosa ancora più sorprendente è che sembra che nessuno ne voglia parlare. Quasi che possa portare sfortuna e il missile possa esplodere sulla rampa di lancio.
Pace.

centrosardegna
00lunedì 10 aprile 2006 21:41
Iran: deciso l’attacco atomico



Seymour Hersh è il migliore giornalista USA in questioni militari.
Fu lui a rivelare al mondo la strage americana degli abitanti di My Lai (Vietnam 1969), per cui fu insignito del premio Pulitzer.
E' stato lui a rivelare, nel 2004, le torture ad Abu Ghraib.
Va dunque preso sul serio anche oggi: ha rivelato che Bush e i neocon contano di incenerire l'Iran con bombe atomiche.
Il suo lungo reportage sul New Yorker è denso di informazioni da fonti altissime, e rende il clima paranoide che domina la Casa Bianca.
Lì, il premier iraniano Ahmadinejad viene definito «il nuovo Hitler» («è questo il nome che usano», dice un anonimo alto funzionario dell'intelligence).
Il presidente Bush si sente investito dalla missione di salvare il mondo dal nuovo Hitler: «Salvare l'Iran sarà la mia eredità al mondo», ripete.
E si sente libero di obbedire alla voce interiore perché, essendo all'ultimo mandato, non deve affrontare nuove elezioni: «farò quello che nessun democratico o repubblicano, se eletto in futuro, avrebbe il coraggio di fare».
Cosa?
Il cambio di regime con le bombe.
Alla Casa Bianca si pensa che «una robusta, sostenuta campagna di bombardamenti umilierà i capi religiosi e porterà la popolazione ad insorgere e a cacciare il governo», riferisce un'altra fonte.



E aggiunge: «mi ha colpito molto quando l'ho sentito. Che cosa fumano?, mi sono chiesto».
Ma la droga è quella somministrata dal Washington Institute for Near East Policy, un altro «pensatoio» della lobby israeliana.
Patrick Clawson, l'iranologo del pensatoio, conduce i pensieri presidenziali: fingiamo di continuare gli sforzi diplomatici, detta l'esperto, ma rendiamo chiaro che Teheran non ha altra scelta che capitolare alle richieste americane, o subire un attacco militare.
Il presidente ha cominciato ad incontrare alcuni senatori, di cui almeno uno democratico, per metterli a parte dei suoi piani sull'Iran.
Una fonte dice che da quei colloqui discreti si è visto che «il Congresso non preme affatto» per evitare l'azione militare, «la sola pressione politica viene dai tizi che l'attacco lo vogliono» (la nota lobby).
La cosa allarmante, aggiunge questa fonte, è che «il nostro (presidente) ha una visione messianica».
La più grande potenza nucleare guidata da un fanatico fondamentalista: assai più fanatico e irrazionale di Ahmadinejad, che la bomba non l'ha ancora, e forse l'avrà fra un decennio.
Operazioni intimidatorie sono già in corso.
A parte azioni di sabotaggio e agitazione all'interno del Paese, caccia-bombardieri in decollo dalle portaerei del Golfo Persico stanno conducendo voli che simulano le manovre di bombardamento atomico («over the shoulder bombino», nel gergo) sotto lo sguardo dei radar iraniani.



Il colonnello Sam Gardiner, docente in pensione del National War College, ha fornito un rapporto scritto sugli obbiettivi da colpire in Iran: almeno 400.
«L'Iran ha probabilmente due impianti di produzione di armi chimiche. Dovremo colpire quelli. Avremo la necessità di colpire anche i missili balistici a medio raggio che sono stati recentemente ri-dispiegati vicino all'Iraq. Ci sono 14 campi d'aviazione con hangar corazzati… dovremo liberarcene. Avremo bisogno di neutralizzare le piattaforme che possono essere usate contro la navigazione nel Golfo: questo significa colpire i siti dei missili da crociera e dei sottomarini diesel… Diversi di questi impianti sono difficili da colpire, anche con bombe a penetrazione. Gli USA dovranno usare unità di operazione speciale».
Il problema è la centrale delle centrifughe di Natanz, 25 metri sotto terra, dove trovano posto 50 mila centrifughe per l'arricchimento.
I satelliti-spia hanno scoperto gli impianti di ventilazione in superficie, simili a uguali impianti sotterranei identificati in URSS molti anni fa.
Allora, il Pentagono valutò che solo bombe atomiche potevano mettere fuori uso quegli impianti sovietici.
I bombardieri strategici invisibili B-2 sono prescelti per questo attacco, come raccomandato dai guerrieri da tavolino neocon.



Ma i militari veri, al Pentagono, dicono: non si sa abbastanza di quei ventilatori: quali alimentano i diesel, quali fanno respirare gli addetti, e quanti sono falsi.
A maggior ragione, è la risposta dei guerrieri in doppiopetto, solo ordigni nucleari possono con sicurezza fare «il lavoro in modo decisivo».
«Questi politici non hanno idea», ha detto ad Hersh un altissimo ufficiale: «qui stiamo parlandodi fungo atomico, morti di massa, radiazioni, contaminazione che durerà anni».
Gli Stati Maggiori Riuniti hanno cercato di far pressione sui «politici» (Rumsfeld e la sua cricca israeliota) per togliere dalle possibilità un attacco nucleare.
«Ai più alti livelli» militari l'opposizione è fortissima, e può portare alle dimissioni di diversi ufficiali.
L'alto comando presenterà una formale raccomandazione contro l'uso di armi atomiche; dopo di che, probabilmente, non avranno altra opzione che dimettersi.
In ogni caso, i bombardamenti non potranno essere chirurgici.
L'Air Force ha identificato «centinaia» di obbiettivi da colpire per la sicurezza dei propri mezzi ed uomini, e «il 99 % di questi obiettivi non ha nulla a che fare con la proliferazione».
Commandos americani sono già sul terreno.
Protetti dalle minoranze azere e baluchi (che pagano profumatamente), identificano i bersagli e si preparano ad «illuminarli» coi laser per teleguidare le bombe degli aerei.
Ciò indica che il grande attacco è prossimo: non si possono tenere quegli uomini sul terreno per mesi.



Gli israeliani premono, fanno fretta, e hanno già lanciato la guerra psicologica per giustificare l'aggressione.
Una inserzione a tutta pagina dell'American Jewish Congress, apparsa su tutti i giornali USA,mostra una mappa del mondo, con l'Iraq al centro, e il raggio dei suoi missili presenti e futuri: i più avanzati (e non ancora esistenti) possono colpire Londra, Oslo, Parigi…
«Chi si sente sicuro sotto il tiro dei missili iraniani?», strilla il titolo.
Ognuno in Europa può pensare da sé per quale ragione mai l'Iran dovrebbe incenerire Parigi od Oslo.
Ma la campagna di terrore preventivo è diretta per il pubblico americano.
Rafforza la pressione che il regime d'Israele sta facendo su tutto il sistema di potere americano, mandando un viavai di delegazioni per dire che il tempo stringe, che gli USA devono colpire «subito», altrimenti Israele «farà da sé».
«E lo faccia», risponderebbe un presidente meno messianico e più realista.
Ma Bush, ad ogni visita, si sente ancora più invaso dalla sua missione apocalittica.
Meir Dagan, capo del Mossad, gli dice che l'Iran avrà la bomba entro uno-due anni.
La AIEA e la CIA sostengono che, al minimo, a Teheran occorreranno dieci anni.
E' facile capire chi riceverà ascolto.



Gli inglesi sono spaventati delle ricadute in Europa di un attacco nucleare contro un Paese che non è in guerra: un crimine contro l'umanità di gravità inaudita.
Jack Straw, il ministro degli Esteri di Londra, ha detto: «non c'è flagranza, manca il casus belli».
Implora dalla Casa Bianca un motivo per giustificare l'attacco agli occhi dell'opinione pubblica.
E probabilmente l'avrà.
Non a caso, Rudolph Giuliani ha cominciato a «prevedere» un nuovo mega-attentato su suolo americano.
«L'11 settembre non resterà isolato nella storia», ha detto alla Illinois University di Chicago.
Il timore dei bene informati sui mandanti dell'auto-attentato prossimo è che esso, per giustificare una risposta atomica, possa essere in qualche modo nucleare: o una piccola esplosione o una bomba sporca da addebitare a Teheran.
Con migliaia di vittime americane.
Ma forse, in fondo, sarà più facile.
Un primo attacco convenzionale USA potrebbe provocare, come temuta risposta iraniana, il blocco degli stretti di Ormutz.
Conseguenza immediata, il greggio a 100-200 dollari a barile.
E il conseguente rincaro dei carburanti alle nostre pompe.
Allora tutto il civile Occidente degli automobilisti sarà a gridare: «Nuke Iran!».
Tutti convinti ad invocare l'atrocità più grossa della storia dell'uomo.
(E il Papa va ad Israele. Se non per dire la verità, perché non si risparmia il viaggio?
Un giorno il mondo giudicherà «il silenzio del Papa» sul Quarto Reich e i suoi delitti).

centrosardegna
00lunedì 10 aprile 2006 22:18
I PIANI PER L'IRAN (PARTE I)

Il Presidente Bush scenderebbe in guerra per impedire a Tehran di ottenere la bomba?

L'amministrazione Bush, mentre sostiene pubblicamente la diplomazia per impedire all'Iran di sviluppare un'arma nucleare, ha aumentato le attività clandestine all'interno dell'Iran e intensificato i piani per un possibile ed importante attacco aereo. Funzionari odierni e passati dell'esercito statunitense e dell'intelligence hanno detto che gruppi di progettisti dell'Aviazione stanno preparando delle liste di bersagli, mentre squadre di truppe da combattimento statunitensi sono state dislocate in Iran, sotto copertura, per raccogliere informazioni sugli obbiettivi e per stabilire contatti con i gruppi di minoranze etniche anti-governative. I funzionari dicono che il Presidente Bush è determinato a negare al regime iraniano la possibilità di iniziare un programma di sperimentazione, previsto per questa primavera, di arricchimento dell'uranio.

Le agenzie di intelligence americane ed europee, e l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA), sono d'accordo che l'Iran sia intento a sviluppare la capacità di produrre armi nucleari. Ma ci sono stime molto differenti su quanto impiegherà, e se la diplomazia, le sanzioni, o l'intervento militare siano il modo migliore per impedirlo. L'Iran insiste che la sua ricerca è solo per usi pacifici, in accordo con il Trattato di Non-Proliferazione Nucleare, e che non si farà ritardare o dissuadere.

C'è una convinzione crescente, tra i membri dell'esercito degli Stati Uniti, e nella comunità internazionale, che l'obbiettivo finale del Presidente Bush nel confronto nucleare con l'Iran sia il cambio di regime. Il Presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, ha messo in dubbio la realtà dell'Olocausto e detto che Israele doverebbe essere "eliminata dalla mappa". Bush ed altri nella Casa Bianca lo vedono come un potenziale Adolf Hitler, ha detto un ex alto funzionario dell'intelligence. "Quello è il nome che stanno usando. Dicono, 'L'Iran otterrà forse un'arma strategica e minaccerà un'altra guerra mondiale?' ".




[Mahmoud Ahmadinejad]

Un consulente del governo con stretti legami nella leadership civile nel Pentagono ha detto che Bush era "assolutamente convinto che l'Iran sta per ottenere la bomba" se non fermato. Ha detto che il Presidente crede di dover fare "quello che nessun Democratico o Repubblicano, se eletto nel futuro, avrebbe il coraggio di fare", e "che salvare l'Iran sta per diventare il suo lascito".

Un ex funzionario della difesa, che si occupa ancora di temi sensibili per l'Amministrazione Bush, mi ha detto che i piani militari sono stati basati sulla convinzione che "una sostenuta campagna di bombardamenti in Iran umilierà la leadership religiosa e condurrà la popolazione a sollevarsi e abbattere il governo". Ha aggiunto, "Sono rimasto shockato quando l'ho sentito, e mi sono chiesto, 'Cosa stanno fumando?' ".

La logica per il cambio di regime è stata articolata ai primi di marzo da Patrick Clawson, un esperto dell'Iran che è il vice-direttore per la ricerca al Washington Institute per la Politica del Vicino Oriente, un sostenitore del Presidente Bush. "Fino a quando l'Iran avrà una repubblica islamica, avrà un programma di armamenti nucleari, almeno in clandestinità", ha detto Clawson al Comitato del Senato per le Relazioni Estere il 2 marzo. "Il punto chiave, dunque, è: Quanto durerà l'attuale regime iraniano?".

Quando ho parlato a Clawson, ha enfatizzato che "questa Amministrazione sta impiegando molte energie nella diplomazia". Comunque, ha aggiunto, l'Iran non ha altra scelta che cedere alle richieste degli Stati uniti o affrontare un attacco militare. Clawson ha detto di temere che Ahmadinejad "veda l'Occidente come un fifone e pensa che alla fine cederemo". Dobbiamo essere pronti a trattare con l'Iran se la crisi peggiora". Clawson ha detto che preferirebbe contare sul sabotaggio ed altre attività clandestine, come gli "incidenti industriali". Ma, ha sostenuto, sarebbe prudente prepararsi per una guerra più ampia, "dato il modo in cui stanno agendo gli Iraniani. Non è come progettare di invadere il Quebec".

Un progettista militare mi ha detto che le critiche della Casa Bianca all'Iran e il tempo sostenuto di pianificazione e attività clandestine si inseriscono in una campagna di "coercizione" diretta all'Iran. "Bisogna essere pronti ad andare, e vedremo come risponderanno", ha detto il funzionario. "Devi mostrare davvero una minaccia per far indietreggiare Ahmadinejad". Ha aggiunto, "la gente pensa che Bush si sia concentrato su Suddam Hussein a partire dall'11 settembre", ma, "dal mio punto di vista, se dovevi nominare una nazione che fosse il suo tarlo in tutti i modi, era l'Iran". (In risposta a richieste dettagliate di commento, la Casa Bianca ha detto che non avrebbe commentato il piano militare, ma ha aggiunto: "Come ha indicato il Presidente, stiamo perseguendo una soluzione diplomatica", il Dipartimento della Difesa ha anche detto che l'Iran era stato trattato con "canali diplomatici", ma non avrebbe lavorato su quelli; la CIA ha detto che c'erano delle "incuranze"in questo resoconto ma senza specificare quali).

"Questo è molto più che una questione nucleare", mi ha detto un diplomatico di alto rango a Vienna. "Quello è solo un punto di contesa, e c'è ancora tempo per risolverlo. Ma l'Amministrazione crede che non possa essere risolto finché non controlleranno i cuori e le menti dell'Iran. Il vero problema è chi controllerà il Medio Oriente e il suo petrolio nei prossimi dieci anni".

Un ex consigliere del Pentagono sulla guerra al terrore ha espresso un'opinione simile. "Questa Casa Bianca crede che l'unico modo di risolvere il problema sia cambiare la struttura di potere in Iran, che significa guerra". Il pericolo, ha sostenuto, era che "rinforzi anche l'opinione in Iran che l'unico modo di difendere il paese sia avere un potenziale nucleare". Un conflitto militare che destabilizzi la regione potrebbe anche aumentare il rischio del terrore: "Hezbollah entra in gioco", ha detto il consigliere, riferendosi al gruppo terrorista che è considerato uno dei più riusciti al mondo, attualmente partito politico libanese con forti legami in Iran. "E qui subentra Al Qaeda".

Nelle ultime settimane, il Presidente ha iniziato silenziosamente una serie di incontri sui piani per l'Iran con pochi senatori chiave e membri del Congresso, tra cui almeno un Democratico. Un alto membro della Commissione per gli Stanziamenti della Casa Bianca, che non ha preso parte agli incontri ma ha discusso i loro contenuti con i suoi colleghi, mi ha detto che non c'erano stati "verbali formali", perché "sono riluttanti a "dare indicazioni alla minoranza. Si stanno lavorando il Senato, selettivamente".

Il membro della Casa ha detto che nessuno ai meeting "sta davvero obbiettando" che si parli di guerra. "Le persone che stanno informando sono le stesso che hanno condotto al cambiamento in Iraq. Per la maggior parte, le domande sono sollevate: Come colpirete tutti i siti in una volta sola? Come andrete abbastanza in profondità?" (l'Iran sta costruendo delle strutture edili sotterranee). "Non c'è pressione dal Congresso", non per intraprendere un'azione militare, ha aggiunto il funzionario della Casa Bianca. "L'unica pressione politica è dai tipi che vogliono farlo". Parlando del Presidente Bush, ha detto, "La cosa più preoccupante è che questo tipo ha una visione messianica".

Alcune operazioni, apparentemente indirizzate in parte ad intimidire l'Iran, sono già in corso. Gli aerei tattici della Marina Statunitense, che operano da porta-aerei nel Mar Arabico, hanno condotto delle missioni simulate per lo sgancio di armi nucleari – rapide manovre di ascesa note come bombardamento "sopra la spalla" – a partire dalla scorsa estate, ha detto l'ex funzionario, entro la portata dei radar costali iraniani.

Lo scorso mese, in una lezione tenuta durante una conferenza sulla sicurezza del Medio Oriente a Berlino, il colonnello Sam Gardiner, un analista militare che insegnava al National War College prima di ritirarsi dall'Aviazione, nel 1987, ha fornito una stima di quel che sarebbe necessario per distruggere il programma nucleare dell'Iran. Lavorando sulle fotografie satellitari degli impianti noti, Gardiner ha stimato che almeno 400 bersagli avrebbero dovuto essere colpiti. Ha aggiunto:

Non penso che un progettista militare degli Stati Uniti si fermerebbe lì. Probabilmente l'Iran ha due impianti di produzione chimica. Li colpiremmo. Vorremmo colpire i missili balistici di medio raggio che sono stati trasferiti proprio di recente più vicino all'Iraq. Ci sono quattordici campi aerei con aerei corazzati... Vorremmo sbarazzarci di quella minaccia. Vorremmo colpire le risorse che potrebbero essere usato per minacciare la navigazione sul Golfo. Questo significa prendere di mira i siti dei missili cruise e i sottomarini a gasolio iraniani... Alcuni degli impianti potrebbero essere troppo difficili da prendere di mira anche con armi di penetrazione. Gli Stati Uniti dovranno usare le unità per le Operazioni Speciali.

Uno dei possibili piani iniziali dell'esercito, come presentato dal Pentagono alla Casa Bianca questo inverno, si appella all'uso di armi nucleari tattiche anti-bunker, come la B6-11, contro i siti nucleari sotterranei. Un bersaglio è il principale impianto con centrifughe dell'Iran, a Natanz, circa duecento miglia a sud di Tehran. Natanz, che non è più sotto le tutele dell'AIEA, a quanto pare ha uno spazio sotterrano in grado di contenere centinaia di centrifughe, e laboratori e spazi di lavoro sepolti approssimativamente 75 piedi sotto la superficie. Quel numero di centrifughe potrebbe fornire abbastanza uranio arricchito per circa 20 testate nucleari all'anno. (L'Iran ha riconosciuto di aver inizialmente tenuto nascosto il suo programma di arricchimento dell'uranio agli ispettori dell'AIEA, ma afferma che nessuna delle sue attività attuali è proibita dal Trattato di Non Proliferazione). L'eliminazione di Natanz sarebbe una grave battuta d'arresto per le ambizioni nucleari dell'Iran, ma le armi convenzionali nell'arsenale statunitense non potrebbero assicurare la distruzione a 75 piedi sotto terra e roccia, specialmente se rinforzati con calcestruzzo.

C'è un precedete nella Guerra Freda per prendere di mira bunker molto sottoterra con armi nucleari. Nei primi anni '80-'90, la comunità dell'intelligence statunitense stava a guardare mentre il governo sovietico iniziava a scavare un enorme complesso sotterraneo fuori da Mosca. Gli analisti conclusero che l'impianto sotterraneo era ideato per la "continuità del governo" – in modo che la leadership politica e militare sopravvivesse ad una guerra nucleare. (Ci sono strutture simili, in Virginia e in Pennsylvania, per la leadership statunitense). L'impianto sovietico esiste ancora, e molto di quello che gli Stati Uniti sanno al riguardo resta classificato. "La 'rivelazione' – la prova – "era costituita dai condotti di ventilazione, alcuni dei quali erano camuffati", mi ha detto l'ex alto funzionario dell'intelligence. A quel tempo, ha sostenuto, fu determinato che "solo testate nucleari" avrebbero potuto distruggere i bunker. Ha aggiunto che alcuni analisti dell'intelligence Usa credono che i Russi aiutarono gli Iraniani a progettare il loro impianto sotterraneo. "Vediamo una somiglianza di design", specialmente nei condotti di ventilazione, ha detto.

Un ex funzionario di alto livello nel Dipartimento della Difesa mi ha detto che, dal suo punto di vista, persino un bombardamento limitato permetterebbe agli Stati Uniti di "entrare e fare abbastanza danno da rallentare l'infrastruttura nucleare – è fattibile". L'ex funzionario della difesa ha detto: "Gli Iraniani non hanno amici e possiamo dire loro che, se necessario, continueremo a buttare giù le loro infrastrutture. Gli Stati Uniti dovrebbero agire come se fossimo pronti a partire". Ha aggiunto, "Non dobbiamo abbattere tutte le loro difese aere. I nostri bombardieri invisibili e i missili lanciabili fuori tiro nemico funzionano davvero, e possiamo far saltare in aria cose aggiustate. Possiamo anche fare cose sul terreno, ma è difficile e molto pericoloso – o buttare roba cattiva nei condotti di ventilazione e metterli a dormire".

Ma quelli che non sono famigliari con il bunker sovietico, secondo un ex alto funzionario dell'intelligence, "dicono 'Non se ne parla'. Devi conoscere quello che sta sotto – per sapere quali ventilatori raggiungono le persone, o i generatori diesel, o quali sono falsi. E c'è molto che non sappiamo". La mancanza di informazioni sicure lascia i progettisti militari, dato l'obbiettivo di distruggere completamenti i siti, con poca scelta se non considerare l'uso di armi nucleari tattiche. "Ogni altra opzione, secondo i sostenitori delle armi nucleari, lascerebbe un vuoto", ha detto l'ex alto funzionario dell'intelligence". " 'Decisivo' è la parola chiave dei piani dell'Aviazione. E' una decisione dura. Ma in Giappone la prendemmo".


Ha continuato, "I progettisti nucleari affrontano un lungo addestramento e imparano i dettagli tecnici dei danni e della ricaduta radioattiva – stiamo parlando di nuvole a fungo, radiazioni, vittime di massa, e contaminazioni per anni. Questo non è un test nucleare sotterraneo, dove tutto quello che vedi è la terra un po' alzata. Questi politici non hanno un indizio, e quando qualcuno cerca di uscirne – rimuovendo l'opzione nucleare "viene messo a tacere".

L'attenzione prestata all'opzione nucleare ha creato dei gravi sospetti negli uffici dello Stato Maggiore della Difesa, ha aggiunto, e alcuni funzionari hanno parlato di dimissioni. Verso la fine di questo inferno, lo Stato Maggiore della Difesa ha cercato di rimuovere l'opzione nucleare dai piani di guerra in sviluppo per l'Iran – senza successo, ha detto l'ex funzionario dell'intelligence. "La Casa Bianca ha chiesto: 'Perché lo state mettendo in discussione? L'opzione è venuta da voi' ".

Il consigliere del Pentagono per la guerra al terrore ha confermato che alcuni nell'Amministrazione stavano guardando seriamente a questa opzione, che ha collegato ad un riemergere di interessi nelle armi nucleari tattiche tra i civili del Pentagono e nei circolo politici. Lo ha chiamato "un treno che deve essere fermato". Ha anche confermato che alcuni agenti ed alti funzionari stavano considerando di dimettersi per via della questione. "Ci sono sentimenti molto forti nell'esercito contro l'impiego di armi nucleari su altri paesi", mi ha detto il consigliere. "Questo arriva ai livelli alti". Presto la questione potrebbe raggiungere un punto di svolta, ha detto, perché lo Stato Maggiore della Difesa era d'accordo nell'inviare al Presidente una raccomandazione ufficiale dichiarando che sono fortemente contrari a considerare l'opzione nucleare per l'Iran. "Il dibattito interno su questo tema si è inasprito nelle ultime settimane", ha detto il consigliere. "E, se gli alti funzionari del Pentagono esprimono la loro opposizione all'uso di armi nucleari di offesa, allora non accadrà mai".

Il consigliere ha aggiunto, comunque, che l'idea di usare armi nucleari tattiche in tale situazione ha ottenuto il sostegno dal Comitato Scientifico della Difesa, un gruppo di consultazione i cui membri sono scelti dal Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. "Stanno dicendo al Pentagono che possiamo costruire una B61 con un maggior impatto e meno radiazioni", ha detto.


Il presidente del Comitato Scientifico della Difesa è William Schneider Junior, un sotto-segretario di stato nell'Amministrazione Reagan. Nel gennaio del 2001, mentre il Presidente Bush si preparava a prendere ufficio, Schneider ha prestato servizio in un gruppo ad-hoc per le forze nucleari sostenuto dal National Institute for Public Policy, un think tank conservatore. Il rapporto del gruppo raccomandava di trattare le armi nucleari tattiche come una parte essenziale dell'armamentario Usa e faceva notare la loro sostenibilità "per quelle occasioni in cui la distruzione certa e veloce di bersagli ad alta priorità è essenziale e va oltre la prospettiva delle armi convenzionali". Molti firmatari del rapporto sono ora membri eminenti dell'Amministrazione Bush, tra cui Stephen Hadley, il consigliere per la sicurezza nazionale, Stephen Cambone, il sotto-segretario alla difesa per l'intelligence; e Robert Joseph, il sotto-segretario di stato per il controllo delle armi e la sicurezza internazionale.

Il consigliere del Pentagono ha messo in dubbio il valore degli attacchi aerei. "Gli Iraniani hanno distribuito la loro attività nucleare molto bene, e non abbiamo dubbi su dove si trovi parte del loro equipaggiamento. Potrebbe persino essere fuori dal paese", ha detto, per poi avvertire, come hanno fatto molti altri, che bombardare l'Iran potrebbe provocare "una catena di reazioni" di attacchi sulle strutture statunitensi e i cittadini nel mondo: "Cosa penseranno 1.2 miliardi di Musulmani il giorno in cui attaccheremo l'Iran?".

Con o senza l'opzione nucleare, la lista di bersagli potrebbe inevitabilmente estendersi. Un funzionario dell'Amministrazione Bush andato in pensione di recente, che è anche un esperto in pianificazione di guerra, mi ha detto che avrebbe sostenuto vigorosamente un attacco aereo sull'Iran perché "l'Iran è un bersaglio molto più tosto" dell'Iraq. Ma, ha aggiunto, "Se stai per fare un qualunque bombardamento per fermare le testate nucleari, dovresti allo stesso modo migliorare la tua posizione sul campo. Forse colpire alcuni campi di addestramento, e risolvere un sacco di altri problemi".

Il consigliere del Pentagono ha detto che, nell'eventualità di un attacco in Iran, l'Aviazione intende colpire molte centinaia di bersagli ma che "il 99 % di loro non ha nulla a che fare con la proliferazione. Ci sono persone che credono sia il modo di agire" – che l'Amministrazione possa raggiungere i suoi obbiettivi politici in Iran con una campagna di bombardamenti, un'idea che è stata sostenta dai neo-conservatori.

Se fosse dato l'ordine di un attacco, le truppe da combattimento statunitensi che ora operano in Iran sarebbero in una posizione tale da segnalare i bersagli critici con dei raggi laser, per assicurare l'accuratezza dei bombardamenti e per minimizzare le vittime civili. All'inizio dell'inverno mi fu detto dal consulente governativo con stretti legami civili nel Pentagono che le unità stavano anche lavorando con i gruppi delle minoranze in Iran come gli Azeri a nord, i Baluchi, a sud-est, e i Curdi a nord-est. Le truppe "stanno studiando il terreno, ed elargendo denaro alle tribù etniche, e reclutando guide e pastori dalle tribù locali", ha detto il consulente. Un obbiettivo è mettere "gli occhi sul terreno". Citando un verso dal "Otello", ha detto: "Dammi la prova oculare". L'obbiettivo più ampio, ha detto il consulente, è "incoraggiare le tensioni etniche", e minare il regime.

La nuova missione per le truppe da combattimento è un prodotto dell'interesse di lunga data del segretario alla difesa Donald Rumsfeld nell'estendere il ruolo dell'esercito nelle operazioni segrete, che è stato trasformato in politica ufficiale nel Rapporto Quadriennale sulla Difesa del Pentagono, pubblicato a febbraio. Tali attività, se condotte da agenti della CIA, avrebbero bisogno di approvazione presidenziale e dovrebbero essere riportate ai membri chiave del Congresso.

"La 'protezione delle forze' è la nuova parola alla moda", mi ha detto l'ex alto funzionario dell'intelligence. Si stava riferendo alla posizione del Pentagono per cui le attività clandestine che possono essere ampiamente classificate come una preparazione del campo di battaglia o come protezione delle truppe siano operazioni militari, non di intelligence, e dunque non sono soggette alla supervisione del Congresso. "I tipi nello Stato Maggiore della Difesa dicono che ci sono molte incertezze in Iran", ha affermato. "Abbiamo bisogno di avere più di quanto avevamo in Iraq. Ora abbiamo segnale verde per fare tutto quello che vogliamo".

La profonda sfiducia del Presidente nei confronti di Ahmadinejad ha rafforzato la sua determinazione ad affrontare l'Iran. La prospettiva è stata corroborata da accuse per cui Ahmadinejad, che entrò nelle forze speciali di brigata delle Guardie Rivoluzionarie nel 1986, avrebbe potuto essere coinvolto in attività terroristiche sul finire degli anni '80. (Ci sono dei buchi nella biografia ufficiale di Ahmadinejad in quel periodo). E' stato riferito che Ahmadinejad era collegato a Imad Mughniyeh, un terrorista che è stato implicato nei mortali attentati all'ambasciata Usa e ai marine Usa nelle caserme di Beirut il 1983. Mughniyeh era allora il responsabile sicurezza di Hezbollah; rimane nella lista dei terroristi più ricercati dall'FBI.

Robert Baer, che è stato un agente della CIA in Medio Oriente e altrove per due decenni, mi ha detto che Ahmadinejad e i suoi colleghi della Guardia Rivoluzionaria nel governo iraniano "sono in grado di costruire una bomba, nasconderla, e lanciarla su Israele. Sono Sciiti apocalittici. Se sei seduto a Tel Aviv e credi che abbiano testate nucleari e missili – devi sbarazzarti di loro. Questi tipi sono svitati, e non c'è ragione per indietreggiare".

Sotto Ahmadinejad, le Guardie Rivoluzionarie hanno esteso la loro base di potere mediante la burocrazia iraniana; entro la fine di gennaio, avevano rimpiazzato migliaia di funzionari civili con i loro membri. Un ex alto funzionario delle Nazioni Unite, che ha molta esperienza dell'Iran, ha raffigurato il cambiamento come "un colpo di stato bianco", con minacciose implicazioni per l'Occidente. "Professionisti del Ministero degli Esteri sono fuori; altri stanno aspettando di essere buttati fuori", ha detto. "Potremmo essere in ritardo. Ora questi individui credono di essere più forti che mai, da quando c'è stata la rivoluzione". Ha affermato che, considerando in particolare l'emergere della Cina come superpotenza, l'attitudine dell'Iran era "Al diavolo l'Occidente. Puoi fare come vuoi".

Il supremo leader religioso dell'Iran, Ayatollah Khamenei, è considerato da molti esperti come in una posizione più forte rispetto ad Ahmadinejad. "Ahmadinejad non ha controllo", mi ha detto un diplomatico europeo. "Il potere è diffuso in Iran. Le Guardie Rivoluzionarie sono tra i sostenitori chiave del programma nucleare, ma, in ultima analisi, non penso che ne siano responsabili. Il Leader Supremo ha il voto decisivo sul programma nucleare, e le Guardie non prenderanno iniziative senza la sua approvazione.

Il consigliere del Pentagono per la guerra al terrore ha detto che "permettere all'Iran di avere la bomba non è in discussione. Non possiamo avere delle testate cedute ad una rete del terrore. E' semplicemente troppo pericoloso". Ha aggiunto: "tutto il dibattito interno è in che modo procedere per fermare il programma iraniano. E' possibile, ha detto il consigliere, che l'Iran rinuncerà unilateralmente ai suoi piani nucleari – e prevenga un intervento degli Stati Uniti. "Dio potrebbe sorriderci, ma non lo penso. La sostanza è che l'Iran non può diventare un stato con armi nucleari. Il problema è che solo diventando uno stato nucleare l'Iran capirà che non può difendersi dagli Stati Uniti. Succederà qualcosa di brutto".

centrosardegna
00martedì 11 aprile 2006 22:12
I PIANI PER L'IRAN (PARTE II)



Mentre quasi nessuno mette in dubbio le ambizioni nucleari dell'Iran, c'è un intenso dibattito su quanto presto otterrà la bomba, e cosa fare al riguardo. Robert Gallucci, un ex esperto del governo in non-proliferazione, che è ora il preside della School of Foreign Service a Georgetown, mi ha detto, "In base a quanto ne so, all'Iran potrebbero mancare dagli 8 ai 10 anni" per sviluppare un'arma nucleare lanciabile. Gallucci ha aggiunto, "Se avessero un programma nucleare segreto e potessimo provarlo, non potremmo fermarlo con la negoziazione, la diplomazia, la minaccia di sanzioni. Sarei a favore della sua eliminazione. Ma se lo fai" – se bombardi l'Iran – "senza essere in grado di dimostrare che ci sia un programma segreto, sei nei guai".

Lo scorso dicembre, Mei Dagan, il direttore de Mossad, l'agenzia di intelligence israeliana, ha detto al Knesset che l'Iran è distante due anni, al massimo, dall'avere l'uranio arricchito. Da allora, il completamento della loro arma nucleare è solo una questione tecnica". In una conversazione con il sottoscritto, un alto funzionario dell'intelligence israeliana ha parlato di quella che aveva definito la duplicità dell'Iran: "Ci sono due programmi nucleari paralleli" in Iran – il programma dichiarato all'AIEA e un'operazione separata, condotta dall'esercito e dalle Guardie Rivoluzionarie. I funzionari israeliani hanno ripetutamente sostenuto questa tesi, ma Israele non ha prodotta una prova pubblica a sostegno di ciò. Richard Armitage, il vice-segretario di stato durante il primo mandato di Bush, mi ha detto, "Penso che l'Iran abbia un programma segreto di armi nucleari – lo credo, ma non lo conosco".

Negli ultimi mesi, il governo pakistano ha dato agli Stati Uniti un nuovo accesso ad A. Q. Khan, il cosiddetto padre della bomba atomica pakistana. Khan, che sta ora vivendo agli arresti domiciliari ad Islamabad, è accusato di aver creato un mercato nero di materiale nucleare; ha fatto almeno una visita clandestina a Tehran verso la fine degli anni '80. Durante gli interrogatori più recenti, Khan ha fornito delle informazioni sulla progettazione delle armi iraniane e sulla loro tabella di marcia per costruire una bomba. "Il quadro è di 'indubbio pericolo' ", ha detto l'ex alto funzionario dell'intelligence. (Il consigliere del Pentagono ha anche confermato che Khan ha "cantato come un canarino"). La preoccupazione, ha detto l'ex alto funzionario dell'intelligence, è che "Khan ha dei problemi di credibilità. E' suggestible, e sta dicendo ai neo-conservatori quello che vogliono sentire" – o quel che potrebbe essere utile al Presidente del Pakistan, Pervez Musharraf, che è sotto pressione per assistere Washington nella guerra al terrore.

"Penso che Khan ci stia ingannando", ha detto l'ex agente dell'intelligence. "Non conosco nessuno che dice, "Ecco la pistola fumante'. Ma le luci stanno iniziando ad accendersi. Ci sta fornendo informazioni sulla tabella di marcia, mentre delle informazioni mirate stanno venendo dalle nostre fonti – sensori e squadre segrete. La CIA, che è stata così danneggiata dalla storie sulle armi di distruzione di massa irachene, sta per andare al Pentagono e nell'ufficio per Vice Presidente per dire, 'E' tutta roba nuova'. Le persone nell'Amministrazione stanno dicendo, 'Ne abbiamo avuto abbastanza'.

Il caso dell'amministrazione contro l'Iran è compromesso dalla sua storia nel promuovere false informazioni sulle armi di distruzione di massa in Iraq. In un recente saggio sul sito web di Foreign Policy, intitolato "Fregami due volte", Joseph Cirincione, il responsabile per la non-proliferazione al Carnegie Endowment for International Peace, ha scritto, "La strategia dell'Amministrazione che si sta rivelando sembra essere un tentativo di ripetere la sua vittoriosa campagna per la guerra in Iraq". Ha notato molti paralleli:

Il vice presidente degli Stati Uniti ha tenuto un importante discorso incentrato sulla minaccia di una nazione ricca di petrolio in Medio Oriente. Il Segretario di Stato Usa dice al Congresso che la stessa nazione è la nostra più grave sfida globale. Il Segretario della Difesa chiama quella nazione la prima sostenitrice del terrorismo globale.

Cirincione ha definito alcune delle affermazioni dell'Amministrazione sull'Iran "discutibili" o mancanti di prove. Quando gli ho parlato, ha chiesto, "Cosa sappiamo? Qual'è la minaccia? La domanda è: quanto è urgente tutto ciò?". La risposta, ha detto, "è nella comunità dell'intelligence e nell'AIEA". (Ad agosto, il Washington Post ha riportato che la più recente stima complessiva dell'Intelligence nazionale prevedeva che all'Iran mancassero dieci anni per diventare una potenza nucleare).

Lo scorso anno, l'Amministrazione Bush ha informato i funzionari dell'AIEA su quelle che diceva essere nuove ed allarmanti informazioni sul programma di armi dell'Iran, che è stato recuperato da un laptop iraniano. Le nuove informazioni includevano più di mille pagine con disegni tecnici di sistemi armati. Il Washington Post ha riportato che c'erano anche dei progetti per un piccolo impianto che potrebbe essere usato nel processo di arricchimento dell'uranio. Le fughe di notizie sul laptop sono diventate il punto focale degli articoli sul Times e altrove. I pezzi sono stati prodotti attentamente per far notare che il materiale in questione avrebbe potuto essere inventato a tavolino, ma anche degli alti funzionari Usa sono stati citati dire che sembrava essere vero. Il titolo nel resoconto del Times faceva, "SECONDO UN COMPUTER, GLI STATI UNITI CERCANO DI PROVARE GLI INTENTI NUCLEARI DELL'IRAN".

Mi è stato detto in delle interviste con agenti dell'intelligence Usa ed europea, comunque, che il laptop era più sospetto e meno rivelatore di quanto si pensasse. L'Iraniano che possedeva il laptop era stato inizialmente reclutato da agenti dell'intelligence tedesca e statunitense, che lavoravano insieme. Gli Statunitensi, alla fine, hanno perso interesse in lui. I Tedeschi hanno continuato, ma l'Iraniano era braccato dalle forze di contro-spionaggio iraniane. Non è noto dove sia oggi. Alcuni membri della famiglia sono riusciti a lasciare l'Iran con il suo laptop e lo hanno ceduto ad un'ambasciata Usa, a quanto pare in Europa. Era un classico "vieni, sei il benvenuto!".

Un agente dell'intelligence europea ha detto, "C'erano alcune esitazioni da parte nostra", su cosa provassero davvero i materiali, "e ancora non siamo convinti". I disegni non erano meticolosi, come suggerivano i resoconti del giornali, "ma aveva il carattere di schizzi", ha detto l'agente europeo. "Non era una prova schiacciante".

La minaccia dell'intervento militare Usa ha creato sgomento al quartier generale dell'AIEA, a Vienna. I funzionari dell'agenzia credono che l'Iran voglia essere in grado di costruire un'arma nucleare, ma "nessuno ha presentato uno straccio di prova di un programma parallelo di armi nucleari in Iran", mi ha detto il diplomatico di alto rango. La stima più precisa dell'AIEA è che l'Iran sia a cinque anni di distanza dal costruire una bomba nucleare. "Ma, se gli Stati Uniti non agiscono militarmente, renderanno lo sviluppo di una bomba una questione di orgoglio nazionale iraniano", ha detto il diplomatico. "L'intera questione è la valutazione di rischio da parte degli Stati Uniti sulle future intenzioni dell'Iran, e loro non si fidano del regime. L'Iran è una minaccia per la politica Usa".

A Vienna, mi è stato detto di un incontro eccessivamente prematuro di quest'anno tra Mohamed ElBaradei, il direttore generale dell'AIEA, che lo scorso anno ha vinto il Premio Nobel per la Pace, e Robert Joseph, il Sotto-Segretario di Stato per il Controllo delle Armi. Il messaggio di Joespeh è stato categorico, ha ricordato un diplomatico: "Non possiamo avere una singola centrifuga in funzione in Iran. L'Iran è una minaccia diretta alla sicurezza nazione degli Stati Uniti e dei nostri alleati, e non lo tollereremo. Vogliamo che Lei ci dia un'assicurazione che non dirà pubblicamente nulla che ci comprometta".

La forte mancanza di disponibilità di Joseph non era necessaria, ha detto il diplomatico, poiché l'AIEA era già stata indirizzata a prendere una forte posizione contro l'Iran. "Tutti gli ispettori sono rabbiosi per essere stati ingannati dagli Iraniani, e alcuni pensano che la leadership iraniana sia folle – 100 % folle certificata", ha detto il diplomatico. Ha aggiunto che la preoccupazione prioritaria di ElBaradei è che i leader iraniani "vogliono il confronto, proprio come i neo-con dall'altra parte" – a Washington. "Alla fine, funzionerà solo se gli Stati Uniti accettano di parlare con gli Iraniani".

La domanda centrale – se l'Iran sia in grado di procedere con i suoi piani per arricchire l'uranio – è ora al vaglio delle Nazioni Unite, con i Russi ed i Cinesi riluttanti ad imporre sanzioni su Tehran. Uno scoraggiato ex funzionario dell'AIEA mi ha detto verso la fine di marzo che, a questo punto, "non c'è nulla che gli Iraniani possano fare per ottenere un risultato positivo. La diplomazia Usa non lo permette. Anche se annunciassero la fine dell'arricchimento, nessuno crederebbe loro. E' un punto morto".

Un altro diplomatico di Vienna mi ha chiesto, "Perché l'Occidente rischierebbe di andare in guerra contro quel tipo di bersaglio senza lasciare all'AIEA di verificare? Siamo economici, e possiamo creare un programma che costringa l'Iran a mettere le proprie carte in tavolo". Un ambasciatore occidentale a Vienna ha espresso una simile angoscia per l'accantonamento dell'AIEA da parte della Casa Bianca. Ha detto, "Se non credi che l'AIEA possa istituire un sistema di ispezioni – se non tu fidi di loro – puoi solo bombardare":

C’è poca simpatia per l'AIEA da parte dell’amministrazione Bush e dei suoi alleati europei. “Siamo abbastanza irritati con la direzione generale”, mi ha detto il diplomatico ruropeo. “Il suo approccio base è stato descriverla come una disputa tra partecipanti con ugual peso. Ma non lo è. Noi siamo i buoni! El Baradei sta da tempo insistendo sull’idea di lasciare che l’ Iran abbia un piccolo programma di arricchimento nucleare, che è una cosa ridicola. Il suo lavoro non è far pressioni su argomentazioni false che sostengono un serio rischio di proliferazione.”

Gli Europei sono comunque preoccupati dalla loro sempre più realistica sensazione che il Presidente Bush e il Vice-Presidente Dick Cheney ritengano necessaria una campagna di bombardamenti, e che il loro vero obiettivo sia un cambio di regime. “Tutti hanno la stessa preoccupazione, ma nonostante ciò gli Stati Uniti vogliono che il regime cambi”, come mi ha riferito un consigliere diplomatico europeo. Ed ha aggiunto, “Gli Europei posso giocare un ruolo se non sono costretti a scegliere tra lo stare dalla parte dei Russi e dei Cinesi o dalla parte di Washington per qualcosa che non vogliono. La loro politica è tenere gli Statunitensi occupati con qualcosa con cui gli Europei possono convivere. Questo potrebbe essere insostenibile”.

“I Britannici pensano che sia proprio una cattiva idea,” ha detto Flynt Leverett, ex membro del Consiglio di Sicurezza Nazionale e adesso membro anziano del Brookings Institution al Saban Center“, e sono davvero preoccupati che [gli Europei] agiranno in quel modo”. Il consigliere diplomatico europeo ha ammesso che l’Ufficio degli Esteri Britannico era a conoscenza del piano di guerra di Washington ma che, “senza una ‘pistola fumante', sarà difficile coinvolgere militarmente gli Europei in Iran”. Egli ha detto che i Britannici “sono nervosi per il fatto che gli Statunitensi agiranno contro gli Iraniani, senza venire a compromessi”.

Il diplomatico Usa ha detto di essere stato scettico che l’Iran, dato il suo profilo, potesse aver ammesso tutto quello che stava facendo, ma “per quello che ne sappiamo, gli Iraniani non sono al punto in cui potevano già far funzionare centrifughe“ per arricchire uranio in quantità elevata. Una ragione per perseguire la via diplomatica era, ha detto, l’essenziale pragmatismo iraniano. “Il regime agisce nel perseguimento dei proprio interessi”, ha sostenuto. I leader iraniani “mantengono una linea d’approccio dura sulla questione nucleare e chiamano gli Statunitensi ingannatori“, credendo che più decisi sono, più è probabile che l’Occidente si piegherà”. Ma, ha aggiunto, “da quello che abbiamo visto con l’Iran, rimarranno super-fiduciosi fino al momento della loro ritirata”.

Il diplomatico ha continuato, “Un cattivo comportamento non merita di essere premiato, e questa volta non è il momento di fare concessioni. Abbiamo bisogno di trovare dei modi per imporre dei costi sufficienti da rendere il regime sano. Sarà qualcosa che non lascerà molto margine, ma penso che se c’è unità nell’opposizione [Stati Uniti ed Europa] e il prezzo imposto – nelle sanzioni – è sufficiente, essi potrebbero accettare la sconfitta. E' ancora troppo presto per arrendersi ai metodi dell’ONU”. Ed ha aggiunto, “se il processo diplomatico non funziona, non c'è alcuna soluzione militare. Ci potrebbe essere un’opzione militare, ma l’ impatto rischia di essere catastrofico”. Tony Blair, il Primo Ministro Britannico, è stato negli anni il più affidabile alleato di George Bush anni fino all’invasione dell'Iraq nel 2003. Ma egli ed il suo partito sono stati tormentati da una serie di scandali finanziari, e la sua popolarità è molto diminuita. Jack Straw, il Segretario degli Esteri, ha dichiarato lo scorso anno che l’azione militare contro l’Iran era inconcepibile”. Blair è stato più cauto, affermando pubblicamente che non bisognerebbe mai escludere alcuna opzione.

Anche altri funzionari europei hanno espresso simile scetticismo riguardo alla convenienza di una campagna di bombardamenti Usa. “L’ economia iraniana naviga in cattive acque, e Ahmadinejad non è un buon politico“, mi ha detto l'agente dell’intelligence europea. “Egli beneficerà politicamente del bombardamento Usa. Puoi anche bombardare, ma i risultati saranno peggiori”. Un attacco statunitense, ha detto, separerebbe gli Iraniani comuni, tra cui quelli che potrebbero simpatizzare per gli Stati Uniti. “L’ Iran non vive più nell’Età della Pietra, ed i più giovani hanno accesso ai film a libri statunitensi, e li adorano". “Se ci fosse una aggressione nei confronti dell’ Iran, i mullah avrebbero gravi problemi a lungo termine”.

Un altro funzionario europeo mi ha detto che era consapevole di come in molti, a Washington, volevano che gli Stati Uniti intervenissero. “Sono sempre i soliti individui”, ha detto, con un linguaggio di rassegnazione. “C’è la convinzione che la diplomazia sia destinata a fallire. I tempi si restringono”.

Alleato chiave con un importante voce in capito è Israele, la cui leadership ha messo in guardia per anni sul fatto che ogni tentativo dell’Iran di iniziare l’ arricchimento dell’uranio era considerato come punto di non ritorno. Diversi funzionari mi hanno detto che l’ interesse della Casa Bianca nel prevenire un attacco di Israele su territori musulmani, che provocherebbe ripercussioni in tutta la regione, è stato uno dei motivi che ha spinto alla decisione di iniziare l’attuale programma operativo. Durante un discorso a Cleveland il 20 marzo, il Presidente Bush ha descritto l’ostilità di Ahmadinejad verso Israele come una “seria minaccia. E' una minaccia alla parola pace”. Ed ha aggiunto, “Sono stato chiaro, e sarò chiaro di nuovo, che useremo la forza militare per proteggere il nostro alleato Israele”.

Qualunque bombardamento Usa, mi ha detto Richard Armitage, dovrebbe tenere presenti le seguenti domande: “Cosa accadrà negli altri paesi Islamici? Che probabilità ha l’ Iran di raggiungerci e colpirci a livello globale – cioè, terrorismo? La Siria e il Libano faranno pressioni su Israele? Quali consequenze comporta un attacco alle nostre già ridotta reputazione internazionale? Ed inoltre, cosa significherebbe questo per Russia, Cina e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU?

L’Iran, che adesso produce quasi quattro milioni di barili di petrolio al giorno, non avrebbe bisogno di interrromperne la produzione per danneggiare il mercato mondiale del petrolio. Potrebbe barricare o minare lo Stretto di Hormuz, il passaggio di 34 miglia attraverso il quale il petrolio del Medio Oriente raggiunge l’Oceano Indiano, anche se il funzionario della Difesa andato in pensione di recente abbia respinto le consequenze strategiche di tali azioni. Mi ha detto che la Marina Usa potrebbe comunque mantenere i trasporti attivi conducendo missioni di salvataggio ed impiegando navi dragamine. “E' impossibile bloccare il passaggio”, ha aggiunto. Il consigliere del governo con legami al Pentagono ha anche detto di credere che il problema del petrolio potrebbe essere gestito rivelando che gli Usa possiedono abbastanza riserve strategiche da tenere gli Stati Uniti in funzione per 60 giorni. Comunque, coloro che fanno parte del business del petrolio con cui ha parlato erano meno ottimisti; un esperto dell’industria ha stimato che il prezzo per barile si alzerebbe immediatamente, in ogni luogo, dai 90 ai 100 dollari a barile, e anche più in alto, a seconda della durata e dell’estensione del conflitto.

Michel Samaha, un veterano Libanese, politico cristiano, ed ex membro del consiglio del ministri a Beirut, mi ha detto che la ritorsione iraniana potrebbe essere indirizzata sui giacimenti di gas e petrolio allo scoperto in Arabia Saudita, Qatar, Kuwait e negli Emirati Arabi Uniti. “Sarebbero a rischio,” ha detto, “e questo potrebbe portare alla vera jihad dell’Iran contro l’Occidente. Avremmo un disordine mondiale”.

L’ Iran potrebbe anche dare inizio ad un’ondata di attacchi terroristi in Iraq e in altri paesi, con l’aiuto degli Hezbollah. Il 2 Aprile, il Washington Post ha riportato che i preparativi per contare tutti i potenziali attacchi “stanno portando via tutto il tempo” alle agenzie di Intelligence Usa. “La migliore rete di terrore nel mondo è rimasta neutrale durante la guerra al terrore degli scorsi anni”, ha affermato un consigliere del Pentagono sulla guerra al terrore riferendosi agli Hezbollah. “Questo li farebbe reagire e ci metterebbe contro il gruppo che cacciò Israele fuori dal sud del Libano. Se andiamo contro l’Iran, gli Hezbollah non siederanno a nostro fianco. A meno che Israele non se ne sbarazzi, essi si mobiliteranno contro di noi”. ( Quando ho chiesto al consulente del governo circa tale eventualità, egli ha risposto che, se gli Hezbollah lanciassero missili contro il nord di Israele, “Israele ed il nuovo governo Libanese li spazzerebbero via).

Il consigliere ha continuato, "Se procediamo, la metà meridionale dell'Iraq sarebbe accesa come una candela". Gli Statunitensi, i Britannici e le altre forze di coalizione in Iraq sarebbero a rischio molto maggiore di attaco dalle truppe iraniane o dalle milizie sciite che operano su ustruzione dell'Iran (l'Iran, che è prevalentemente sciita, ha stretti legami con i partiti sciiti in Iraq). Un generale in pensione a quattro stelle mi ha detto che, nonostante le ottomila truppe Britanniche nella regione, “gli Iraniani potrebbero prendere Bassora con dieci mullah ed un furgone equipaggiato di altoparlanti.

“Se tu attacchi, “ mi ha detto a Vienna il diplomatico di alto rango, “Ahmadinejad sarà il nuovo Saddam Hussein del mondo Arabo, ma con più credibilità e più potere. Dovremo accettarne le consequenze e stare dalla parte degli Iraniani”.

Il diplomatico ha continuato, “Ci sono persone a Washington che sarebbero scontente se riuscissimo a trovare una soluzione. Stanno ancora lavorando sull’isolamento ed il cambio di regime. Questo è ciò che si vuole.” Ed ha aggiunto, “ L’opportunità di agire è adesso”.

centrosardegna
00venerdì 14 aprile 2006 22:17
Minaccia biologica e ordine esecutivo 13292

L’ influenza aviaria deve essere usata come pretesto per un attacco, non il programma nucleare iraniano.

La storia si ripete, ma sempre con nuovi intrecci. Siamo tornati indietro ai vecchi e cari giorni in cui una Dichiarazione di guerra precedeva una guerra. Tale dichiarazione si è verificata il 16 marzo 2006.
Ritornando ai vecchi ordini siamo ora in una fase di “Sitzkrieg” alla quale seguirà a breve la fase di “Blitzkrieg”.
Nei giorni passati, il Congresso ha dichiarato una guerra e ha reso esecutivo tale ordine.
Il Congresso ha dichiarato guerra lo scorso 16 marzo approvando l’H.R. 282: “Contenere l’attuale regime iraniano responsabile di un comportamento minaccioso e supportare una transizione democratica in Iran”.

Questo e un precedente decreto sono in aperta violazione con gli Accordi di Algeri stipulati tra gli U.S.A. e l’Iran nel gennaio 1981, che avevano stabilito che “da quel momento in poi gli Stati Uniti non sarebbero intervenuti, direttamente o indirettamente, diplomaticamente o militarmente, negli affari interni dell’Iran”; in ogni caso questo rappresenta un chiaro disinteresse per il trattato politico 353.

Gli Stati Uniti promisero a Russia e Cina che il rapporto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite appena approvato non sarebbe stato un impulso per un’azione militare nei trenta giorni successivi all’approvazione; lo promisero realmente, gli Stati Uniti attaccheranno non prima di 30 giorni dalla data imposta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per fermare il programma di arricchimento nucleare dell’Iran, ad esempio non prima della fine di Aprile.
Il pretesto potrebbe essere una minaccia imminente di un attacco biologico da parte dell’Iran.

LA DICHIARAZIONE DI GUERRA CONTRO L’IRAN

Poco prima della battaglia di Pearl Harbour la Dichiarazione Congressuale dell’8 dicenbre 1941 sancì:
“Poiché il governo del Giappone ha commesso atti di guerra, gratuiti e ingiustificati, contro il governo e il popolo degli Stati Uniti d’America, lo stato di guerra tra Stati Uniti e Giappone è formalmente dichiarato; e quindi il Presidente è autorizzato a dirigere le forze armate navali ed aeree contro il governo imperiale del Giappone e quindi a dichiarare guerra al Giappone stesso”.

Analogamente la dichiarazione formale di guerra all’Iran, il Consiglio di Sicurezza Strategico del marzo 2006 ha stabilito:
“Non possiamo non guardare la sfida che viene da un paese come l’Iran”
“Il regime iraniano sponsorizza il terrorismo; minaccia Israele; è una seria minaccia alla pace in Medio Oriente, destabilizza il processo democratico in Iraq; e distrugge le aspirazioni della sua gente alla libertà”.

“Il primo compito del governo degli Stati Uniti d’America resta quello che è sempre stato: proteggere la sua gente e gli interessi americani nel mondo.
Questo è un principio fondamentale dell’America, prevenire le attuali minacce, usando tutti gli strumenti a disposizione del potere nazionale, prima che queste minacce possano diventare più gravi e provocare danni”.

“La più grande minaccia è il rischio di passività nei confronti della minaccia stessa – è il motivo principale per prendere iniziative atte a difenderci, anche se non si conoscono i tempi e i modi di un attacco del nemico. Alcune delle più grandi minacce sono attacchi terroristici con Armi di Distruzione di Massa (WMD)”.
“Per prevenire qualsiasi atto ostile dei nostri avversari, gli Stati Uniti, se necessario agiranno preventivamente”.
“Le conseguenze di un attacco con WMD sono potenzialmente devastanti, non possiamo restare a guardare oziosamente un così grave pericolo materiale”.
“Ci sono sempre alcuni programmi non accertati e segreti”.

“Il progresso nelle biotecnologie ha creato grandi opportunità per gli stati e per i loro governi di creare pericolosi agenti patogeni”.

“Considerando la potenziale minaccia delle armi biologiche, stiamo potenziando la nostra capacità di rispondere alla minaccia di pandemie, come l’influenza aviaria”.

Ciò è stato discusso dal Dipartimento di Stato che, basandosi su informazioni disponibili, ha riferito che l’Iran rappresenta una palese minaccia per un offensiva biologica, in aperta violazione ai programmi internazionali del BWC. (Convenzione per la messa al bando delle armi biologiche Ndr)”

La dichiarazione del 16 marzo aggiunge che gli Stati Uniti useranno armi nucleari nella guerra contro l’Iran.

“La sicurezza, credibile e attendibile delle armi nucleari continua a giocare un ruolo fondamentale. Stiamo rafforzando la deterrenza con lo sviluppo di una Nuova Triade composta da sistemi offensivi costituiti da armi convenzionali e nucleari”.

…e ciò è ulteriormente rafforzato da quanto stabilito dal Consiglio di Sicurezza miliare e strategico per combattere lo sviluppo delle armi di distruzione di massa:
“Operazioni offensive possono includere opzioni cinetiche (nucleari e convenzionali) e/o operazioni non cinetiche (come per esempio operazioni legate al passaggio di informazioni) al fine di disincentivare o combattere una minaccia da WMD o usi sostitutivi di WMD”.

Questo è naturalmente il motivo per il quale l’Iran è una minaccia, perché intende sviluppare armi nucleari. Il solo proposito di questo clima, che va aldilà di ogni evidenza, è generare una situazione di stallo alle Nazioni Unite che permetta a Bush di avere l’appoggio di altre nazioni. In ogni caso i bombardamenti non avranno inizio prima di un lungo periodo e dopo una lunga campagna di scredito nei confronti della minaccia nucleare e biologica iraniana.

CASUS BELLI

Non ci sono motivi per muovere guerra all’Iran a causa del suo programma nucleare. La IAEA ha rilevato che nei 20 anni del suo sviluppo non c’è stata alcuna applicazione militare del materiale nucleare. L’amministrazione Bush ora ammette ufficialmente che l’Iran è sfuggito alle regole del trattato di non-proliferazione nucleare, e che non permetterà l’arricchimento dell’uranio ai paesi che non sono nel trattato. In ogni caso, non si tratta di una “fuoriuscita” dal trattato, il diritto ad un completo programma nucleare civile è una parte del compromesso che i paesi che non aderiscono al trattato devono rispettare.
Per gli Stati Uniti definire tutto ciò una fuoriuscita dal trattato, significa abrogare unilateralmente quel trattato e proporre un differente accordo al quale i paesi che non fanno parte del trattato devono aderirvi.

L’amministrazione Bush sostiene che un programma civile nucleare che porti l’Iran alla conoscenza delle tecnologie necessarie per costruire ordigni atomici è inaccettabile. Il Dipartimento di Stato sostiene che “l’Iran sta espandendo le sue conoscenze biotecnologiche e biomediche su larga scala, raggiungendo ottimi livelli nella ricerca farmaceutica”.
Queste capacità potrebbero fare da apripista per la realizzazione di un potenziale programma BW fino alla realizzazione concreta di ordigni”.
Perché gli Stati Uniti dovrebbero chiedere all’Iran di fermare la sua ricerca scientifica e biotecnologia che poi trasferiscono alla Russia?

La bugia chiave dell’ Ordine Esecutivo 13292 è riferita alla presenza di armi di distruzione di massa e alla “difesa contro il terrorismo internazionale”.

Se dettagli concreti sul programma di armi biologiche dell’Iran fossero resi pubblici, essi dovrebbero essere sottoposti a pubblico scrutinio e sarebbero discreditati; gli Stati Uniti hanno “assemblato”una serie di informazioni classificate come riservate da elementi del Congresso, sotto la pressante costrizione di non rendere pubblici questi dati.

Per esempio il 25 giugno 2004 una sottocommissione della Casa Bianca sull’Iran e la proliferazione del terrorismo in Medio Oriente definita MEMBERS ONLY CLASSIFED BRIEFING sostenne che”era ormai tempo di denunciare il programma di armamenti biologici di questi paesi e di provvedere al suo smantellamento”.

Analogamente c’è un team di esperti legati all’amministrazione Bush, che sostiene che il programma biologico dell’Iran rappresenta una reale ed imminente minaccia. Ci sono sempre diverse strade da percorrere nel campo della scienza, ma un aperto dibattito scientifico sul programma biologico iraniano non è possibile poiché le informazioni disponibili sono classificate come riservate, ogni dichiarazione “fuori dal coro” può trovare un supporto nella comunità scientifica internazionale. La minaccia biologica deve essere invocata, perché porta con sé come elemento naturale la minaccia di una pandemia di influenza aviaria causata dalla mutazione del virus H5N1 portato dagli uccelli migratori.

LA MINACCIA BIOLOGICA

Consideriamo per esempio il dottor Ward Casscells, un famoso cardiologo, divenuto “esperto” di bioterrorismo.
Recentemente il dottor Casscells è divenuto colonnello dell’esercito. Secondo il Dipartimento della Difesa “ i suoi anni di ricerche sulla influenza aviaria sono ritenuti un punto di svolta”.

Ad ogni modo, io non conosco scienziati credibili e indipendenti che facciano gli stessi accertamenti: il Dott. Casscells ha scritto su quattro riviste circa gli effetti dell’influenza e delle sue complicazioni cardiache, che non sono state citate da nessun scienziato. La sua ricerca denominata “Influenza come arma biologica” è stata citata solo 5 volte e solo 5 giornali riferiscono di quest’ultima. La sua pubblicazione “Influenza come una minaccia bioterroristica; la necessità di una vaccinazione globale” è stata citata zero volte!

Ovviamente, le sue grandi ed eminenti credenziali come scienziato saranno sostenute dall’Amministrazione Bush se il Dott. Casscells testimonierà la credibilità dell’intelligence americana che indica come un serio pericolo il virus dell’influenza aviaria sviluppato nei laboratori biologici iraniani.
Il Dott. Casscells ha esaminato la zona del Medio Oriente come uno dei punti di maggior diffusione possibile dell’influenza aviaria.
Ha sottolineato che “l’influenza aviaria sta diventando un problema esplosivo” e ha sostenuto l’uso dell’aviaria come arma biologica. Analogamente anche i suoi colleghi scienziati della “Difesa di Houston” hanno sottolineato la minaccia relativa allo sviluppo del bioterrorismo, e sono molto ben supportati dall’Amministrazione e dai rappresentanti dell’Esercito.

L’Amministrazione Bush ha speso molte risorse per combattere la minaccia bioterroristica, circa 7 miliardi di dollari all’anno, senza che ci fosse stato mai un precedente attentato bioterroristico.
Ci sono sempre stati molti scienziati che si affollavano laddove ci fossero state grandi risorse economiche, tutti devoti a convalidare le conclusioni altrui pur di beneficiare di sovvenzioni cospicue, compresi i media che pubblicizzeranno la minaccia fantasma del bioterrorismo.

Inoltre, lo scorso anno circa 700 scienziati, inclusi 2 Nobel hanno firmato una petizione che aveva come oggetto la diversificazione dei fondi rispetto ai progetti sulla salute pubblica connessi alla biodifesa, definendola una “direzione sbagliata” delle priorità.

Il Dott. Richard H. Ebright, un famoso biologo molecolare, ha sostenuto che “la maggior parte dei più importanti microbiologi sta discutendo le implicazioni che riguardano la difesa dal bioterrorismo, tutti microbiologi ai quali l’amministrazione Bush sta cercando di dare visibilità.

Circa la supposta minaccia dell’influenza aviaria, mentre essa è continuamente sbandierata dall’amministrazione americana, gli esperti sostengono che non è una seria minaccia ma è solo motivata da giochi politici. Si tratta di tutt’altra questione.

Il 15 marzo, proprio prima della chiusura del nuovo consiglio nazionale di sicurezza strategico, ho suggerito che l’influenza aviaria come casus belli può essere un motivo per muovere guerra all’Iran, “una necessità”, prima della stagione degli uccelli migratori, cioè prima della primavera. Seri elementi, emersi quel giorno, lasciano supporre questo scenario. La conferenza stampa sui “preparativi” contro l’influenza aviaria del segretario Micheal Leavitt (che qualche settimana prima aveva incitato a conservare il latte e altre scorte sotto il letto) ha sostenuto quanto segue: “Pensate al mondo come ad un vasto incendio,un incontenibile incendio, una pandemia; se noi ci trovassimo in una simile situazione saremmo calpestati, se non riuscissimo a controllare e domare quest’incendio la situazione diverrebbe incontrollabile”. Un attacco alle installazioni iraniane deve essere sollecitato per evitare di essere “calpestati” da una pandemia.

Ma Bush ha bisogno dell’autorizzazione del Congresso per bombardare l’Iran? La risposta è contenuta negli “statement” del Presidente del 16 ottobre 2002, quando si discuteva circa l’autorizzazione congressuale a bombardare l’Iraq.
Si dice quanto segue:
“…ho cercato una risoluzione aggiuntiva per avere il supporto del Congresso per usare la forza in Iraq, l’uso della forza diverrà necessario. Mentre mi sforzo di ricevere tale consenso e supporto dal Congresso, la mia risposta, se non dovessi avere questo consenso, sarà che l’autorità costituzionale conferisce al Presidente l’autorità per usare la forza al fine di prevenire o rispondere ad un’ aggressione o ad altre minacce agli interessi degli Stati Uniti”.

In altre parole “Cerco l’autorizzazione del Congresso ma non ne ho bisogno e non ne avrò bisogno neanche la prossima volta con l’Iran”.

Il War Power Reolution incoraggia il Presidente a consultarsi con il Congresso fino all’ultima istanza, ma conferisce al Presidente la facoltà di entrare in guerra senza l’autorizzazione del Congresso, dipende semplicemente da lui terminare le ostilità in 60 o 90 giorni…il tempo necessario.

L’ATTACCO

Non è improbabile che ci saranno pubblici annunci al fine di scongiurare le ostilità in Iran, si avranno grandi fronti di opposizione. Chi dirà ufficialmente che l’attacco sarà per portare la pace? Forse sarà l’Iran stesso.

Relazioni tra Iran e Stati Uniti sono già in piedi da tempo, soprattutto per quanto riguarda la questione dell’Iraq. Le prossime relazioni tra i due paesi saranno senza intermediari; un ultimatum all’Iraq era stato reso pubblico il 17 marzo 2003, questa volta con l’Iran l’ultimatum potrebbe essere comunicato in via “privata”. La ragione dei nostri attacchi deve essere chiara, la causa giusta e gli attacchi militari mirati.

L’attacco americano in Iran sarà prevedibilmente “misurato”, un accurato bombardamento alle postazioni militari “sospette” di lavorare ad armi non convenzionali, con missili Cruise lanciati da sottomarini e navi dal Golfo Persico. Questa è una componente del CONPLAN 8022 GLOBAL STRIKE MISSION, la quale è divenuta recentemente operativa e include anche testate nucleari pronte per l’attacco.

Le ragioni “chiare” e “giuste” per giustificare l’attacco possono essere considerate le seguenti: se una pandemia può causare 150 milioni di morti, e c’è una grande probabilità che l’intelligence abbia ragione, tutto ciò va prevenuto bombardando le postazioni iraniane, la morte di qualche milione di iraniani sarebbe solo un “effetto collaterale”.

Ogni reazione militare dell’Iran all’attacco, forse anche solo una reazione verbale, verrebbe interpretata come un’ “aggressione” agli Stati Uniti e ad Israele, con il risultato di un bombardamento dell’Iran su vasta scala con l’impiego di missili e armi nucleari. Non è assurdo? Ricordate che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna bombardarono l’Iraq nella no-fly zone ben prima della sua invasione e la risposta irachena fu subito etichettata come “aggressione alle forze della coalizione”.
“Armi nucleari potrebbero essere usate nella fase iniziale dell’attacco e certamente saranno usate su vasta scala nel prosieguo dell’attacco”.

Perché tutto ciò accade? Perché tutto era già stato scritto anni fa. Le azioni degli Stati Uniti contro l’Iran degli ultimi anni erano rivolte principalmente a destabilizzare il forte potere dell’Iran in quella zona e di conseguenza ad agevolare gli interessi americani.

SI PUO AGIRE PREVENTIVAMENTE?

Un gruppo di delinquenti sta portando l’America su una linea di non-ritorno. Dall’altra parte di questa linea ci sono i taboo nucleari, gli attacchi nucleari preventivi alle nazioni che non hanno armi nucleari, e l’”incentivo” alle nazioni che non hanno armi nucleari a rimanere tali. Una guerra nucleare globale e la conseguente distruzione dell’umanità è una possibilità concreta.

Gli Americani sono largamente contrari a tutto ciò che sta accadendo. Mezzo milione di persone si ritrova per strada a causa della legge sull’immigrazione e nessuno è in grado di dimostrare che la guerra contro l’Iran non produrrà radicali cambiamenti nella vita dei cittadini americani anche per le generazioni future.
I settori più importanti ed informati della società parlano già di una forte mobilitazione per impedire la guerra all’Iran.
Il Congresso tace.

Solo la gente può fermare tutto questo. Rassegnarsi al proprio lavoro non è abbastanza. L’opinione pubblica deve sapere, essere informata, per impedire l’attacco. Non farlo comporterebbe gravi conseguenze per l’America e il mondo intero.

Tutto quello che ci sarà da fare sarà portare i colpevoli davanti alla giustizia.
Anche Danton, Robespierre, Mussolini, Petain, Goering,Ceausescu occupavano posizioni di potere allo stesso punto della loro carriera.

centrosardegna
00martedì 18 aprile 2006 22:41
RAFSANJANI, "IRAN E' PRONTO ALLO SCONTRO CON USA"



L'Iran e' pronto al braccio di ferro militare con gli Stati Uniti. Lo ha detto l'ex presidente iraniano, Akbar Hashemi Rafsanjani, che e' anche sicuro che nessun Paese del Golfo tollerera' un attacco americano.
"Non cerchiamo il confronto" ha detto l'ex presidente, tuttora una delle figure piu' influenti del Paese, "ma, se ci sara' imposto, ci faremo trovare pronti. Le conseguenze sarebbero molto pensanti e gli americani non ne trarrebbero alcun beneficio".
Rafsanjani ha anche messo in guardia Israele: "non devono azzardarsi ad attaccare l'Iran perche' sanno bene quale sarebbe il risultato: le braccia di Israele non possono raggiungere l'Iran, ma le mani iraniane possono abbattersi su Israele".
L'ex presidente, in visita in Kuwait, ha aggiunto che i leader degli Stati del Golfo gli hanno assicurato che non darebbero il loro sostegno a un attacco Usa all'Iran. "I Paesi della regione sono nostri fratelli e amici" ha detto, "non credo che sarebbero d'accordo con un attacco contro l'Iran e, se cio' dovesse accadere, non credo che darebbero il loro appoggio".
centrosardegna
00mercoledì 19 aprile 2006 22:02
Rivolta al Pentagono




Le notizie che giungono da Washington e da Tel Aviv riguardo all’Iran sono tutto meno che confortanti: sembrerebbe essere iniziato il “conto alla rovescia” per un attacco contro i siti nucleari iraniani.
Nell’infinito balletto diplomatico s’è udita nei giorni scorsi la voce del ministro degli Esteri russo Lavrov, il quale ha affermato che «L’opzione militare in Iran è impraticabile»: secca dichiarazione che pone fine alle ipotesi di una solenne “ammucchiata” contro Teheran. Come se non bastasse, la Russia ha promesso aiuti economici ad Hamas in Palestina, frantumando così il minaccioso tentativo di USA ed UE di “prendere per fame” un popolo che aveva scelto democraticamente i propri rappresentanti. Come già avvenne in Algeria nel 1992, non si può promuovere la democrazia nel mondo e poi – quando qualcuno vota contro i desideri di Washington, Bruxelles e Tel Aviv – mettere alla fame una popolazione finché non cambia opinione. Bel concetto di democrazia: lo stesso applicato in barba a tutti i trattati internazionali con Cuba, per poi lamentarsi se Fidel Castro non si “apre” alla “democrazia”.

Pechino è più prudente ma non molto distante da Mosca quando invita tutti alla “moderazione”. D’altro canto, entrambi i paesi hanno consistenti rapporti economici con Teheran: la Russia fornisce gli impianti nucleari, missili ed altro materiale militare mentre Pechino ha un contratto d’acquisizione del gas e del petrolio iraniano per 25 anni. Entrambi i paesi, quindi, non hanno nessun interesse per un “cambio della guardia” in Iran.
Anche l’Europa non sembra molto interessata alla querelle iraniana (dichiarazioni di facciata a parte), giacché la borsa petrolifera in euro di Teheran contribuisce (e lo farà ancor più in futuro) ad apprezzare l’euro sul dollaro.
Ovviamente, ciò che può andar bene per Mosca, Pechino e Bruxelles è l’esatto contrario dei desideri di Washington – giacché il petrolio iraniano non può soddisfare tutti – ed allora prendono forma le ipotesi belliche con la scusa del programma nucleare iraniano1, anche se nessun trattato internazionale prevede che sia negato l’accesso alla tecnologia nucleare ad una nazione.

Ad un analista attento un simile azzardo sembra veramente irresponsabile: come si può pensare d’attaccare un paese grande quattro volte l’Iraq e con circa ottanta milioni d’abitanti quando già in Iraq ed in Afghanistan non si riesce nemmeno a controllare il territorio?
La risposta è ovvia: nessuno pensa ad un’invasione dell’Iran, ma ad una serie d’attacchi aerei e missilistici che – nelle intenzioni di Washington – dovrebbero portare ad un “cambio di regime”.
Già questa tesi è molto difficile da sostenere – poiché non si comprende quali forze interne all’Iran dovrebbero ribaltare un potere solido come quello degli ayatollah – e conduce a conclusioni diametralmente opposte: Khamenei ed Ahmadinejad avrebbero buon gioco nel consolidare gli umori della popolazione contro il “Satana” di sempre, ovvero gli USA.
Il “Satana”, però, si trova già all’inferno per la situazione in Iraq, e gli ayatollah non ci metterebbero molto a scoperchiare ancor più la pentola irachena: l’ayatollah Al-Sistani – massima espressione degli sciiti iracheni – non ha nemmeno la cittadinanza irachena, è un cittadino iraniano che ha studiato a Qom – in Iran – insieme a Khamenei ed agli altri dirigenti iraniani.

Se i grattacapi – per Washington – fossero soltanto questi ci sarebbe già da fare una bella doccia fredda prima di prendere decisioni azzardate, ma anche il fronte interno inizia a cedere, e le crepe cominciano ad essere evidenti.
Chi desiderasse fare dei paragoni con il Vietnam si troverebbe spiazzato per un semplice motivo: a quel tempo l’esercito USA era di leva, mentre oggi è un esercito professionale. Della serie: sei pagato per combattere e per morire, e se crepi non ti lamentare perché era già scritto nel contratto2.
Ha reale valore un simile “contratto”? Ossia, quanto è sostenibile in termini politici?
Sulla “tenuta” degli eserciti in situazioni difficili poco si sa e poco si parla: si stima in modo assai fumoso che un esercito “debba” resistere, “che farà il suo dovere” ed altre affermazioni di questo tipo che significano assai poco.

Sappiamo che la guerra in Vietnam non fu perduta dagli USA nelle risaie dell’Indocina ma sul territorio nazionale, quando fu evidente che non serviva più inviare soldati demotivati e contrari alla guerra, truppe che si squagliavano come neve al sole. In questo senso, Apocalypse now è addirittura didattico.
Vale forse la pena d’analizzare con attenzione la situazione degli eserciti dell’Asse nel confronto con la superiorità di mezzi degli Alleati: è vero che gli italiani fuggirono ai primi spari mentre tedeschi e giapponesi combatterono fino all’ultima cartuccia? In parte.
La seconda affermazione è senz’altro vera per il Giappone, laddove però furono precise condizioni interne a determinare la strenua resistenza: l’Imperatore – il Tenno – era sacro come un Faraone per gli Egizi, e la difesa di un Dio-Re catalizza ben altre pulsioni rispetto al concetto di stato nazionale occidentale. A margine, possiamo notare come certe odierne affermazioni di “difesa dell’Islam” – inteso nella sua sacralità religiosa – abbiano punti in comune con il Giappone di quegli anni.
L’Esercito Italiano, invece, iniziò a disgregarsi appena gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia: curiosità vuole che, proprio nel 1942, stavano entrando in servizio nuovi, moderni mezzi per un esercito che aveva iniziato la guerra con quasi le stesse dotazioni della Prima Guerra Mondiale.

Il caccia Reggiane 2005 poteva combattere alla pari con i migliori Spitfire, il carro P-40 era il corrispettivo dei migliori carri tedeschi, la Marina – con l’ingresso in squadra del Roma – aveva sette corazzate da opporre. La produzione di quei mezzi era appena iniziata e l’esercito italiano stava iniziando la sua trasformazione proprio quando subì la sconfitta di El-Alamein, con la conseguente perdita dell’Africa Settentrionale.
La Marina , però, poteva giocare ancora parecchie carte – almeno prima dello sbarco in Sicilia – ma non fece praticamente nulla: era evidente che non si trattava più di mezzi, ma del morale delle truppe. L’avventura in Russia aveva debilitato fortemente il morale dell’esercito che, già dalle prime battaglie contro la Grecia , aveva mostrato scarsa volontà di combattere.
La situazione italiana era dunque quella di un esercito di leva che non avvertiva la necessità di quella guerra, tanto meno con l’alleato tedesco che solo vent’anni prima era stato il nemico.
Uno dei luoghi comuni più diffusi è invece quello che identifica la Wehrmacht con il potere nazista: Sturmtruppen combatterono sempre fino all’ultimo uomo e fino all’ultima cartuccia?

I guai iniziarono già dalla Battaglia d’Inghilterra, quando i tedeschi non riuscirono ad avere il sopravvento sugli inglesi pur avendo un rapporto di forze a loro favore di circa 5 : 1. L’ostacolo maggiore alla vittoria della Luftwaffe fu il suo comandante in capo, Hermann Goering, un grasso e dissoluto feldmaresciallo che non capiva niente di tattica e di strategia aeronautica. Non esisteva nessuna pianificazione della guerra aerea, dato che la campagna di Francia non aveva insegnato quasi niente, ed i velivoli tedeschi venivano inviati in missioni dove non potevano mettere a frutto la superiore velocità del caccia Messerschmitt BF-109. Durante un veemente contrasto con Goering, il generale Gallandt – asso dell’aviazione – avvertì ironicamente il feldmaresciallo che, se quella era la strategia, per vincere «sarebbe stato necessario ricevere degli Spitfire». Gallandt pagò quell’affermazione con anni d’esilio in un dimenticato aeroporto sui Pirenei, ma Goering non capì cosa intendeva affermare l’ufficiale, ossia che le tattiche e le strategie non possono prescindere dai mezzi.

Dopo la sbarco in Normandia, invece, furono numerosi i casi di fucilazione per ufficiali di rango inferiore – tenenti e capitani, ovvero quelli che erano a diretto contatto con le truppe combattenti – giacché ordinavano la ritirata per salvare il poco che era possibile salvare.
Dopo quelle fucilazioni la Wehrmacht iniziò a squagliarsi definitivamente: se le istanze di chi combatte non sono recepite dagli Stati Maggiori diventa inutile combattere – questo è il ragionamento che fa qualsiasi giovane capitano – perché si trova a combattere fra due fuochi, ossia fra il nemico che avanza e il comando che, se non sei disposto a morire, provvede direttamente.
Sul fronte russo, invece, si giunse ben presto ad un accordo: tutto quello che avvenne dopo la resa di Paulus a Leningrado e la sconfitta di Stalingrado fu soltanto una lenta ed inesorabile ritirata.

Molti ufficiali – anche di grado elevatissimo – avevano abbandonato la follia di Hitler e del suo “Reich millenario” e pensavano solo a salvare il salvabile: si ritiravano di quel tanto che bastava per salvare la faccia ed i russi avanzavano fin quando i tedeschi lo permettevano, nell’attesa di una nuova ritirata. Difatti, non vi furono più grandi battaglie campali all’est dopo il 1943, ed addirittura l’Armata Rossa si fermò fuori Varsavia nell’attesa che i tedeschi l’avessero evacuata, il che causò un’ecatombe nella resistenza polacca.
In buona sostanza, la concezione napoleonica della guerra – che durò fino alla Prima Guerra Mondiale – non funzionò più nella Seconda, quando la resa e la ritirata divennero le alternative alla resistenza ad oltranza, alla guerra di trincea4.
In Vietnam – come ricordavamo – intervennero apertamente sul morale delle truppe anche fattori politici interni: le marce della pace, le medaglie scagliate contro il Campidoglio testimoniavano oramai il rifiuto politico di quella guerra da parte dei giovani americani, e fu sconfitta.

La risposta del Pentagono a quella sconfitta fu la creazione di un esercito professionale: sei pagato anche per morire, ma ti metteremo a disposizione tutto il supporto possibile e la miglior tecnologia affinché ciò non avvenga.
La carota, invece, era: vieni nei Marines ed avrai uno stipendio sicuro, una serie di benefit quali abitazione, sanità, scuola, ecc e sarai sempre difeso dall’esercito in qualsiasi frangente. Nulla di nuovo rispetto alla classica Guardia Pretoria.
Questo equilibrio si regge su un semplicissimo assioma che possiamo identificare nella conta dei morti, ossia su quanti sacchi neri tornano in Patria con un cadavere dentro.
La ristrutturazione dell’esercito americano dopo la fine della Guerra Fredda – curata per Rumsfeld da Andrew Marshall, anziano ed ascoltato stratega del Pentagono – prevedeva la creazione di 12 grandi gruppi d’assalto basati sulla sorpresa e sulla mobilità: nessuno aveva messo in conto lunghi periodi d’occupazione, perché in quel caso la superiorità tecnologica conta sempre di meno man mano che la situazione si complica.

Quale artifizio elettronico può salvare un marine dallo scoppio di un ordigno rudimentale celato in un cespuglio a lato della strada? Gli ufficiali hanno a disposizione un sofisticato sistema di combattimento, con il quale sono in continuo contatto con i comandi: un apposito visore – sistemato sull’elmetto – permette loro d’avere notizie in tempo reale sui movimenti del nemico.

Già, ma chi è il nemico?
Questa strategia può funzionare in una guerra convenzionale – e per questa ragione la campagna militare irachena fu così rapida – ma diventa inefficace quando il nemico non è riconoscibile. Paradossalmente, in un campo di battaglia “elettronico”, coperto di emissioni radar e di sensori, un uomo senza divisa con un fucile che cavalca un cammello diventa l’arma assoluta.
La latitanza di Bernardo Provenzano è stata possibile perché si affidava a strumenti di comunicazione antichi – i famosi “pizzini” – ma anche quella di Bin Laden e di Ayman Al-Zawahiri è molto “prudente” per quanto attiene la comunicazione elettronica. Molto probabilmente anche i due capi di Al-Qaeda non usano strumenti elettronici e, per i loro comunicati alle TV ed ai loro accoliti, utilizzano presumibilmente semplici e-mail inviate da anonimi Internet café.

Vorremmo precisare che non stiamo compiendo dei salti nell’iperspazio della strategia militare: gli stessi principi erano già presenti negli scritti di Ernesto Guevara Linch5.
In definitiva, i guai iniziano quando un esercito professionale pagato per fare la guerra comincia a subire pesanti e continue perdite: non solo migliaia di morti, ma anche decine di migliaia di feriti, molti dei quali gravi e che rimarranno mutilati per il resto della loro esistenza.
A questo punto, la carota – ossia la certezza del posto di lavoro, i benefit, ecc – calano d’importanza perché quel posto di lavoro diventa sempre più incerto: qui non si perde il posto di lavoro, qui si perde la vita.
Esiste una sorta di “sindacalismo” militare? Un militare che si trova ad affrontare situazioni insostenibili, a chi può rivolgersi?
In Italia esistono i vari COCER, ossia degli organismi consultivi che comprendono ufficiali, sottufficiali e uomini di truppa: specie di “rappresentanze sindacali” interne alle Forze Armate.

Si tratta già di un passo in avanti rispetto alla pura e semplice obbedienza gerarchica (che, in ogni modo, i COCER non possono mettere in dubbio), ma è tutto da verificare cosa potrebbe succedere in una reale situazione di guerra.
Il metodo più semplice che i militari USA hanno per evidenziare il loro malumore è quello di mostrarlo ai loro comandanti sul campo, ossia agli ufficiali di rango inferiore. Quando le lamentele e lo scoramento superano la soglia d’attenzione, le paure iniziano ad essere comunicate agli ufficiali superiori, fino agli Stati Maggiori: la struttura gerarchica – in questi frangenti – diventa bi-direzionale, ossia non partono più solo ordini dall’alto ma anche timori dal basso.
Quando l’intera catena di comando è pervasa dai dubbi, essi si manifestano nelle alte sfere, fino ai politici: in teoria, così dovrebbe accadere in un esercito moderno ed in una nazione democratica.

Ciò che invece si sta inceppando negli USA è il rapporto fra militari e politici: al Pentagono è in atto una vera e propria lotta senza esclusione di colpi fra molti alti ufficiali – che invitano Bush a trovare rapidamente una soluzione per l’Iraq – ed i politici, i quali continuano a pensare che i soldati sono pagati anche per morire. Semmai, dopo riceveranno medaglie e diventeranno degli eroi.
Se vogliamo, possiamo cogliere un interessante parallelo fra la situazione dei sovietici in Afghanistan e quella odierna degli USA in Iraq: in entrambi i casi non era e non è possibile controllare il territorio, di qui l’inevitabile sconfitta, mascherata con vari artifizi.
La differenza fra le due situazioni è rappresentata proprio dal diverso approccio: i sovietici sapevano benissimo che era il Pakistan (ovviamente sorretto dagli USA) a giocare la parte del “regista” per quanto avveniva in Afghanistan, ma non s’azzardarono mai ad attaccarlo.
Gli USA invece, pur non esistendo un rapporto ben definito fra Teheran e la guerriglia irachena, meditano d’alzare il livello dello scontro attaccando l’Iran per altri motivi.

I generali sono per natura silenti e parlano per atti: le recenti dimissioni ed i parecchi pensionamenti fra gli alti gradi del Pentagono raccontano che la frattura fra Rumsfeld ed i militari è oramai insanabile. La prospettiva di un attacco al sito nucleare di Natanz – con l’utilizzo di bombe atomiche “tattiche” per colpire le installazioni sotterranee – fa rizzare i capelli in testa ai generali, che il giorno seguente inizierebbero a contare le perdite in Iraq non più ad unità giornaliere, bensì a decine.
Se Bush crede di potersi permettere un completo isolamento internazionale, i generali sanno che quell’isolamento si trasformerà rapidamente in maggiori rifornimenti d’armi e d’informazioni alla controparte, ed in maggiori perdite per le proprie forze.
Sappiamo che la vittoria ha sempre molti padri mentre la sconfitta è orfana, ma non dimentichiamo che ai generali sconfitti non viene riservato – per tradizione – il miglior trattamento: il gioco del “cerino” è già iniziato negli alti comandi USA, e nessuno vuole farsi scottare le dita mentre qualcun altro preme il pulsante di un attacco nucleare.

Ciò nonostante, non pensiamo che la “rivolta” dei generali sortirà qualche effetto sull’amministrazione Bush, giacché lo stesso Bush ha oramai perso ogni contatto con la realtà: non esiste peggior iattura di un politico che vuol vestire i panni del comandante militare – poiché non ne ha la formazione – e Bush oramai si presenta quasi sempre in divisa (e quale poi, visto che praticamente non fece il servizio militare?).
Anche se il paragone potrà apparire eccessivo, Gorge Bush è oramai prigioniero nel bunker come Hitler, a spostare armate che esistevano oramai solo più sulla carta.
George Bush ha ancora molte armate a disposizione, ma non ha compreso che la sola forza militare non basta per raggiungere gli obiettivi politici: l’ONU non vuole soggiacere ai desideri USA senza porre condizioni? Ecco pronta la nomina di John Bolton come ambasciatore USA all’ONU, un politico il quale ha sempre dichiarato che – se dipendesse da lui – l’ONU non esisterebbe nemmeno. Sarebbe come inviare un macellaio per organizzare la gestione degli animali abbandonati.

Powell era un generale, un repubblicano convinto, ma rimaneva pur sempre un generale che operava come Segretario di Stato, ossia il Ministro degli Esteri USA: perché non fu riconfermato per il secondo mandato di Bush?
E’ facile immaginare che, già prima del 2004, qualche generale avesse iniziato a premere per una ritirata “onorevole” dall’Iraq, e se c’era una persona che poteva comprendere la situazione non era certo Rumsfeld ma Powell che di guerra, morale delle truppe e quant’altro se n’intendeva.
La risposta alle apprensioni di Powell fu semplice: il suo posto fu preso da Condoleeza Rice – che non sa nulla di questioni militari – giacché servì sotto Bush senior con la qualifica di “sovietologa” (?), mentre prima non aveva fatto altro che la dirigente alla Chevron. Allora: petrolio, politica estera od armi?
In teoria, un buon Ministro degli Esteri dovrebbe conoscere bene questi ed altri argomenti ma nulla – che possa essere inteso dagli atti della Rice – consente di confermare questa premessa.

Questi aspetti si sposano perfettamente con tutta la “allegra brigata” che comanda negli USA: da Cheney che pensa soltanto ai proventi delle sue società di supporto all’industria petrolifera a Wolfowitz, inviato alla Banca Mondiale per cercare di salvare i destini del dollaro. I soldati? E chi se ne importa.
Nessuna di questa persone è in grado di valutare con saggezza gli equilibri strategici: vivono in una sorta di Limbo dove – in modo assolutamente auto-referenziale – ritengono che basti la potenza di fuoco della macchina da guerra americana per risolvere a loro favore qualsiasi conflitto.
La “rivolta” dei generali è un segnale che qualsiasi politico dovrebbe cogliere ed invece stanno dimostrando nei fatti di volerla ignorare, come Berlusconi non riesce a comprendere d’aver perso le elezioni: non a caso il Silvio nazionale considera il George d’oltre oceano un “amico fraterno”.
La differenza fra le due situazioni, però, non è cosa di poco conto: mentre Berlusconi – quando saranno convocate le Camere – dovrà soltanto svegliarsi dal sogno ed emettere una dichiarazione di facciata, per Bush essere avvertito che le truppe in Iraq stanno cedendo sarà un incubo terrificante, nel quale avrà trascinato milioni di famiglie americane.

centrosardegna
00sabato 22 aprile 2006 22:02
Segni premonitori di tempesta in Iran




Le autorità iraniane e i rappresentanti dell’élite iraniana trasferiscono precipitosamente i loro depositi presso le banche europee verso le banche dell’Asia e, naturalmente, della Svizzera dove, come regola generale, le sanzioni non sono prese in considerazione. Si tratta di parecchi miliardi di dollari.
Numerosi sono coloro che vedono in questo una delle fasi preliminari della mobilitazione di Teheran prima di un eventuale conflitto armato con gli Stati Uniti e i loro alleati, se il tentativo di regolazione della situazione circa il programma nucleare iraniano non approdasse a nulla. Gli iraniani probabilmente si ricordano delle proprie lezioni e della triste esperienza dell’Iraq, paese vicino attaccato dalla coalizione americana anch’esso con il fallace pretesto di “dissimulazione alla comunità mondiale di depositi di armi di distruzione di massa”.
Malgrado la dissomiglianza dei regimi e dei potenziali politici ed economici di questi due Stati, lo scenario messo a punto a Washington contro l'Iran richiama stranamente quello previsto per l’Iraq. Tuttavia, secondo certi indici, gli strateghi americani mancano di sicurezza dopo i rovesci subiti in Iraq, il che significa che la regolazione del problema con mezzi diplomatici ha un’ulteriore possibilità.

George Bush-junior è presidente uscente, dunque sembra che niente possa dissuaderlo dall’agire in maniera azzardata in politica estera. D’altra parte, ciascuno vorrebbe entrare nella storia con un’immagine più attraente. Ma il problema è che l’entourage vicino al presidente non cerca per nulla di lasciare una traccia positiva nella storia, è probabilmente ossessionato dal messianico desiderio di mostrare la supremazia militare della superpotenza americana e la volontà di portare una croce pesante, quella del paese che diffonde la sola democrazia giusta: la democrazia americana.
In questi ultimi tempi, l’ambiente attorno a George Bush dà il tono ai tentativi fatti per accelerare la preparazione di un colpo al regime di Teheran che, va riconosciuto, è un partner difficile tanto per i diplomatici che per i funzionari internazionali che cercano di trovare un compromesso per sistemare il problema nucleare iraniano.
Il fine perseguito dagli Stati Uniti in Iran è evidente: rovesciare l’attuale regime, mettere sotto controllo le risorse di petrolio e di gas e utilizzare il suo territorio per trasportare gli idrocarburi per la strada più breve: attraverso l’Asia centrale ed il Caspio, aggirando la Russia e la Cina, naturalmente sotto il controllo degli Americani. Per non parlare dell’importanza strategica dell’Iran dal punto di vista militare.
Le mire dell'Iran la cui politica è lungi dall’essere morbida non sono nette. Beninteso, l'Iran vorrebbe detenere armi nucleari, seguendo l’esempio del Pakistan. D'altronde, sono gli Stati Uniti, campioni della non-proliferazione delle ADM, ad aver permesso al Pakistan di dotarsi della bomba atomica e a giurare, oggi, fedeltà all’India, avversario del Pakistan.
Secondo gli ayatollah, l'arma nucleare renderebbe l'Iran invulnerabile ad ogni pressione straniera e ne farebbe la principale potenza nella regione del Golfo persico. È vero, afferma l’eminente diplomatico svedese Rolf Ekeus, che il progetto nucleare iraniano non ha di mira i paesi occidentali, che esso appare in risposta al programma nucleare di Saddam Hussein. Ora che non è più necessario rispondere alle azioni di Saddam Hussein e che si proclama ufficialmente che il programma iraniano ha un carattere puramente civile, a che cosa serve dichiarare con magniloquenza che Israele, come Cartagine, deve essere cancellato dalla carta, come se Teheran detenesse già armi nucleari? Se Teheran avesse opposto una politica pacifica e ragionevole alle mire aggressive della Casa Bianca, questo avrebbe assicurato all’Iran ben più vantaggi e alleati, il che avrebbe reso impossibile lo scatenarsi di operazioni militari.
Ora, poiché l'Iran ancora non applica una tale politica, ci si può attendere di tutto, soprattutto se gli Americani e gli Israeliani provocassero, servendosi di loro agenti, un atto terroristi sanguinoso nel Vicino Oriente e lo attribuissero agli ideologi di Teheran.
Conoscendo gli stereotipi della mentalità degli attuali dirigenti dell’amministrazione americana, si può supporre l’esistenza del seguente scenario. Dapprima persuadere la comunità mondiale che le trattative con l'Iran sono una fase superata e che bisogna prendere delle sanzioni contro questo paese. Le sanzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU contro questo paese sono l’elemento principale del piano americano. Le sanzioni del Consiglio di sicurezza permetteranno di intraprendere delle azioni che, indipendentemente dall’opinione mondiale, potrebbero condurre all’impiego della forza contro Teheran allo scopo di rovesciare il regime esistente.
Ma questo necessita, per prima cosa, del rafforzamento dell’alleanza occidentale. Malgrado tutte le dichiarazioni pubbliche del ministro degli Esteri britannico Jack Straw, secondo le quali la via militare è "inconcepibile", il primo ministro Tony Blair sostiene, come sempre, George Bush. Nella sua qualità di partner, egli è incaricato di occuparsi degli Sciiti in Iraq, perché senza placare questo gruppo di popolazione, sarà difficile garantire il successo di un’operazione contro un Iran che può in ogni momento azionare la leva sciita per opporre una risposta asimmetriche.
D'altronde, questo dimostra che il problema della "seconda fase" - l'isolamento totale dell’Iran – è lungi dall’essere sistemato ed è il motivo per cui tutta l’attenzione è attualmente rivolta alla pressione psicologica esercitata sull’Iran e, nella stessa occasione, sui paesi che impediscono agli Americani di agire in piena libertà.
Lo scorso gennaio, John Negroponte, direttore dell’informazione nazionale, ha affidato una missione in Iran Leslie Ireland, agente dei servizi che ha lavorato per più di 20 anni nel Vicino Oriente. Non è difficile indovinare il carattere di questa missione. Inoltre, Joseph Cirincione, grande specialista di non-proliferazione delle ADM, dichiara di essere ingannata nel pensare che l’amministrazione Bush non abbia l’intenzione di assestare un colpo all’Iran. Al momento, egli è sicuro che il presidente George Bush abbia questa intenzione.

Quanto al Pentagono, in risposta alle affermazioni secondo le quali gli Iraniani hanno numerosi siti nucleari e militari sotterranei, esso annuncia con orgoglio i test di bombe da 700 tonnellate a guida precisa, in grado di distruggere bersagli (bunker e depositi) posti a grande profondità sotto terra.

Secondo un’informazione diffusa dagli Americani, i dirigenti iraniani cercano di trovare un’intesa con il presidente del Turkmenistan sulla loro presenza sul territorio di questo paese durante il periodo di azioni militari. L’ultimo falso riguardante la trasmissione agli Iracheni, da parte dei servizi segreti russi, di informazioni sulla preparazione dell’aggressione americana ha lo scopo manifesto di creare un clima politico suscettibili di dissuadere dall’apportare un sostegno a Teheran i paesi che ne avrebbero l’intenzione.

Si può inoltre menzionare la risoluzione, sottoposta al senato all’inizio del 2006, sulla proibizione di consegnare armi all’Iran provenienti da Russia e Cina. Che fare allora dell’Ucraina, questo alleato “arancione”, che avrebbe fornito 250 carichi nucleare all’Iran?

In breve, gli Americani agiscono in modo maldestro, ripetendo gli errori commessi in Iraq.

Certo, Condoleeza Rice preferisce la capitolazione degli iraniani, ma è evidentemente impossibile, perché Teheran ha i propri “falchi”. Rimane da puntare su una rivoluzione, preferibilmente “di velluto” oppure su un attacco-lampo.

Possiamo prevedere che l’amministrazione americana agisca con il minimo di perdite e che punterà principalmente sui missili da crociera, sugli aerei telecomandati e su altri efficaci mezzi bellici. È la ragione per cui i « falchi » iraniani hanno fatto di recente mostra del loro arsenale. Ma i principali mezzi iraniani di lotta contro gli Stati Uniti sono altri, cosa che crea un’asimmetria che può costare cara agli Stati Uniti e ancor più ai loro alleati.

La situazione evolve a balzi, a intervalli di un mese e si avvicina, ancora una volta, l’ora della verità. Il ministro degli esteri iraniano Manouchehr Mottaki ha dichiarato il 30 marzo alla Conferenza sul disarmo che l'Iran è pronto a puntare alla creazione di gruppi regionali di arricchimento dell’uranio con la partecipazione di tutte le parti interessate, è una proposta di compromesso oppure un tentativo di guadagnare tempo ? Intanto è cominciata in Iran una nuova ispezione dell'AIEA (gli ispettori dell'AIEA vi hanno già lavorato 1700 giorni, ma non hanno trovato prove dell’esistenza di un programma militare).

Viste dall’esterno, tutti i modi di procedere americani sono maldestri. Ma non si deve trascurare i risultati degli sforzi propagandistici dell’amministrazione Bush: secondo i sondaggi di opinione, la proporzione di Americani che approvano l’impiego della forza contro l'Iran non cessa di crescere. Lo scorso 15 marzo, essa ha raggiunto oltre il 55%. La propaganda ininterrotta delle pretese più ingiuste di una forza potente. Ne è stata data prova durante il III Reich.


centrosardegna
00lunedì 24 aprile 2006 21:59
PERCHE’ GLI STATI UNITI ATTACCHERANNO L’IRAN NEL 2006




Sono state avanzate numerose ipotesi sull'eventualità o meno che gli Stati Uniti possano attaccare l'Iran. C'è chi è dell'opinione che gli Stati Uniti lo faranno e chi invece ritiene che non lo faranno. Lasciando perdere i discorsi pubblici alquanto spavaldi provenienti da entrambi i governi, io credo che nel 2006 gli Stati Uniti attaccheranno l'Iran. Vi spiego perché:
Il piano principale degli Stati Uniti prevede il controllo del petrolio nel Medioriente. Soltanto due Paesi si sono opposti a questo piano: l'Iraq e l'Iran. L'Iraq è stato neutralizzato e reso impotente per i prossimi dieci anni a causa della guerra civile. Adesso è rimasto solo l'Iran ad ostacolare il piano principale degli Stati Uniti. Ma prima di continuare il filo logico di questo discorso, facciamo una breve digressione.

E' chiaro che l'Iraq rappresenti un disastro sia dal punto di vista umanitario che miitare. Ma l'Iraq sta diventando anche un disastro politico per i Repubblicani negli Stati Uniti, perché i Repubblicani non solo rischiano di perdere il controllo del Congresso, ma con il tasso di approvazione per il presidente Bush sceso sotto terra [n.d.t. l'originale in inglese è “in the toilet”], essi potrebbero anche perdere la Casa Bianca. La lezione data dalla messinscena dell'11/9 e dalla conseguente guerra in Iraq è chiara: gli Statunitensi si raccolgono intorno al presidente e al suo partito nei momenti di difficoltà. Per questo presidente e per il suo partito che cosa sarebbe conveniente più di un altro evento costruito in stile 11/9, seguito da un'altra guerra di rappresaglia, questa volta contro l'Iran?

Non credo che un altro simulato 11/9 sia davvero necessario per far sì che il presidente intraprenda un'altra guerra nel Medioriente. Proprio quando stavo cominciando a credere che il calo precipitoso del sostegno alla guerra in Iraq – sceso fino a circa un terzo dell'opinione pubblica – fosse un segnale del fatto che gli Statunitensi stavano arrivando a capire la realtà dei fatti, recenti sondaggi rivelano che più di metà degli Statunitensi sono a favore di una nuova guerra contro l'Iran! Come è possibile che siano a favore di una nuova guerra se il loro appoggio per l'ultima sta venendo meno? Sono rimasto perplesso dinnanzi a tanta incoerenza finché non ho capito che il calo di sostegno alla guerra in Iraq non è un rifiuto alla guerra in quanto tale, ma è espressione di un rifiuto a una guerra in cui si perde. Gli statunitensi sono assolutamente a favore delle guerre finché le vincono. In ogni caso, sembra che ci sia un ampio consenso da parte dell'opinione pubblica statunitense per una nuova guerra contro l'Iran. Un altro attacco simulato del tipo dell'11/9 non è necessario, anche se si potrebbe comunque verificare per favorire le ambizioni totalitaristiche del governo.

Il ritiro delle truppe statunitensi dall'Iraq è fuori questione. Un'azione simile equivarrebbe ad un'ammissione di sconfitta da parte di quest'amministrazione, un'ammissione che non è prossima a venire. Inoltre, gli Stati Uniti hanno compiuto grandi sforzi e speso molte risorse per andare in Iraq e costruirvi basi militari permanenti. Semplicemente non se ne andranno per almeno qualche decennio. La scelta di lasciare lo status quo in Iraq è altrettanto difficile da difendere, man mano che crescono di giorno in giorno le esortazioni a ritirarsi, e quindi per questa amministrazione rimane soltanto una via: l'escalation. Una nuova guerra contro l'Iran distoglierà l'attenzione dall'Iraq e consoliderà l'appoggio dell'opinione pubblica a favore del presidente e del suo partito, come si rivelerà dalla rinnovata passione per i fiocchi magnetici rosso-bianchi-blu e gialli [n.d.t. simboli dell'orgoglio patriottico].

Un'altra buona ragione per intraprendere una guerra contro l'Iran consiste nel distogliere l'attenzione dall'economia. E' ormai ovvio che la bolla immobiliare statunitense si stia sgonfiando. Potrebbe continuare a sgonfiarsi gradualmente o potrebbe crescere con conseguenze spettacolari, nessuno lo sa. Come andrà a finire dipende molto dalla percezione della gente. Le persone sono ancora molto ottimiste riguardo all'economia, quindi forse è per questo motivo che la bolla immobiliare si sta sgonfiando ancora lentamente. Ma la situazione potrebbe cambiare. In ogni caso, con la bolla immobiliare come forza trainante del recente “consumer spending” [n.d.t. la spesa dei consumatori], e con il “consumer spending” che traina l'economia, non appena la bolla immobiliare si sgonfierà, il “consumer spending” scenderà. Un imminente declino del “consumer spending”, insieme ad altri indicatori, come il convergere di bond yield [n.d.t. rendimenti di obbligazioni] , fanno prevedere una recessione verso la fine di quest'anno. Una nuova guerra rappresenterebbe un efficace diversivo dai problemi economici e permetterebbe al governo di far entrare “liquidità” nell'economia. Il governo degli Stati Uniti ha recentemente sospeso le pubblicazioni dei dati della maggiore grandezza di offerta di moneta, M3, forse per nascondere future introduzioni di liquidità.

Torniamo a riflettere sul progetto principale [n.d.t. degli Stati Uniti]. In molti hanno sottolineato come l'attacco all'Iran non regga ad un'analisi che prenda in considerazione il rapporto costi-benefici. Si ritiene che l'attacco all'Iran indurrebbe l'Iran a vendicarsi fomentando l'insurrezione in Iraq e minacciando il trasporto di petrolio attraverso il Golfo Persico. Chi lo afferma dà per scontato che gli Stati Uniti non metteranno in pericolo la vita dei loro soldati in Iraq né correranno il rischio di far salire il prezzo del petrolio per imporre la propria volontà politica sull' Iran e ritiene che persino questa amministrazione non sarebbe tanto folle da farlo.

Ma chi pensa così si sbaglia. L'unico obiettivo che gli Stati Uniti si prefiggono nel Medioriente è il controllo del petrolio, costi quel che costi. Esaminiamo quali sono gli eventuali costi. Gli Stati Uniti metterebbero a rischio la vita dei loro soldati in Iraq? Assolutamente sì. Basti pensare a Pearl Harbor durante la Seconda Guerra Mondiale. E' fuor di dubbio che il governo degli Stati Uniti sapesse che i Giapponesi stavano per attaccarli e lasciò che ciò avvenisse. Il governo degli Stati Uniti probabilmente facilitò l'attacco lasciando libera da impedimenti una traiettoria di volo per gli aggressori giapponesi. Dunque sarebbero disposti a sacrificare qualche migliaio di soldati in Iraq? Certamente. E che cosa succederebbe se l'Iran riuscisse a rallentare o fermare il flusso di petrolio attraverso il Golfo Persico? Ancora una volta, questo fatto potrebbe tornare a vantaggio degli Stati Uniti, come vedremo. Nel frattempo, chi beneficerebbe da una riduzione globale delle scorte di petrolio? Le compagnie petrolifere. Negli ultimi anni si è visto che quando il petrolio è salito di prezzo, i profitti delle compagnie petrolifere sono saliti vorticosamente di dieci miliardi di dollari l'anno per compagnia. Abbiamo anche potuto vedere come l'amministrazione Bush si sia voltata dall'altra parte quando le compagnie energetiche hanno sfruttato avidamente il nascente mercato dell'elettricità dopo la “deregulation”, quindi sappiamo a chi vada il suo appoggio.

Un altro argomento “razionale” contro la possibilità di un attacco contro l'Iran è che gli Stati Uniti in virtù delle proprie limitate truppe, possano in pratica attaccare l'Iran solo per via aerea, il che non risulterebbe molto efficace se limitato ai bersagli “militari”. E' vero, ma il punto è che l'iniziale attacco aereo sarebbe soltamente il primo passo di quella che gli Stati Uniti probabilmente sperano diventi una guerra più ampia. Perché? Perché l'unico modo che gli Stati Uniti hanno per riuscire a neutralizzare con successo l'Iran è sganciare un paio di bombe nucleari sulla popolazione civile, costringendo l'Iran alla resa incondizionata.

Persino gli Stati Uniti non oseranno interrompere in modo unilaterale sessant'anni di tabù nucleare e sganciare una bomba nucleare sopra una città iraniana. Ma probabilmente riusciranno a farla franca usando le cosiddette bombe tattiche nucleari “bunker buster” contro bersagli apparentemente militari. Naturalmente il mondo intero si indignerà dinnanzi a un simile atto, ma dopo qualche mese di capovolgimento dei fatti attraverso i media, probabilmente gli Stati Uniti placheranno il disprezzo nei loro confronti. Nel frattempo, l'Iran fomenterà l'insurrezione Shiita in Iraq, facendo così aumentare il numero di vittime tra i soldati statunitensi. L'Iran magari affonderà anche qualche nave militare statunitense e qualche petroliera nel Golfo Persico , riuscendo davvero a rallentare o fermare il flusso di petrolio attraverso il golfo. Ovviamente gli Stati Uniti faranno passare questa vendetta iraniana come una sconsiderata e fanatica escalation di guerra. La popolazione statunitense, adirata nel vedere i propri soldati uccisi e le proprie navi militari affondate, si raccoglierà attorno al proprio presidente con ancora maggior fervore. Il governo degli Stati Uniti indicherà i crescenti problemi economici del mondo causati dall'insufficienza di petrolio come prova della necessità di fermare l'Iran, costi quel che costi. I Paesi industrializzati del mondo che dipendono dal petrolio rinunceranno ufficialmente a intraprendere un'azione più dura contro l'Iran, mentre in privato coltiveranno la speranza di vedere gli Stati Uniti far di tutto per riattivare il flusso di petrolio.

Allora, senza preavviso, gli Stati Uniti lanceranno un paio di bombe nucleari sopra un paio di città iraniane di medie dimensioni, proprio come fecero in Giappone sessant'anni fa. E useranno le stesse giustificazioni di un tempo: velocizzare la fine della guerra. Ovviamente il mondo sarà indignato, ma tale reazione passerà in sordina, dato che gli Stati Uniti avranno già infranto il tabù del nucleare usando le bombe “bunker buster,” e inoltre, che cosa potrà farci il mondo? L'Iran si arrenderà, e gli Stati Uniti assumeranno il pieno controllo del Medioriente e di due delle sue più importanti fonti di petrolio: l'Iraq e l'Iran .

Gli Stati Uniti potranno allora ritirare le loro truppe in Iraq nelle nuove basi militari grandi come intere città e aspettare tranquillamente la fine della guerra civile, tenendo sotto controllo da vicino il petrolio. Gli Stati Uniti saranno una nazione paria, ma che importa? Controlleranno la maggior parte delle risorse petrolifere mondiali.


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00martedì 25 aprile 2006 15:04
IL PENTAGONO SI PREPARA PER L'IRAN


"All'inizio del 2003, persino mentre le forze Usa erano sull'orlo di una guerra con l'Iraq, l'esercito aveva già iniziato a condurre un'analisi per una guerra su vasta scala con l'Iran."


Gli Stati Uniti hanno forse un piano di guerra per fermare l'Iran e i suoi interessi per le armi nucleari?

La scorsa settimana, il Presidente Bush ha smentito delle notizie per cui la sua amministrazione ha lavorato su piani di guerra d'emergenza – che parlano in particolare della possibilità di usare armi nucleari tattiche contro Tehran – come "mera speculazione". Il segretario alla difesa Donald H. Rumsfeld è intervenuto definendo queste notizie "terre di fantasia". Ha dichiarato ai reporter che "semplicemente non è utile" parlare di piani d'emergenza.

Ma il segretario si sbaglia.

E' importante parlare di piani di guerra che sono reali. E questi piani sono per l'Iran. All'inizio del 2003, persino mentre le forze Usa erano sull'orlo di una guerra con l'Iraq, l'esercito aveva già iniziato a condurre un'analisi per una guerra su vasta scala con l'Iran. L'analisi, chiamata TIRANNT, per "theater Iran near term" (teatro Iran prossimo termine), fu accoppiata con uno scenario simulato per un'invasione dei Marine e la simulazione della forza missilistica iraniana. I pianificatori statunitensi e britannici hanno condotto un'esercitazione di guerra sul Mar Caspio circa nello stesso periodo. E Bush ha diretto il Comando Strategico Usa per ideare un piano di attacco bellico globale contro le armi di distruzione di massa iraniane. Tutto questo, in ultima analisi,verrà inglobato in un nuovo piano di guerra per "importanti operazioni di combattimento" contro l'Iran, che ora delle fonti militari confermano esistere in forma di bozza.

Nessuna di queste attività è stata rivelata dall'esercito Usa, e la scorsa settimana, quando ho scritto dei piani di emergenza per l'Iran sul sito web del Washington Post, il Pentagono si è bloccato sulla sua ostinata posizione per cui "non discuteremo piani di guerra". Ma dovrebbe.

L'impegno diplomatico diretto all'Iran sarebbe di molto migliorato se quel paese capisse che gli Stati Uniti sono così seri riguardo l'impedire la ricerca iraniana di armi nucleari che vorrebbero scendere in guerra per fermare quella ricerca per usi di studio.

L'Iran deve capire – e ancora più importante, l'opinione pubblica statunitense deve capire – che non importa quanti esperti parlino di obbiettivi difficili da trovare o della catastrofe che potrebbe scoppiare se si verificasse la guerra, i pianificatori militari stanno già lavorando sodo per minimizzare i rischi di ogni operazione militare. Questo è il vero scopo dei piani di emergenza.

Ho seguito i piani di guerra statunitensi, mantenendo amicizie e contatti in quel mondo chiuso, per più di 20 anni. Il mio unico rimpianto nello scrivere su questo soggetto segreto, specialmente perché il governo afferma sempre che rivelare qualunque cosa potrebbe danneggiare le forze Usa, è non aver approfondito abbastanza i dettagli dei piani di guerra alll'Iraq. Ora, con l'Iran, è ancora una volta difficile ma essenziale mettere insieme i fatti.

Ecco quello che sappiamo. Sotto il TIRANNT, l'esercito e i pianificatori del Comando Centrale Usa hanno esaminato sia gli scenari a breve e a lungo termine per una guerra con l'Iran, tra cui tutti gli aspetti di una principale operazione di combattimento, dalla mobilitazione al dispiegamento delle forze fino alle operazioni di stabilità post-guerra dopo il cambio di regime.

Lo sforzo maggiore per il TIRANNT è iniziato nel maggio 2003, quando specialisti dello spionaggio e modellisti hanno raccolto insieme i dati necessari allo scenario di livello-teatro (cioè su vasta scala) per l'Iran. Da allora il TIRANNT è stato aggiornato usando informazioni del dopo guerra in Iraq sulla performance delle forze Usa. Nel frattempo, i pianificatori dell'Aviazione hanno ideato degli attacchi contro obbiettivi e difese aeree iraniani, mentre i pianificatori della Marina hanno valutato le difese costali e ideato degli scenari per mantenere il controllo dello Strato di Hormuz alla base del Golfo Persico.

Una conseguente campagna di analisi del TIRANNT, iniziata nell'ottobre 2003, ha calcolato i risultati di differenti scenari d'azione contro l'Iran in modo da fornire opzioni per analizzare i percorsi d'azione in un piano di guerra all'Iran aggiornato. Secondo fonti militari vicine al processo di pianificazione, questo compito fu affidato al generale dell'esercito John P. Abizaid, ora comandante del CENTCOM, nel 2002.

I Marine, nel frattempo, non solo sono stati coinvolti nella pianificazione bellica del CENTCOM, ma si sono concentrati sulla loro specialità, l' "entrata di forza". Nell'aprile 2003, il Corpo dei Marine ha pubblicato il proprio "Concetto di Operazioni" per una manovra contro un paese inventato, esplorando la possibilità di trasferire le forze dalla propria nave fino a alla costa contro un nemico determinato senza stabilire prima una testa di ponte. Anche se il nemico del Corpo dei Marine è descritto solo come un paese profondamente rivoluzionario dal nome di Karona, senza dubbio – con le sue Guardie Rivoluzionarie, armi di distruzione di massa e ricchezza petrolifera – deve essere inteso come l'Iran.

In un altro studio, iniziato nel 2004 e noto come BMD-I (Difesa con i missili – Iran), sono stati esaminati anche vari scenari che includono la forza missilistica dell'Iran. In questo studio, il Centro per le Analisi dell'Esercito ha previsto la performance dei sistemi armati statunitensi ed iraniani per determinare il previsto numero di missili iraniani che trapelerebbe dalla difesa della coalizione.

La pianificazione giorno-per-giorno per trattare con la forza missilistica dell'Iran ha luogo nel Comando Strategico degli Stati Uniti ad Omaha. Nel giugno 2004, Rumsfeld ha allertato il comando di prepararsi ad implementare il CONPLAN 8022, un piano di attacco globale che include l'Iran. Il CONPLAN 8022 richiedei ai missili e ai bombardieri di essere in grado d'agire entro 12 ore dall'ordine presidenziale. La nuova task force, mi hanno detto delle fonti, si preoccupa soprattutto che se le fosse richiesto di portare a termine degli attacchi globali "veloci" contro alcuni obbiettivi iraniani in alcune circostanze d'emergenza, si dovrebbe dire al presidente che l'unica opzione è quella nucleare.

I piani di emergenza per un attacco tipo fulmine a ciel sereno, senza parlare di una guerra effettiva, contro l'Iran potrebbero sembrare incredibili in questo momento. Ma nel mondo segreto dei commando militari e dei pianificatori di guerra, sono una sventurata realtà quotidiana. L'Iran deve capire che gli Stati Uniti non sono bloccati dalla mancanza di opzioni. Deve realizzare che non può semplicemente fare ostruzionismo ed evadere i propri obblighi internazionali, che non può scavare ancora più a fonda nella speranza che "vincerà" solo perché la guerra è un casino.

L'Iran controlla le due leve di base che potrebbero scatenare un'azione militare statunitense. La prima sarebbe la sua acquisizione della capacità nucleare in sprezzo della comunità internazionale. Nonostante la spacconata di Teheran della scorsa settimana, il paese è ancora lontano diversi anni dallo sviluppo di un'arma nucleare, per non parlare di una funzionante. Potremmo anche avere un piano bellico di attacco globale orientato verso paesi con armi di distruzione di massa, ma quel piano è tutto incentrato sulla Corea del Nord, la Cina e presumibilmente la Russia. L'amministrazione Bush non aspetterà un attacco nucleare. Gli Stati Uniti sono ora una nazione da attacco preventivo.

La seconda leva dell'Iran sarebbe scagliarsi contro gli Stati Uniti o i loro alleati dal punto di vista militare (o mediante del terrorismo per procura), o chiudere lo Stretto di Hormuz al traffico di petrolio internazionale. Delle fonti dicono che il CENTOCOM e lo Stato Maggiore della Difesa hanno sviluppato delle "opzioni flessibili deterrenti" in caso l'Iran stesse pre intraprendere tali azioni.

Ci si potrebbe chiedere come queste opzioni potrebbero avere qualche effetto deterrente quando il governo non ne parla. Questa è un'altra ragione per cui Rumsfeld dovrebbe riconoscere che gli Stati Uniti stanno preparando dei piani di guerra per l'Iran – e non è solo routine. E' una specifica risposta all'illegale proposito di quel paese riguardo le armi nucleari, la sua ingerenza in Iraq e il suo sostegno al terrorismo internazionale.

L'Iran deve capire che l'amministrazione è molto seria. Ma noi dobbiamo tutti capire che anche senza una testata iraniana o un attacco iraniano di qualunque tipo, c'è ancora un altro scenario catastrofico che potrebbe condurre alla guerra.

In un modo di piani di guerra pronti e nervosismi post 11 settembre, c'è una richiesta sempre maggiore di informazioni sul nemico. Questo significa rischi ancora maggiori implicati nella raccolta di quelle informazioni. Nel frattempo, i piani di guerra richiedono che le forze siano pronte in alcuni luoghi e in allerta, mentre il potenziale per delle armi di distruzione di massa necessita di tempi sempre minori per degli attacchi contro un nemico. Dunque il maggior pericolo, ora, è un conflitto non intenzionale, causato da qualcosa come l'abbattimento di un aereo spia statunitense, dalla cattura di un team della CIA o delle Operazioni Speciali, o da nervose forze Usa ed Iraniane che entrano in contatto ed iniziano a spararsi.

Il processo di pianificazione della guerra difficilmente è neutrale. Ha degli effetti delicati. Mentre gli eserciti mettono in attacco simulazioni di attacco, potenziali avversari diventano presunti nemici. Col tempo, i piani d'emergenza trasformano i punti di domanda in quelle che oggi sembrano certezze.


centrosardegna
00martedì 25 aprile 2006 15:43
Piano B, un «Grande scambio» per congelare la bomba




Per ricompensare lo stop di Teheran, gli Usa non rovescerebbero il regime e Gerusalemme fermerebbe le sue ricerche


Se l'uso della forza non è la soluzione, esiste un «piano B» per impedire che l'Iran diventi una potenza nucleare? E la Russia che in luglio ospiterà il G-8, può dare un contributo malgrado la sua involuzione democratica? A questi due interrogativi ha dedicato la sua attenzione la Commissione Trilaterale riunita a Tokio, e l'esercizio non è risultato privo di interesse.

L'Iran che corre verso la bomba H, hanno osservato in molti, pone la comunità internazionale davanti al classico «dilemma impossibile». È impossibile rimanere indifferenti davanti alla proliferazione che un Iran con l'atomica rischierebbe di innescare, e ancor più davanti al pericolo che peserebbe su Israele visti i truculenti propositi del presidente Ahmadinejad. Ma il rovescio della medaglia - lo ha sottolineato il rapporto di Hervé de Carmoy - fa anch'esso paura. Se attaccato, l'Iran potrebbe utilizzare la minoranza sciita per destabilizzare l'Arabia Saudita. Dare via libera al terrorismo contro interessi Usa e israeliani. Gettare olio sul fuoco delle sanguinose faide irachene contando stavolta sulla maggioranza sciita. Tentare il blocco dello Stretto di Hormuz. E soprattutto, potrebbe infiammare ulteriormente il mondo islamico, mettere in difficoltà i governi arabi moderati e creare panico sul mercato mondiale del greggio facendo salire il prezzo del barile a livelli insostenibili per molte economie. Questo a prescindere dal non scontato esito militare dell'impresa.

Di più, il vasto consenso interno che circonda in Iran il programma nucleare renderebbe una reazione nazionalista assai più probabile di un «cambio di regime», tanto nell'ipotesi di sanzioni (peraltro ritenute poco efficaci) quanto in quella del ricorso alla forza. E un accordo internazionale che si vorrebbe ampio (gli Usa cercano di evitare una ripetizione dello scenario unilaterale iracheno) troverebbe ostacoli non secondari nei legami economico-energetici di Teheran con Mosca, con Pechino, con New Delhi, con Tokio e con diversi Paesi europei.

In cosa potrebbe consistere, allora, il «piano B»? La risposta è in un dialogo diretto tra iraniani e americani. Dopo i discreti auspici in questo senso dei britannici e dei tedeschi, e dopo l'esplicito invito dell'influente senatore repubblicano Richard Lugar, nelle discussioni di Tokio è stato immaginato un «Grande scambio» mediorientale. L'Iran accetterebbe di congelare le sue ricerche nucleari, e analogo impegno di moratoria verrebbe preso dagli altri partecipanti all'ipotetico accordo (tra i quali Israele).

Verrebbero adottate misure anti-proliferazione e di fiducia reciproca. Israele riceverebbe una garanzia internazionale di sicurezza analoga a quella prevista dall'articolo 5 della Nato. L'Iran otterrebbe a sua volta garanzie di non aggressione e di cessazione della strategia del «cambio di regime» da parte degli Usa, e importerebbe dall'esterno forniture di combustibile nucleare ad uso civile. L'Aiea avrebbe piena libertà di accesso per verificare il rispetto delle intese.

Molti ostacoli rischiano di rendere teorico un simile schema. Bush dovrebbe cambiare politica. Israele dovrebbe accettare una delega ad altri sulla propria sicurezza. Risulterebbe arduo avere fiducia nella parola di Ahmadinejad. Ma davanti alla «doppia impossibilità», e considerando che Iran e Usa hanno già accettato di parlarsi sull'Iraq, l'idea del dialogo diretto potrebbe essere esplorata. Diversamente dall'esperta francese Thérèse Delpech che suggerisce di fermare l'Iran senza ulteriori ritardi, Henry Kissinger ha dato una benedizione condizionata al «Grande scambio»: i negoziati non devono durare più di 15-18 mesi, al termine dei quali l'opzione della forza tornerebbe in auge. Il russo Karaganov si è chiesto se questi tempi siano quelli utili a Bush, ma ha approvato anch'egli l'idea della trattativa con Teheran guidata dagli Usa. Dove, in quale cornice? È qui che entra in gioco Putin.

La Trilaterale esclude che la Russia possa essere privata del suo G-8 (come aveva recentemente chiesto sul Corriere Andrei Illarionov) pur sottolineando che dal 2003 a oggi la transizione democratica russa ha innestato la retromarcia. «Non si può mettere Mosca sul banco degli accusati - ha detto ancora Kissinger - perché dobbiamo sì difendere i nostri valori ma anche separare le tattiche dalle strategie». E visto che a proposito di tattiche la Russia rimane contraria persino al primo passo delle sanzioni anti Iran (come la Cina) ma contemporaneamente afferma di non volere che Teheran acquisti il grilletto nucleare, potrebbe forse essere proprio il G-8 una buona occasione per scoprire le carte iraniane di Putin?

Il tema della sicurezza energetica non è forse legato alla vicenda di Teheran? E se il G-8 venisse al più presto allargato alla Cina e all'India (che comunque un giorno entreranno) non sarebbe questa la sede migliore per esplorare l'ipotesi del «Grande scambio» prima di portare la verifica in sede regionale?
Le idee di Tokio restano per il momento soltanto idee, e le cronache sembrano andare in direzione opposta: la Russia rifiuta di sospendere la sua collaborazione nucleare civile con Teheran e non blocca la prevista vendita di missili all'Iran, gli Usa ipotizzano una «coalition of the willing» che isolerebbe Mosca e Pechino, tutti aspettano il rapporto Aiea del 28 aprile per vedere cosa accadrà al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Non è detto, del resto, che un G-8 o un G-10 possano risultare più compatti, e farsi maggiormente ascoltare da Teheran, rispetto al G-6 finora sperimentato (i cinque con diritto di veto all'Onu più la Germania). Anche se nel G-8 o derivati l'Italia otterrebbe finalmente di poter dire la sua al tavolo del confronto.
Stretta tra le «due impossibilità» le sfida iraniana continua. E le idee, anche dopo Tokio, sembrano più numerose delle speranze.
centrosardegna
00venerdì 12 maggio 2006 22:34
LO 'SHAFAGAH' DELL'IRAN


Potere Globale e decadenza Usa

Il “kombinat” della Russian Aircraft Corporation (RSK) ha il suo punto di forza nella incessante progettazione di nuovi modelli e quello più debole nella struttura finanziaria che lo sostiene.
L’assemblaggio dei prototipi, i passaggi di modifica intermedi, le prove motore e di volo degli aviogetti per arrivare alla messa a punto definitiva, una volta soddisfatte tutte le specifiche di progetto, sono tutti passaggi che assorbono gigantesche risorse ad una economia ancora non totalmente stabilizzata, dopo l’implosione del comunismo e la svendita della Russia all’oligarchie apolidi dell’era Eltsin.
Per mantenere in piedi un “struttura” che dà lavoro con l’indotto, nel settore militare e civile, a 3.000.000 di uomini e donne, tra ricercatori, progettisti, tecnici, operai specializzati e addetti al settore commerciale, la Russia ha la necessità di accantonare molti dei progetti che in fase di sviluppo rivelano ritardi di approntamento o necessitano di correzioni strutturali, dalla cellula, passando dalle turbine di spinta, alle modifiche aerodinamiche.

Mosca per quanto abbia ridotto sensibilmente questo svantaggio nei confronti dell’ industria americana negli ultimi 5 anni, ha tempi di messa in linea dei suoi aviogetti militari in genere più laboriosi, contrastati e sofferti di quelli USA.
Elemento che ha fatto segnare, in passato, grosse battute di arresto nell’export della R.S.K, dal momento che i Paesi committenti richiedevano, e richiedono, tempi di fornitura definiti, assistenza tecnica e contenuti tecnologici di avanguardia.
Per rimediare a questo svantaggio il Kremlino dal 2000 ha cominciato a decentrare con accordi bilaterali parte dei progetti usciti dal “kombinat” R.S.K verso Stati che mantengono solidi rapporti con Mosca e facciano parte di alleanze geopolitiche ed energetiche nel Centro e nel Sud Est dell’Asia con la Russia. In questo contesto il Kremlino ha trasferito, a partire dal Giugno di quell’anno, in Iran i disegni e gli studi preliminari di fattibilità del Vityaz, un cacciabombardiere multiruolo del peso stimato tra le 12 e le 16 tonnellate al decollo, elaborati dalla Mikoyan-Gurevich nota a livello internazionale per la produzione ultradecennale dei jet della serie MIG, per contrastare il progetto Joint Strike Figther F-35 destinato a sostituire l’ F -16, il cacciabombardiere che insieme agli F 15 e agli F 18, costituisce il grosso dell’aviazione militare americana, dopo l'uscita di scena dell' F 14 per “obsolescenza”.
Nel 2002 l’aereonautica iraniana ha presentato all’ Air Show di Teheran lo “Shafagh”, un caccia di 5° generazione dotato di tecnologia “Stealth” che ha materializzato lo studio di fattibilità del Vytiaz della Mikoyan OKB. (nella foto sotto)
Mentre F-35 inizierà, forse, perché il programma sta slittando per difficoltà di messa a punto dell’aviogetto, le prime prove di volo nel 2007, l’industria aeronautica dell’Iran è riuscita a stare davanti a quella “stars and stripes”, approntando un dimostratore di tecnologia con 5 anni di anticipo sulla Lockheed, capocommessa del J.S.F.


Un tempo enorme in termini tecnologia militare aereonautica. Un “gap” che fa emergere il crescente affanno finanziario e industriale degli Stati Uniti, una potenza “globale”, assediata da “nemici” sempre più numerosi ed agguerriti e logorata, come ha messo drammaticamente in evidenza "Katrina" a New Orleans, dai costi astronomici che deve sostenere per un'avventura militare, perdente, in Iraq e in Afghanistan. Come diceva De Gaulle se il livello dell’industria aereonautica è lo specchio delle capacità tecnologiche e industriali di un Paese, gli USA, nel settore strategico dei jet militari per la prima volta dal 1945, stanno indietro, almeno in questo segmento di produzione, all’Iran di Ahmadinejad.
L’assemblaggio di un jet militare "stealth" come il nuovo cacciabombardiere di Teheran fatto di migliaia di componenti idraulici, elettromeccanici ed elettronici certifica l’esistenza in quel Paese di un'industria militare e civile ramificata e ad alto contenuto di ricerca applicata.

Lo “Shafagh” dell’ I.R.I.A.F che in "parsi" significa “luce che precede l’aurora”, da dimostratore tecnologico, processo seguìto anche per la realizzazione dell’ Eurofighter, monta nella prima produzione turbine Climov Rd 33, ha dimensioni simili al Mig 29, un radar di portata media e un'altissima manovrabilità con decolli e atterraggi corti. Le linee di profilo della cellula sono avveniristiche e segnano una totale discontinuità con quelle lunge e pesanti adottate per il Mig 31 della Mikoyan OKB Mukhamedov.

I display di comando, estremamente avanzati, sono a colori MFDs e ricordano da vicino quelli adottati sull’ F-22 Raptor.
Sullo “Shafagh” è previsto l’impiego di motori sping-trush-vectoring che gli consentiranno ruoli tattici air-to-air e air-to-surface. Potente anche l’armamento che dovrebbe montare nuovi missili a lungo raggio aria- aria R -77 per la supremazia aerea.
Si sostiene che sia in gestazione una versione da attacco a lunga autonomia e dotazioni di munizionamento ad alta precisione in stiva per evitare turbolenze aerodinamiche durante il volo. Un progetto che prefigura l'ambizione di portare a completamento le specifiche del Mikoyan I -2000. All’inserimento di tecnologia avanzata sullo “Shafagh” contribuisce un piano di finanziamento di 1 miliardo e 200 milioni di dollari che vede l’Istituto di Ricerca Aeronautica dell’Iran ( I.A.C.I ) collaborare con l’Università Malek Ashtar.

Recentemente il Generale Alexander Dimidov della Forza d’attacco strategica della Russia ha dichiarato che la collaborazione con la Repubblica Islamica, al momento, è piena, senza ombre e destinata a durare. Dimodov ha inoltre voluto sottolineare, con una punta di malizia, per rispondere alle accuse di “Kommersant” sull’asse Mosca-Teheran, che l’Iran è un partner che dispone di larghe disponibilità finanziarie, di autonomia tecnologica e militare, al contrario di Israele, che appare economicamente fragile, politicamente inaffidabile, come dimostra la vendita di radar alla Cina con brevetti USA, e totalmente dipendente da Washington, per la cancellazione d’autorità, durante il mandato Clinton, del progetto del cacciabombardiere LAVI portato avanti da Tel Aviv.

L’enorme salto di qualità industriale e produttiva fatto dall’Iran, dall’approntamento dei missili balistici Shahab 3 con una gittata di 2.000 km, alla fabbricazione di cruise-missile con un raggio di 1600 miglia e un margine di errore a bersaglio di 10-12 m, allo sviluppo di un poderoso e pressoché insuperabile sistema antiaereo dotato di missili a lunga, media e corta portata, integrato da una difesa satellitare, awacs, radar, e antinave di produzione locale, è destinato nel medio e lungo periodo a modificare in profondità gli equilibri militari e di influenza geopolitica nel Medio Oriente e nel Golfo Persico, così come nel Centro-Oriente dell’Asia.

Salto di capacità tecnologica quello sviluppato dell’industria militare e civile dell’Iran che viene percepito dall’ Amministrazione Bush, come un'ulteriore intollerabile alterazione agli equilibri politici e militari nel Medio Oriente e nel Golfo Persico dopo il terremoto della rivoluzione komeinista del 1979 che con la cacciata dello Shah Reza Phalevi priverà gli Usa di una fonte primaria di approvvigionamento petrolifero e di un punto di appoggio politico di fondamentale importanza in quell'Area.
La sindrome di Prometeo che assedia gli USA li sta spingendo ad alzare la portata della minaccia verso il vecchio e nuovo "competitore". Un competitore che si presenta a livello militare e diplomatico solido e ancorato a un sistema di alleanze ad ampio raggio.
Una “sfida” che l'Iran, sta lanciando contro gli USA, si sostiene nella cerchia neocons del Pentagono, con la complicità di Putin, anche con il completamento della centrale atomica di Bushehr e la decisione di arricchire in proprio, come gli consente il T.N.P, l’uranio per alimentare altri Power Points, ad acqua leggera, da costruire con l’assistenza di Mosca.

La dichiarazione di Teheran di essere pronta a trasferire la tecnologia atomica acquisita verso qualsiasi Stato Arabo che ne facesse richiesta non può non apparire, nella logica distorta, malata, dell'Amministrazione Bush come una gravissima minaccia anche alla “sicurezza” di Israele, da regolare, al momento opportuno, con una nuova guerra di aggressione che possa spazzare via, insieme al programma nucleare dell’ Iran, il grosso della sua industria di punta, per precipitare in un nuovo Medio Evo, radioattivo, le aspirazioni di indipendenza del Paese dei Mullah. Un messaggio di alto contenuto politico, quello lanciato dall’Iran, che ha già prodotto, per emulazione, un risultato devastante per gli USA: il premier Erdogan prevede di dotare la Turchia di un piano di costruzione per 5 centrali atomiche.

Un Paese sospeso tra Europa e Asia, di religione musulmana, dopo il Pakistan, a un tiro di schioppo dal cuore del Medio Oriente, si muoverà verso l'acquisizione di tecnologie nucleari che lo allontaneranno, fatalmente, dalla politica di Washington e di Tel Aviv.
Per capire la portata del “confronto” che vede gli Usa in rotta di collisione con l’Iran occorre fare riferimento, oltre che alla politica economica sviluppata da Teheran verso Cina e Russia, anche alla crescente collaborazione diplomatica messa in moto da Teheran con Arabia Saudita, Siria, Turkmenistan, Tajikistan, Uzbechistan, Armenia e Kazakistan, che punta, secondo la Casa Bianca, a destabilizzare la presenza degli USA in Asia, a partire dalla periferia della C.I.S fino alla dorsale dell’Afghanistan, e a limare, in più punti, la sottile fascia di accerchiamento che l’ Amministrazione USA sta tentando, con crescenti difficoltà e insuccessi, di stendere intorno alla Russia di Putin.
Un accerchiamento a maglie larghe, senza retroterra logistico, oneroso, che punta, nelle intenzioni, ad assicurarsi il controllo delle risorse energetiche di gas e petrolio del Caspio e del Centro Asia e delle vie di trasporto, per oleodotti, verso i terminali, ucraini, del Mar Nero.
A condizione, anche quì, che la già incrinata "coalizione arancione" messa in piedi dalla CIA possa ancora reggere a livello elettorale, dopo gli scandali finanziari della cricca Thimoskenko e i pesanti processi di ristrutturazione economica in salsa liberalcapitalista adottati da Yuskenko, il tempo necessario per far entrare l'Ucraina nella NATO e, a mezzo condominio, nell'Unione Europea.

Un'Europa, quella oggi, di Barroso e Solana, al rimorchio degli USA, vulnerabile negli approvvigionamenti di energia e stupidamente arrogante, che sanziona la Bielorussia di Lukascenko e mette al bando la Serbia, per tenere a distanza l'abbraccio, fecondo e pieno di energie vitali, dell' Orso Russo verso i Popoli del Vecchio Continente.


centrosardegna
00mercoledì 24 maggio 2006 21:45
Offensiva contro l’Iran. Bancaria e militare





Minacciate di ritorsioni dagli Stati Uniti, le quattro più grosse banche europee stanno chiudendo tutte le loro attività in Iran, anticipando di fatto le sanzioni che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non ha ancora lanciato contro Teheran.
Si tratta delle elvetiche UBS e Credit Suisse, della HSBC di Londra e della ABN Amro, olandese.
Il Dipartimento di Stato e del Tesoro USA hanno ammesso di aver «intensificato gli sforzi» (si legga: aumentato le pressioni) per convincere le maggiori banche europee dei «rischi» che corrono se continuano a fare affari con lo Stato iraniano: rischi che si concretizzano in «multe» imposte dagli USA e ostacoli all’attività alle filiali delle banche in America.
Il più attivo in quest’opera di «convinzione» è il mai sentito sottosegretario al Tesoro USA con delega al «terrorismo e all’intelligence finanziaria» di nome Stuart A. Levey (uno dei tanti figli di Levi nel regime Bush).
Il quale è soddisfatto dei risultati.
«Vediamo sempre più banche che riconsiderano i loro legami con l’Iran. Si stanno chiedendo se davvero conviene fare affari con imprese di un regime impegnato nella proliferazione di armi di distruzione di massa e nel sostenere il terrorismo».



Già le suddette banche sanno a loro spese che «non conviene».
Due anni fa, la UBS è stata multata per 100 milioni di dollari dalla Federal Reserve con l’accusa di aver movimentato dollari a Paesi assoggettati a sanzioni dagli americani, come Libia (ora tornata buona) e Iran.
A dicembre scorso, è stata la ABN Amro a dover pagare 80 milioni di dollari per «riciclaggio» verso la Libia e l’Iran.
La nuova stretta si spiega probabilmente con la necessità, per gli americani, di strangolare sul nascere la Borsa petrolifera di Teheran, che consente di trattare petrolio contro euro anziché contro dollari.
Gli USA stanno compiendo altre manovre per soffocare l’economia iraniana.
Fra l’altro, da un mese hanno «incoraggiato» l’OCSE (che comprende le trenta maggiori economie di mercato del mondo) ad elevare il rating di rischio sull’Iran, rendendo più costosa l’apertura di linee di credito o di prestiti.
In seguito a ciò, la Borsa iraniana è caduta del 20 %, gli investimenti e le nuove costruzioni sono crollati, e i ricchi iraniani hanno cominciato a mandare i capitali all’estero.



Il ministero degli Esteri iraniano ha avvertito che «decisioni sbagliate degli europei possono alla fine danneggiare l’Europa».
Italia, Germania e Francia sono i maggiori partner commerciali europei per Teheran, ma superati da Cina e Giappone.
Per questo, il fatto che le banche europee si siano piegate ai diktat americani non riesce ancora a strangolare l’Iran completamente.
La Cina non aderisce all’embargo e continua a comprare il greggio iraniano.
L’Iran guadagna 300 milioni di dollari al giorno dal suo export petrolifero.
Ora perciò alcuni figli di Levi in America stanno meditando misure più draconiane.
Come un embargo totale sul petrolio iraniano accompagnato da minacce di ritorsione per chi lo comprasse, e meglio ancora un embargo sulla vendita di carburanti raffinati: l’Iran importa il 40 % della benzina e gasolio che consuma.
Frattanto, con la scusa di proteggere l’Europa da «attacchi dal Medio Oriente in relazione al programma nucleare iraniano», la Casa Bianca vuole posizionare siti anti-missile in Polonia e, forse, nella repubblica Ceca.
Rumsfeld ha già chiesto al Congresso uno stanziamento di 59 milioni di dollari per questa nuova impresa, protettiva dei nuovi e più servili alleati degli USA.



Sarebbe la prima base permanente americana su territorio dell’Est europeo.
Il senso dell’iniziativa non è sfuggito a Mosca, dove il generale Yuri Baluyevsky, dello Stato Maggiore Generale, ha avvertito che il sito di intercettori antimissile è il primo passo che trascinerà la Polonia fino al collo nelle guerre americane.
«Che possiamo fare? Andate avanti e fatevi questo scudo stellare», ha sospirato il generale intervistato dalla Gazeta Wyborcza, «ma pensate cosa può cadervi sulla testa dopo. Io non prevedo un conflitto nucleare tra la Russia e l’Occidente. Non abbiamo questi piani. Ma si capisce che i Paesi che sono parte di questo scudo aumentano i loro rischi».
La motivazione per questo spiegamento, naturalmente, non regge.
L’Iran non dispone, e non ne disporrà per almeno un decennio, di missili balistici capaci di raggiungere l’Europa, e si può dubitare che ne sprecherebbe qualcuno contro la Polonia.
Per di più, i sistemi anti-missile USA «non sono stati in grado di superare un solo test d’intercettazione in quattro anni», dice Philip Coyle, già capo del ufficio Test e Valutazioni Operative del Pentagono.
La loro efficacia è così dubbia che il programma di proteggere gli Stati Uniti sotto un ombrello del genere è stata ridimensionata drasticamente: per ora ci sono nove sistemi intercettori a Fort Greely in Alaska e due alla base di Vanderburg in California, a cui è affidata la speranzosa ma improbabile missione di parare lanci di missili della Corea del Nord.

I sistemi che saranno piazzati in Polonia non sono ovviamente una garanzia contro l’armamento nucleare e balistico russo, ancora ragguardevole, e troppo vicino alla «nuova Europa».
Lo scopo di questo dispiegamento è dunque solo quello di rafforzare il dominio militare USA nel vecchio continente, e di provocare Mosca.
L’Unione Europea dovrebbe eccepire.
Ma possiamo scommettere che Solana e Barroso non lo faranno.
Sono lì per servire la Casa Bianca, non l’Unione.

centrosardegna
00mercoledì 24 maggio 2006 22:23
PERCHE' GLI IRANIANI SARANNO RIFIUTATI



La supplica agli Stati Uniti non è così seducente.

Con la sua recente lettera al presidente Bush, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è entrato a far parte di una lunga tradizione di leader del terzo mondo i quali, sottoposti ad una imminente minaccia politica o militare da parte degli Stati Uniti, hanno deciso di dialogare con Washington nel tentativo di rimuovere tale minaccia. Speriamo che lo sforzo di Ahmadinejad non finisca nel solito, tradizionale rifiuto statunitense.

Spinti dalla comprensibile convinzione che si trattasse di semplici malintesi, che gli Stati Uniti non fossero realmente intenzionati a distruggere loro e i movimenti per un cambiamento sociale ad essi legati, il ministro degli esteri del Guatemala nel 1954, il presidente Cheddi Jagan della Guyana Britannica nel 1961, e Maurice Bishop, leader di Grenada, nel 1983, fecero appello per essere lasciati in pace, Jagan lo fece alla casa bianca durante un colloquio con il presidente John F. Kennedy. Tutti furono annientati. Nel 1961 Che Guevara offrì a Kennedy importanti concessioni cubane qualora Washington avesse richiamato le proprie truppe. Tutto questo fu inutile.

Nel 2002, prima del colpo di stato in Venezuela che spodestò Hugo Chavez, alcuni dei cospiratori andarono a Washington per avere luce verde dall’amministrazione Bush. Chavez venne a conoscenza di questa visita e fu così preoccupato per essa, a tal punto che mandò degli ufficiali del proprio governo per difendere la propria posizione. Il successo di questo tentativo può essere giudicato in base al colpo di stato che si verificò subito dopo.

Appena prima dell’invasione degli USA in Iraq nel Marzo 2003, gli ufficiali iracheni, assieme al capo dell’intelligence irachena, informarono Washington, attraverso un uomo d’affari libano-americano, della propria volontà di far sapere agli Stati Uniti che l’Iraq non fosse più in possesso di armi di distruzione di massa. Ed essi offrirono alla truppe americane e a “2000 agenti dell’F.B.I” la possibilità di condurre un'ispezione. Gli iracheni offrirono anche di consegnare un uomo implicato nell’attentato al World Trade Center del 1993, imprigionato in Iraq. Gli iracheni, inoltre, chiesero di poter tenere delle elezioni libere supervisionate dall’O.N.U. ritenendo che le libere elezioni fossero qualcosa in cui gli Stati Uniti credessero fermamente e dalle quali sarebbero stati convinti. Essi offrirono anche pieno appoggio per qualsiasi piano statunitense per il processo di pace arabo-israeliano. “Se si tratta di petrolio”, disse l’ufficiale dell’intelligence, “discuteremo anche delle concessioni degli USA”. Queste proposte furono portate dagli ufficiali iracheni, essendo avallate dal presidente Saddam Hussein. (NYT 11-06-2203). Gli Stati Uniti ignorarono completamente queste aperture.

Questi precedenti riflettono la chiara convinzione da parte dei leaders del Terzo Mondo, che gli Stati Uniti siano aperti alle negoziazioni, al dialogo, all’essere ragionevoli. Certamente la paura e la disperazione, hanno giocato un ruolo fondamentale nel produrre questo stato mentale, ma probabilmente ha contribuito a ciò anche la mistica dell’America, che ha conquistato il cuore e l’immaginazione dell’intero mondo per 2 secoli. Tra il 1945 e il 1946 il leader vietnamita Ho Chi Min, scrisse non meno di otto lettere al presidente degli USA Harry Truman e al Dipartimento di Stato richiedendo l’aiuto dell’America per vincere la battaglia per l’indipendenza del Vietnam dalla Francia. Scrisse che la pace mondiale era minacciata dal tentativo della Francia di riconquistare l’Indocina e chiese che le “quattro potenze” (USA, Unione Sovietica, Cina e Gran Bretagna) intervenissero per mediare un giusto accordo e portare la questione indocinese alle Nazioni Unite. Questo fu un notevole ricorso storico. Nel 1919, Durante la conferenza di pace di Versailles che seguì la Prima Guerra Mondiale, Ho Chi Min si era appellato al segretario di stato Robert Lansing (zio di Allen Dulles e John Foster Dulles, i quali furono inseriti da Lansing nella delegazione Usa) per un aiuto americano nel Raggiungimento delle libertà civili elementari e per il miglioramento delle condizioni di vita per i soggetti coloniali nell’Indocina Francese. La sua supplica fu ignorata.

Allo stesso modo le sue richieste successive non furono prese in considerazione, con le conseguenze che ora il Vietnam, il resto dell’Indocina e gli Stati Uniti conoscono molto bene. Le suppliche di Ho Chi Min furono ignorate perché, in fin dei conti, era un comunista, sebbene lui e i suoi seguaci vietminh furono per lungo tempo degli ammiratori degli Stati Uniti. Ho si fidava degli Stati Uniti molto più che dell’Unione Sovietica ed infatti aveva sulla propria scrivania una foto di George Washington ed una copia della Dichiarazione d’Indipendenza. In accordo con un ex-ufficiale americano, Ho cercò il suo consiglio nel redigere la dichiarazione d’indipendenza dei vietminh. L’attuale dichiarazione vietnamita inizia infatti così: “Tutti gli uomini sono creati uguali. Sono stati dotati dal loro creatore con un certo numero di diritti inalienabili, tra questi, la vita, la libertà e la ricerca della felicità”.

Ora è il turno del presidente iraniano con una lunga lettera personale al Presidente Bush. Questa ha lo stesso obiettivo delle comunicazioni menzionate in precedenza: dissuadere il pit bull americano dall’attaccare, distruggere ed aumentare il livello di sofferenza in questo mondo vecchio e triste. Se la Casa Bianca ha già deciso di attaccare, la lettera di Ahmadinejad non avrà alcun effetto. Ci fu qualcosa che la Cecoslovacchia poté fare per prevenire l’invasione nazista nel 1938? O la Polonia nel 1939?


centrosardegna
00giovedì 25 maggio 2006 21:44
L’Iran si prepara alla guerra. Asimmetrica.



In attesa dell’aggressione americana, l’Iran sta riorganizzando le proprie forze armate e sottoponendole a tutta una serie di esercitazioni molto significative.
A dicembre, 15 mila uomini dell’esercito regolare hanno condotto ampie manovre nelle due province abitate dalla minoranza azera (turcofona), Est Azerbaijan e Ovest Azerbaijan: la simulazione comportava l’uso di unità molto mobili e rapide in azioni di guerra irregolare, evidentemente contro infiltrazioni dal vicino Azerbajan.
Una seconda esercitazione molto più imponente (100 mila uomini) ha avuto luogo nella provincia del Khuzestan: nel presupposto che l’'invasore debba come prima cosa attaccare questa regione, la più ricca di petrolio e abitata da arabi sunniti, in modo da tagliare i rifornimenti petroliferi dell’Iran e mettere in sicurezza lo stretto di Ormuz per il passaggio delle navi americane sottocosta. I comandi persiani paiono ritenere la minoranza araba del Khuzestan pronta a sollevazioni sotto influenza straniera.
Per questo la celebre «Basij», un corpo paramilitare che ha condotto tutte le offensive iraniane contro l’Irak di Saddam, è stato rafforzato con i cosiddetti battaglioni Ashura, che hanno addestramento anti-sommossa.



La riorganizzazione maggiore consiste nel riconvertire la Guardia Rivoluzionaria (RG), la milizia islamica del regime, da forza territoriale dedita alla difesa dei confini - difesa impossibile vista la superiorità tecnica e di potenza USA - in un corpo agile che dovrebbe trascinare il nemico all’interno del territorio, e poi impegnarlo con tattiche asimmetriche.
A questo scopo, le province ai confini sono rese militarmente autonome in caso di conflitto, e la RG non dipende più dallo stesso comando dell’esercito regolare.
La strategia evidente è di replicare i successi della guerriglia irachena, che quattro anni dopo la «fulminante vittoria» americana, sta usurando le truppe occupanti sul terreno.
Allo stesso modo, i comandi iraniani stanno preparando una forza di resistenza diffusa, mobile e pluri-centrica.
Esercitazioni sono avvenute nelle zone costiere, da Bandar Abbas allo stretto di Ormuz a gennaio, al Golfo Persico in aprile, e attorno alla base navale di Khorramabad e nella zona nord-occidentale del Golfo nei giorni scorsi.
Nello stesso tempo, l’armata si prepara a contrastare una possibile offensiva sull’asse Mandali-Ilam, ossia dall’Iraq centrale al centro dell’Iran.
La catena naturale del monte Zagros viene adattata a linea di resistenza, con varie basi appositamente costruite negli ultimi tempi per assicurare la logistica per 250 mila uomini, e per l’assistenza a mezzo milione di profughi dal confine dell’Iraq.



Fino a che punto serve questa preparazione?
L’ipotesi più probabile è che l’attacco militare USA avvenga esclusivamente dal cielo, senza contemplare un’invasione, e nemmeno teste di ponte sul terreno.
A quanto ha detto un comandante della RG ad Asia Times, i militari di Teheran credono però possibile - e forse per il nemico necessario - un qualche tipo di sbarco per «illuminare»le installazioni nucleari da colpire, che sono sparse e sotterranee, e per constatarne la distruzione.
Le ipotesi che prevedono sono tre: l’uso di sottomarini lanciamissili dal Golfo, l’arrivo di commandos dal mare, o le azioni del gruppo anti-ayatollah Mujaheddin-e-Khalk, addestrati in Israele e in Azerbaijan per penetrare nel territorio.
La forza aerea è ridotta, i missili a disposizione dell’Iran sono vecchi modelli russi e cinesi, che però possono essere lanciati da batterie costiere e anche da battelli veloci.
E’ dubbio se il Paese già disponga dei missili anti-nave russi 3M-82 Moskit, i temuti «Sunburn» che filano al doppio della velocità del suono a pochi centimetri dall’acqua.
Quest’arma potrebbe infliggere gravi danni alla marina USA nel ridotto teatro del Golfo.
«Certo è che l’Iran è ben dotato come missilistica terra-aria e la sta migliorando», dice un analista saudita, Abdurrahman Shayyal.
«Inoltre, l’Iran è comprovatamente difficile da infiltrare, e le sue installazioni e basi militari sono molto ben protette».



Anche per questo gli USA stanno cercando di radunare un’alleanza dei vicini ostili all’Iran.
Ed hanno offerto loro un sistema di difesa anti-missile regionale, uno scudo stellare integrato con informazioni in tempo reale e con l’uso di missili navali Aegis, sofisticatissimi ma mai provati in situazioni belliche.
Ciò, allo scopo dichiarato e propagandistico di proteggere i Paesi filo-americani del Golfo da un’improbabile pioggia di missili persiani.
Ora, benchè i regimi degli emirati e la monarchia saudita non abbiano alcuna simpatia per Teheran, la prospettiva di una «protezione» che di fatto equivale ad una chiamata alle armi non li entusiasma.
«Un’offerta americana da rifiutare», titolava Gulf News, il giornale in lingua inglese, martedì scorso; «come se la regione non fosse ancora abbastanza volatile, ora gli USA vogliono installare un sistema missilistico avanzato negli Stati del Gulf Cooperation Council.
[Ma] i Paesi del Golfo hanno già i loro problemi, camminano sul filo del rasoio fra le varie posizioni… perciò non c’è bisogno alcuno di esacerbare le cose inserendo nella regione misure così discutibili».
Il Council comprende sei Stati arabi affacciati sul Golfo, di cui il più grosso è l’Arabia Saudita.
In un «vertice consultivo» tenuto a Ryad il 6 maggio, hanno espresso contrarietà per un Iran con armi nucleari, ma hanno anche espresso la contrarietà all’uso della forza.



«Qualunque sistema di sicurezza del Golfo che non comprenda l’Iran non può funzionare», dice Muhammd Reza Saedabadi, dell’istituto di Studi americani ed europei all’università di Teheran, «perchè spacca la regione».
Anche Shayyal, l’analista strategico saudita, è dello stesso parere: «gli USA sono ridicoli. Pretendono di fare i poliziotti della regione. Ma hanno a che fare con un Paese che è molto più forte dell’Iraq, dell’Afghanista, del Sudan. E anche del Vietnam».
Ciò concorda fin troppo con l’opinione di Andrew Bacevich, un conservatore e militarista americano, opinionista fisso del settimanale neocon Weekly Standard, docente al dipartimento di relazioni internazionali della Boston University.
Oggi, è assai preoccupato, anzi angosciato: «la guerra (in Iraq) ha messo allo scoperto la limitata profondità della potenza militare americana. Dalla fine della guerra fredda noi americani ci siamo vantati, tambureggiandoci il petto [come gorilla] di essere la più grande potenza militare mai vista al mondo, da far impallidire il Terzo Reich, da fa impallidire l’impero romano…»
«Ora, siamo un Paese di 290 milioni di abitanti che ha una forza di circa 130 mila soldati impegnata in Iraq contro diciamo 10-20 mila ribelli, e a) non possiamo vincere, b) siamo già nel quarto anno di un conflitto che probabilmente non potremo sostenere molto più a lungo.
Tutti coloro che credono nel progetto imperiale americano, e che vedono la potenza militare come fondamento dell’impero, dovrebbero preoccuparsi molto… è risultato che la nostra vantata supremazia militare non è ciò che pretendeva… è imperativo ripensare il nostro ruolo nel mondo sì da ritrarci dall’insostenibile nozione di egemonia globale».



Sulla imminente aggressione all’Iran, Bacevich dice: «una campagna della marina e della forza aerea può cominciarla, ma non può finirla. Se i generali sono sicuri di conoscere esattamente dove è il programma nucleare iraniano, e se abbiamo i dati e le munizioni
per distruggerlo, è un discorso; ma non abbiamo questa certezza. Dal punto di vista dell’esercito di terra e del corpo dei Marines, un attacco aereo può essere l’inizio di una guerra contro l’Iran, ma la cosa non finisce lì. Com’è stato il caso sia in Afghanistan sia in Iraq, seguirà qualche orribile ‘dopo’, e la marina e l’aviazione non saranno lì ad aiutare, almeno non in modo decisivo».
«Dunque ripeto: se siamo entusiasti della supremazia militare americana, dobbiamo riflettere seriamente sulla qualità dei nostri generali. Scegliamo le persone giuste alla carica di comandanti a due, tre, quattro stelle? Li addestriamo e il prepariamo in modo adeguato alle responsabilità che devono affrontare? La guerra in Iraq ha rivelato gravi manchevolezze su questo punto».

centrosardegna
00lunedì 29 maggio 2006 22:57
L’IRAN HA DIRITTO ALL’AUTO-DIFESA




"Mentre affermano di star proteggendo il mondo dalle minacce di proliferazione in Iraq, Libia, Iran e Corea del Nord, i leader statunitensi non solo hanno abbandonato le restrizioni dei trattati esistenti, ma hanno anche sostenuto piani per testare e sviluppare nuove armi, tra cui missili anti-balistici, missili "anti-bunker” che penetrano la terra e forse alcune nuove "piccole bombe”. Hanno anche abbandonato impegni precedenti ed ora minacciano l’uso preventivo di armi nucleari contro stati non-nucleari”, L’ex Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter.

Gli Stati Uniti ed Israele sono nel processo produttivo di una "crisi” per giustificare una guerra d’aggressione contro l’Iran in flagrante violazione del diritto e delle norme internazionali. L’attuale crisi ricorda la crisi che fu creata per giustificare l’illegale guerra d’aggressione contro un Iraq privo di difese.

Da parte sua, l’Iran non pone alcuna minaccia ad altre nazioni. Né l’Iran è in violazione della legge e delle norme internazionali. Inoltre, l’Iran ha un diritto inalienabile all’auto-difesa contro l’aggressione.

Contrariamente ai resoconti e alle distorsioni dei media, l’Iran non è impegnato nello sviluppo di armi nucleari e non sta minacciando altre nazioni. Come molti altri paesi, sta perseguendo la legittima ricerca nucleare pacifica. Secondo il Trattato di Non Proliferazione (TNP), l’Iran ha il diritto ad arricchire l’uranio per usi pacifici. Non ci sono assolutamente prove che stia perseguendo un programma di armi nucleari. Le accuse per cui l’Iran ha "ambizioni di armi nucleari” sono perlomeno ridicole.

Senza alcuna giustificazione, gli Stati Uniti ed Israele hanno minacciato di attaccare l’Iran con armi nucleari se continuerà il suo programma nucleare. Tre membri dell’Unione Europea, Gran Bretagna, Francia e Germania, sono stati costretti ad agire dagli Stati Uniti contro i loro interessi e contro i desideri della grande maggioranza dei cittadini europei.

Nonostante l’Iran abbia provato a negoziare soluzioni pacifiche alla crisi, gli Stati Uniti hanno costantemente rifiutato le offerte dell’Iran e dimostrato di non essere interessati ad una soluzione pacifica. L’Iran ha dichiarato pubblicamente che sta cercando una "garanzia di sicurezza” e che desidera partecipare alla fondazione di una zona nuclear-free in Medio Oriente. Invece di perseguire il dialogo pacifico, gli Stati Uniti continuano a seguire l’ideologia israeliana di guerra ed espansione. I leader di Israele stanno apertamente spingendo gli Stati Uniti ad attaccare l’Iran e gli Stati Uniti stanno agendo come se l’esercito Usa fosse l’esercito di Israele, mentre molti giovani statunitensi stanno morendo per l’ideologia sionista.

Israele ha attaccato e invaso illegalmente altre nazioni: infatti, sta ancora occupando terre in Libano e Siria contravvenendo alle risoluzioni dell’ONU. Israele sta attualmente armando ed addestrano le milizie curde nell’Iraq settentrionale e i Mujahideen el-Khalq (MEK) – recentemente catalogati come gruppo terroristico dal Dipartimento di Stato Usa – per perpetrare operazioni clandestine terroristiche e di spionaggio in Iran.

L’obbiettivo degli Stati Uniti è di rovesciare il governo democraticamente eletto dell’Iran, rafforzare il dominio imperialista Usa sulle risorse petrolifere del Medio Oriente e sostenere la politica sionista di Israele. E’ importante tenere a mente che durante il sanguinoso regime dittatoriale dello Scià, gli Stati Uniti ed Israele sostennero l’Iran nel suo proposito di sviluppare la tecnologia nucleare. L’attuale programma iraniano è una pacifica tecnologia nucleare per produrre energia.

Inoltre, l’Iran non è colpevole di violazioni della legge internazionale. L’Iran ha volontariamente firmato il Protocollo Addizionale. Come dichiarato dal rapporto risalente all’8 marzo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), "l’Iran ha continuato a facilitare l’accesso secondo il suo Accordo di Salvaguardia come richiesto dall’Agenzia e, fino al 6 febbraio 2006, ha implementato il Protocollo Addizionale come se fosse in vigore, comprendendo il rilascio, su base periodica, delle dichiarazioni di requisiti e l’accesso ai siti”.

In passato il Direttore Generale dell’AIEA, Mohamed El Baradei, ha fatto notare molte volte che l’Iran non è in violazione del TNP o di qualunque accordo con l’AIEA. Comunque, da allora ElBaradei è stato premiato (con un Nobel) dai suoi padroni per essersi dimostrato bravo a seguire gli ordini. ElBaradei sta rilasciando dichiarazioni fuorvianti accusando l’Iran di "non conformità”. Come al solito, l’AIEA continua a politicizzare la situazione, costringendo l’Iran all’impossibile. L’affermazione per cui l’AIEA "non è in grado di confermare l’assenza di materiale nucleare ed attività non dichiarate in Iran” è la stessa fuorviante dichiarazione di Hans Blix – il complice dell’ONU – per demonizzare l’Iraq e preparare l’opinione pubblica all’illegale guerra di aggressione che ha distrutto una nazione vivace e ucciso centinaia di migliaia di innocenti civili iracheni. Ora il ruolo di ElBaradei è continuare a fornire agli Stati Uniti gli argomenti per le accuse di ‘non conformità’. Con il tempo, l’opinione pubblica sarà preparata e persuasa a sostenere una guerra in Iran.


Gli Stati Uniti hanno chiesto che l’Iran abbandoni tutta la sua ricerca nucleare, compresa l’estrazione del proprio uranio, e compri invece il carburante da uranio arricchito per generare l’elettricità. Questo è inaccettabile, poiché molti paesi nel mondo fanno esattamente l’opposto. Proprio come farebbe ogni nazione, l’Iran rifiuta le inique richieste Usa, che lascerebbero il paese dipendente dalla tecnologia e dalle risorse esterne. Il 16 maggio, i 3 membri dell’Unione Europea hanno chiesto che l’Iran "sospenda tutte le attività di rielaborazione e relative all’arricchimento [di uranio], tra cui la ricerca e lo sviluppo”. L’Iran ha risposto dichiarando che, "Nessun incentivo è meglio che implementare il TNP e le regole dell’AIEA senza discriminazione”. Le richieste dei 3 paesi sono irrealistiche ed ideate per propositi di propaganda, in modo da rafforzare le motivazioni di guerra. Chiedendo l’impossibile, gli Stati Uniti e i 3 membri dell’Unione Europea stanno aumentando la possibilità di conflitto ed aggressione.

La minaccia israelo-statunitense di attaccare l’Iran sta allarmando il mondo civilizzato. In previsione di un attacco all’Iran e, in aggiunta all’arsenale di armi nucleari e missili ad ampia gittata già posseduti da Israele, gli Stati Uniti hanno fornito agli Israeliani degli aerei F-15 ed F-16 in grado di trasportare testate nucleari.

Scrivendo nel Bollettino degli Scienziati Atomici, Avner Cohen and William Burr dimostrano che "Un attacco nucleare Usa [all’Iran] causerebbe gravi danni fisici, sociali, economici e politici”. Cohen and Burr hanno aggiunto, "Da 5 a 10 esplosioni nucleari di 10 kilotoni l’una a pochi metri sotto il suolo distruggerebbero la maggior parte degli edifici in un raggio di 1-2 kilometri da ogni esplosione, costringendo alla veloce evacuazione in un raggio di 100 metri quadri per salvare delle vite; contaminerebbero edifici, terreni, bestiame e colture per migliaia di metri quadri e, a seconda del vento e della pioggia, provocherebbero una ricaduta radioattiva sufficiente da far evacuare e/o proteggere almeno migliaia di kilometri sottovento. La radioattività misurabile sarebbe rilevata in tutto il mondo”.

Dato che la maggior parte degli impianti e delle strutture di ricerca iraniane sono situati in aree urbane e vicino a centri abitati, centinaia di migliaia di civili innocenti sarebbero uccisi. I cittadini statunitensi dovrebbero pensarci attentamente prima che il loro governo commetta nuovi crimini contro l’umanità in loro nome.

Anziché lavorare per eliminare l’uso delle armi nucleari, gli Stati Uniti continuano ad raffinare le proprie, e le considerano parte integrante delle loro forze militari. In violazione del TNP, gli Stati Uniti stanno sviluppando nuovi armamenti nucleari e incoraggiano altre nazioni a svilupparle. In realtà, gli Stati Uniti sono nella fase di rendere l’uso delle mostruose armi nucleari più accettabile nelle future guerre d’aggressione contro nazioni prive di armi nucleari. Non dovremmo dimenticare che gli Stati Uniti sono l’unica nazione ad aver usato armi nucleari contro l’umanità.

Se c’è un paese che costituisce la classica minaccia alla pace a alla sicurezza internazionali, si tratta degli Stati Uniti. Essi sono stati coinvolti in molti conflitti e guerre che si sono risolti nell’inutile omicidio di milioni di persone innocenti. Dalla Corea, il Vietnam e la Cambogia alla Palestina, l’Afghanistan e l’Iraq, milioni di persone innocenti sono state massacrate dalle forze Usa.

Nessuna nazione rinuncerebbe al proprio diritto all’indipendenza nazionale davanti a minacce come quelle poste dagli Stati Uniti e Israele all’Iran. Se l’Iran fosse attaccato senza provocazione, avrebbe diritto a rispondere per auto-difesa. L’auto-difesa contro l’aggressione è un diritto inalienabile dell’Iran e merita il sostegno popolare in tutto il mondo. Come la Corea del Nord, l’Iran ha il diritto a perseguire una politica di auto-difesa per impedire un futuro attacco Usa.


centrosardegna
00lunedì 10 luglio 2006 23:17
L' ULTIMA RESISTENZA



Il problema dei militari con la politica del Presidente sull’ Iran




Il 31 Maggio, il Segretario di Stato Condoleeza Rice ha annunciato quello che sembrava essere un grande cambiamento nella politica estera USA. Disse che l’Amministrazione Bush sarebbe stata disposta ad unirsi a Russia, Cina e ai suoi diretti alleati Europei per colloqui diretti con l’Iran a riguardo del suo programma nucleare. Vi era una condizione, però: i negoziati non sarebbero iniziati sino a che, come la mise il Presidente nel suo discorso del 19 Giugno alla U.S. Merchant Marine Academy, “il regime Iraniano non sospende in maniera completa e verificabile il suo arricchimento dell’ uranio e le sue attività di riprocessamento.” All’Iran, che ha insistito sul suo diritto di arricchire l’uranio, si stava chiedendo di concedere il punto maggiore del negoziato prima che questo iniziasse.

La questione era se l’Amministrazione si aspettava che gli Iraniani fossero d’accordo, o stava gettando le basi diplomatiche per una futura azione militare. Nel suo discorso Bush ha anche parlato di “libertà per il popolo Iraniano”, e ha aggiunto, “i leader dell’ Iran hanno una chiara opzione.” Vi era una minaccia non dichiarata: lo US Strategic Command, appoggiato dall’ Aviazione, stava redigendo i piani, sotto la direzione del Presidente, per una grande campagna di bombardamento in Iran.

Dentro al Pentagono, secondo funzionari e ufficiali in pensione e in attività, i comandanti anziani hanno sempre più sfidato i piani del presidente. I generali e gli ammiragli hanno detto all’ Amministrazione che una campagna di bombardamento non sarebbe probabilmente riuscita a distruggere il programma nucleare Iraniano. Hanno anche avvertito che un attacco potrebbe portare a serie conseguenze economiche, politiche e militari per gli Stati Uniti.

Una questione cruciale nel dissenso dei militari, hanno detto i funzionari, è il fatto che le agenzie di intelligence Americane ed Europee non hanno trovato una prova specifica di attività clandestine o di stabilimenti nascosti; i pianificatori della guerra non sono sicuri su cosa colpire. “L’insieme degli obiettivi in Iran è enorme, ma è amorfo,” mi ha detto un generale che occupa un’alta posizione. “La domanda che affrontiamo è: quando una infrastruttura innocente evolve in qualcosa di malvagio?” Il generale di alto grado ha aggiunto che l’esperienza dell’esercito in Iraq, dove l’intelligence sulle armi di distruzione di massa era profondamente difettosa, ha influito sul suo approccio all’ Iran. “Abbiamo fatto sembrare l’Iraq un grande mostro e lì non c’era nulla. Questa storia è figlia dell’ Iraq,” ha detto.

“All’ interno del Pentagono sta avvenendo una guerra sulla guerra,”mi ha detto un consulente del Pentagono. “Se andiamo, dobbiamo trovare qualcosa.”

Nel discorso di Bush a Giugno egli ha accusato l’Iran di perseguire un segreto programma di armamento insieme al suo programma civile di ricerca nucleare (che, con dei limiti, è consentito dal Trattato di Non-Proliferazione Nucleare). Gli ufficiali anziani al Pentagono non mettono in discussione l’ argomento del Presidente che l’Iran intenda alla fine costruire una bomba, ma sono frustrati dai buchi nell’intelligence. Un ex ufficiale anziano dell’intelligence mi ha detto che la gente al Pentagono stava chiedendo, “Qual è la prova? Abbiamo un milione di tentacoli laggiù, nascosti e evidenti, e questi tipi”-gli Iraniani-“stanno lavorando a questo da diciotto anni e noi non abbiamo nulla? Ce ne veniamo fuori con una cagatina?”

Un ufficiale anziano dell’esercito mi ha detto, “Anche se sapessimo dov’è l’uranio arricchito degli Iraniani – e non lo sappiamo- non sapremmo da che parte starebbe l’opinione del mondo. La questione è se c’è un chiaro e attuale pericolo. Se sei un pianificatore militare, cerchi di soppesare le opzioni. Qual è la capacità di risposta degli Iraniani, e la probabilità di una risposta punitiva – come interrompere le spedizioni di petrolio? Quanto ci costerebbe?” Il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e i suoi consiglieri anziani “pensano davvero di poter fare ciò a poco prezzo, e sottostimano le capacità degli avversari”, mi ha detto.

Nel 1986, il Congresso ha autorizzato il presidente del Joint Chiefs of Staff [Stati Maggiori Riuniti n.d.t.] ad agire come “principale consigliere militare” del Presidente. In questo caso, mi è stato detto, l’attuale presidente, il generale dei Marines Peter Pace, è andato oltre nei suoi consigli alla Casa Bianca, trattando delle conseguenze di un attacco all’ Iran. “Abbiamo l’esercito che dice alla Casa Bianca ciò che non può fare politicamente”-sollevando preoccupazioni sulla crescita dei prezzi del petrolio, per esempio-mi ha detto l’ex ufficiale anziano. “Il presidente degli Stati Maggiori Riuniti che va dal Presidente con argomenti economici- cosa sta succedendo?”(il Generale Pace e la Casa Bianca si sono rifiutati di commentare. Il Dipartimento della Difesa ha risposto ad una dettagliata richiesta di commento dicendo che l’Amministrazione stava “lavorando diligentemente” su di una soluzione diplomatica e che non poteva commentare questioni classificate.)



Un generale da quattro stelle in pensione, che ha guidato uno dei maggiori comandi, ha detto, “il sistema sta iniziando a vedere la fine della strada, e non vogliono essere condannati dalla storia. Vogliono poter dire, ‘Abbiamo resistito’”

La leadership militare sta anche sollevando argomenti tattici sulla proposta di bombardare l’Iran, molti dei quali sono legati alle conseguenze per l’Iraq. Secondo il Maggiore dell’ Esercito in pensione William Nash, che è stato comandante della Prima Divisione Corazzata, che ha prestato servizio in Iraq e Bosnia e che ha lavorato per le Nazioni Unite in Kosovo, attaccare l’Iran aumenterebbe i rischi per le forze americane e della coalizione in Iraq. “Cosa succederebbe se centomila volontari Iraniani attraversassero il confine?” ha chiesto Nash. “Se bombardiamo l’Iran, non possono fare una rappresagli aerea – solo via terra o via mare, e solo in Iraq o nel Golfo. Un pianificatore militare non può escludere questa possibilità, e non può fare l’assunzione ideologica che gli Iraniani non faranno ciò. Non stiamo parlando della vittoria o della sconfitta-solo del danno che l’Iran potrebbe fare ai nostri interessi.” Nash, ora un membro anziano del Council on Foreign Relations, ha detto, “La loro prima risposta possibile sarebbe mandare forze in Iraq. E dato che l’ Esercito Iracheno ha capacità limitate vorrebbe dire che le forze della coalizione dovrebbero affrontarli”

Gli Americani che fungono da consiglieri alla polizia e all’esercito Iracheno sarebbero in particolare rischio, ha aggiunto Nash, dato che un bombardamento Americano “verrebbe visto non solo come un attacco contro gli Sciiti ma come un attacco contro tutti i Musulmani. In tutto il Medioriente sarebbe probabilmente visto come un altro esempio di imperialismo Americano. Farebbe probabilmente diffondere la guerra.”

Al contrario, secondo un consulente del governo con stretti legami con i leader civili del Pentagono, alcuni conservatori pensano che la posizione dell’ America in Iraq migliorerebbe se l’Iran scegliesse di compiere lì una rappresaglia perchè l’interferenza Iraniana dividerebbe gli Sciiti in fazioni pro- e anti-Iraniane e unificherebbe i Curdi e i Sunniti. Il consulente ha detto che i falchi Iraniani alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato, inclusi Elliott Abrams eMichael Doran, entrambi i quali sono consiglieri del National Security Council per il Medioriente, hanno anche una risposta per coloro che credono che il bombardamento dell’ Iran metterebbe a rischio i soldati Americani in Iraq. Ha descritto il controargomento in questo modo: “Si, ci sarebbero Americani sotto attacco, ma sono sotto attacco anche ora.”

La geografia dell’Iran complicherebbe anche una guerra aerea. L’ufficiale anziano dell’esercito ha detto che, per quel che riguarda gli attacchi aerei, “questo non è l’Iraq,” che è piuttosto piatto tranne che nel nord-est. “Gran parte dell’ Iran è simile all’Afghanistan in termini topografici e di mappe di volo – un obiettivo abbastanza tosto,” ha detto l’ufficiale. Su un terreno accidentato gli aerei dovrebbero avvicinarsi di più e “l’Iran ha un sacco di sistemi e reti di difesa aerea mature,” ha detto. “Le operazioni globali sono sempre rischiose e se prendiamo questa strada dobbiamo essere preparati a proseguire con truppe di terra.”

La Marina USA ha un insieme separato di preoccupazioni. L’ Iran ha più di settecento moli e porti non dichiarati sulla sua costa lungo il Golfo Persico. I piccoli porti, noti come “moli invisibili,” furono costruiti vent’anni fa dalle Guardie Rivoluzionarie Iraniane per ospitare piccole barche private usate per il contrabbando. (Le Guardie si affidavano al contrabbando per finanziare le loro attività e arricchirsi.) Un esperto dell’ Iran che è consigliere del Governo USA mi ha detto che i porti forniscono “le infrastrutture che rendono capaci le Guardie di attaccare le portaerei Americane con attentatori suicidi marini”-piccole imbarcazioni caricate di potenti esplosivi. Ha detto che gli Iraniani hanno condotto esercitazioni nello Stretto di Hormuz, lo stretto canale che collega il Golfo Persico al Mare Arabico e poi all’ Oceano Indiano. Lo stretto in cui un migliaio di barche Iraniane hanno simulato attacchi contro navi Americane è regolarmente attraversato da petroliere. “Quello sarebbe il peggiore problema che dovremmo affrontare in mare: un migliaio di piccoli obiettivi che vanno qua e là tra le nostre navi.”

Anche gli alleati dell’ America nel Golfo credono che un attacco contro l’Iran li metterebbe in pericolo, e molti pianificatori militari Americani sono d’accordo. “L’Iran può fare un sacco di cose-tutte in maniera asimmetrica,” mi ha detto un consigliere del Pentagono di contro-insurrezione. “Hanno agenti in tutto il Golfo, e la capacità di colpire quando vogliono.” A Maggio, secondo un ben informato esperto dell’industria petrolifera, l’Emiro del Qatar ha fatto una visita privata a Tehran per discutere della sicurezza nel Golfo dopo la guerra in Iraq. Ha cercato degli accordi di non aggressione con la leadership Iraniana. Invece gli Iraniani hanno suggerito che il Qatar, che è la sede del quartier generale dello U.S. Central Command, sarebbe il loro primo obiettivo nel caso di un attacco Americano. Il Qatar è un grande esportatore di gas e attualmente dispone di diverse grandi piattaforme petrolifere offshore, e tutte sarebbero estremamente vulnerabili. (L’ ambasciatore del Qatar a Washington, Nasser bin Hamad M. al-Khalifa, ha negato che sia stata fatta alcuna minaccia durante gli incontri dell’ Emiro a Tehran. Mi ha detto che è stata “una visita molto piacevole.”)

Un diplomatico Americano in pensione, che ha esperienza nel Golfo, ha confermato che il governo del Qatar è “molto spaventato da ciò che faranno gli Americani” in Iran, e “spaventato a morte” da ciò che l’Iran farebbe in risposta. Il messaggio dell’ Iran ai paesi del Golfo produttori di petrolio, ha detto il diplomatico, è stato che risponderà e che “siete dalla parte sbagliata”.

Alla fine di Aprile la leadership militare, capeggiata dal Generale Pace, ha raggiunto una grande vittoria quando la Casa Bianca ha abbandonato la sua insistenza che il piano per la campagna di bombardamento includesse il possibile uso di dispositivi nucleari per distruggere l’impianto Iraniano di arricchimento dell’uranio a Natanz, circa duecento miglia a sud di Tehran. Il grande complesso include grandi strutture sotterranee costruite in buche profonde 75 piedi [circa 25 metri n.d.t.] e progettate per contenere almeno 50000 centrifughe. “Bush e Cheney erano tremendamente seri sul piano di attacco nucleare,” mi ha detto l’ex ufficiale anziano dell’ intelligence. “E Pace si è opposto a loro. Poi hanno ritrattato: ‘OK, l’opzione nucleare è politicamente inaccettabile.’” In quel periodo un certo numero di ex funzionari, inclusi Paul Eaton and Charles Swannack, Jr., due maggiori dell’ esercito che avevano prestato servizio in Iraq, avevano iniziato a parlare contro la gestione della guerra in Iraq da parte dell’ Amministrazione. Per molti al Pentagono questo periodo è noto come “la Rivoluzione di Aprile.”

“Un evento come questo non viene sotterrato molto velocemente,” ha aggiunto l'ex ufficiale. “Le cattive sensazioni sull' opzione nucleare vengono percepite ancora. La gerarchia civile si sente straordinariamente tradita dagli alti papaveri dell'esercito, e questi si sentono come se fossero stati fatti cascare”nella pianificazione nucleare “dalla richiesta di fornire tutte le opzioni per i documenti di pianificazione”.

Sam Gradiner, un analista militare che ha insegnato al National War College prima di lasciare l' Aviazione col grado di colonnello, ha detto che le scelte in seconda battuta di Rumsfeld e la microgestione sono un problema fondamentale. “I piani sono sempre più diretti e gestiti da i civili dell' Ufficio del Segretario della Difesa,” ha detto Gardiner. “Ciò provoca un sacco di tensione. Vengo a sapere che i militari sono sempre più scocciati dal non essere presi sul serio da Rumsfeld e dal suo staff.”

Gardiner è andato oltre, “La conseguenza è che, per l'Iran e altre missioni, Rumsfeld verrà spinto sempre più verso operazioni speciali, dove ha autorità diretta e non deve affrontare le obiezioni dei Comandanti.” Da quando è entrato in carica nel 2001, Rumsfeld è stato impegnato in una continua disputa con molti comandanti anziani sui suoi piani di trasformazione delle forze armate, e sulla sua idea che le guerre future saranno combattute, e vinte, con la potenza aerea e le Forze Speciali. Questa combinazione ha funzionato all'inizio in Afghanistan, ma la crescente empasse lì e in Iraq ha creato una spaccatura, specialmente nell' esercito. L'ufficiale anziano ha detto: “I politicanti amano rispondere ai tizi col cammello con delle Operazioni Speciali.”

La discordia sull’ Iran può, in parte, essere ascritta all’ irritabile rapporto di Rumsfeld con i generali. Loro lo vedono come tirannico e non disposto ad accettare la responsabilità di ciò che è andato storto in Iraq. Un ex funzionario dell’ Amministrazione Bush ha descritto un recente incontro tra Rumsfeld e generali e ammiragli a quattro stelle ad una conferenza per comandanti militari in una base fuori Washington, che, gli è stato detto, è andato male. I comandanti hanno poi detto al Generale Pace che “non erano venuti qui a sentire lezioni dal Segretario alla Difesa. Volevano dire a Rumsfeld quali erano le loro preoccupazioni.” Alcuni degli ufficiali hanno poi assistito ad un successivo incontro tra Pace e Rumsfeld, e non furono contenti, ha detto l’ex ufficiale, quando “Pace non ha ripetuto nessuna delle loro lamentele. Erano delusi da Pace.” Il generale a quattro stelle, ora in pensione, ha anche descritto la conferenza dei comandanti come “molto irritabile”. Ha aggiunto, “Abbiamo 2500 morti, gente che va in tutto il mondo a fare cose stupide, e ufficiali fuori dalla Beltway [il raccordo stradale attorno a Washington n.d.t.] che chiedono ‘cosa diavolo sta succedendo?’”

Coloro che appoggiano Pace dicono che è in una posizione difficile, data l’inclinazione di Rumsfeld a vedere i generali in disaccordo con lui come traditori. “C’è uno stretto confine tra l’essere reattivi ed efficaci e l’essere troppo diretti e inefficaci,” ha detto l’ex ufficiale dell’intelligence.

Ma Rumsfeld non è solo nell’ Amministrazione quando si parla di Iran; è strettamente alleato con Dick Cheney e, dice il consulente del Pentagono, “il Presidente in genere rimanda al Vice Presidente per tutte queste questioni,” come il trattare i dettagli di una campagna di bombardamento se fallisce la diplomazia. “Egli pensa che Cheney ha un vantaggio dal punto di vista dell’informazione. Cheney non è un rinnegato. Rappresenta l’opinione comune su tutto ciò. Si appella alla lobby dell’ aviazione del bombardamento strategico– che pensa che il bombardamento a tappeto sia la soluzione per tutti i problemi.”

Il bombardamento potrebbe non funzionare contro Natanz, tanto meno contro il resto del programma nucleare Iraniano. La possibilità di usare armi nucleari tattiche ha guadagnato l’appoggio dell’ Amministrazione per la convinzione che fosse l’unica strada per assicurare la distruzione dei laboratori sotterranei di Natanz. Quando l’opzione si è dimostrata politicamente insostenibile (una testata nucleare, tra le altre cose, sfogherebbe radiazioni fatali per miglia), l’ Aviazione se ne è uscita con un nuovo piano di bombardamento, usando avanzati sistemi di guida per sganciare una serie di grandi ‘bunker-busters’- bombe convenzionali riempite di esplosivi ad alto potenziale- in rapida successione sullo stesso obiettivo. L’aviazione ha sostenuto che l’impatto avrebbe generato una forza di sfondamento sufficiente per ottenere l’effetto che raggiungerebbe una testata nucleare tattica, ma senza provocare un’ accesa protesta contro quello che sarebbe il primo uso da Nagasaki di un’ arma nucleare.


La nuova idea di bombardamento ha provocato controversie tra i pianificatori del Pentagono e gli esperti esterni. Robert Pape, un professore all’Università di Chicago che ha insegnato alla Air Force’s School of Advanced Air and Space Studies [Scuola dell’ Aviazione di Avanzati Studi Aerei e Spaziali n.d.t.], mi ha detto, “Abbiamo sempre un po’ di nuovi giocattoli, nuovi espedienti, e raramente questi nuovi trucchi portano a fenomenali passi avanti. Il problema è che Natanz è un’ area sotterranea molto grande, e anche se crollasse il soffitto non saremmo capaci senza gente sul campo di ottenere una buona stima dei danni provocati dalle bombe. Non sappiamo nemmeno dove va sottoterra e non avremo molte certezze nello stabilire cosa abbiamo davvero fatto. A meno di catturare uno scienziato nucleare Iraniano e dei documenti è impossibile stabilire con certezza il programma.”

Un aspetto che complica le cose della tattica a colpi multipli, mi ha detto il consulente del Pentagono, è “il problema della liquefazione” – il fatto che il terreno perderebbe la sua consistenza a causa dell’enorme calore generato dall’impatto della prima bomba. “Sarebbe come bombardare l’acqua, con le sue correnti e i suoi flussi. Le bombe verrebbero probabilmente distratte [dall’obiettivo]” L’ intelligence ha anche mostrato che per gli scorsi due anni gli Iraniani hanno spostato i loro materiali e stabilimenti di produzione più delicati relativi al programma nucleare, traslocandone alcuni in aree urbane, in previsione di un raid di bombardamento.

“L’ Aviazione sta cercando di propinare la cosa agli altri servizi,” ha detto l’ex ufficiale anziano dell’intelligence- “Sono tutti eccitati ma vengono terribilmente criticati per questo.” Il maggiore problema, ha detto, è che gli altri servizi non credono che la tattica funzionerà. “La marina dice ‘non è il nostro piano’. I Marines sono contro – loro sanno che saranno quelli sul terreno se le cose si spostano a sud.”

“E’ la mentalità di quelli che bombardano,” ha detto il consulente del Pentagono. “L’ Aviazione sta dicendo ‘Abbiamo studiato la cosa, possiamo colpire tutti i vari obiettivi ’”. L’arsenale dell’ Aviazione include una bomba a grappolo che sgancia dozzine di piccole bombette con sistemi di guida individuali che le portano contro obiettivi specifici. Le armi furono usate in Kosovo e durante le prime fasi dell’ invasione dell’ Iraq del 2003, e l’Aviazione sta dicendo che le stesse tecniche possono essere usate con bombe più grandi permettendo ad esse di essere guidate da 25000 piedi contro una moltitudine di obiettivi molto dispersi. “Tutti i Comandanti sanno che lo ‘shock and awe’ [“colpisci e terrorizza”, tattica militare usata in Iraq basata su uno spiegamento impressionante e improvviso di forza, vedi wikipedia n.d.t.] è morto e sepolto” ha detto il consulente del Pentagono. “Tutti tranne l’Aviazione”

“Rumsfeld e Cheney sono quelli che spingono per questa storia – non vogliono ripetere l’errore di fare troppo poco,” mi ha detto il consulente del governo con legami al Pentagono. “La lezione che hanno imparato dall’ Iraq è che ci sarebbero dovute essere più truppe sul terreno” – qualcosa di impossibile per l’Iran, a causa dell’ iper-estensione delle forze Americane in Iraq – “così la guerra aerea in Iran sarà una guerra fatta con l’uso di una forza soverchiante “

Molti dei sostenitori dell’ Amministrazione Bush vedono l’improvviso cambiamento nella politica del negoziato come un’ abile mossa che ha conquistato l’applauso pubblico e ha oscurato il fatto che Washington non aveva altre opzioni valide. “Gli Stati Uniti hanno fatto ciò che i partner internazionali avevano chiesto loro di fare,” ha detto Patrick Clawson, che è un esperto di Iran e vice direttore per la ricerca allo Washington Institute for Near East Policy [Istituto di Washington per la Politica Mediorientale n.d.t.], un think tank conservatore. “La palla ora è nel loro campo – sia per gli Iraniani che per gli Europei.” Lo scopo di Bush, ha detto Clawson, era di blandire i suoi alleati, così come Russia e Cina, i cui voti, o astensioni, alle Nazioni Unite sarebbero necessari se si interrompessero i colloqui e gli USA decidessero di cercare sanzioni del Consiglio di Sicurezza o una risoluzione ONU che consentisse l’uso della forza contro l’Iran.

”Se l’Iran si rifiuta di riniziare i negoziati, sarà anche difficile per Russia e Cina respingere un appello ONU per ispezioni dell’ Agenzia Internazionale per l’ Energia Atomica,” ha detto Clawson. “ E più si va avanti senza un accesso accelerato dell’ AIEA, più diventerà importante la questione degli stabilimenti nascosti dell’ Iran.” Lo svantaggio della nuova posizione Americana, ha aggiunto Clawson, era che “gli Iraniani potrebbero prendere il consenso di Bush ad unirsi ai negoziati come un segno che la loro linea dura ha funzionato.”

Clawson ha riconosciuto che l’intelligence sui progressi Iraniani sulle armi nucleari era limitata. “Vi era un tempo in cui avevamo una ragionevole sicurezza in ciò che sapevamo,” ha detto. “Potevamo dire, ‘C’è meno tempo di quanto pensiamo,’o ‘Le cose vanno più lentamente.’ Scegli tu. La mancanza di informazione è un problema, ma sappiamo che hanno fatto rapidi progressi con le loro centrifughe.” (La più recente stima dell’intelligence Americana è che l’Iran potrebbe costruire una testata tra il 2010 e il 2015.)

Flynt Leverett, un ex assistente al National Security Council per l’ Amministrazione Bush, mi ha detto, “L’unica ragione per cui Bush e Cheney hanno ceduto nel parlare all’ Iran era che in poche settimane ci poteva essere un crollo diplomatico alle Nazioni Unite. Russia e Cina stavano per irrigidirsi contro di noi”- cioè, prevenire l’approvazione di una risoluzione ONU. Leverett, un direttore della progettazione alla New America Foundation, ha aggiunto che la proposta della Casa Bianca, nonostante l’offerta di incentivi economici e commerciali all’ Iran, non ha “risolto alcuna delle fondamentali contraddizioni della politica USA.” La condizione preliminare per i negoziati, ha detto – un arresto illimitato a tutte le attività iraniane di arricchimento – “equivale alla richiesta da parte del Presidente di una garanzia che si arrenderanno prima che lui tratti con loro. L’ Iran non può accettare impedimenti a lungo termine sulla sua attività di arricchimento del combustibile nucleare come parte di un accordo senza una garanzia di sicurezza” – per esempio, una qualche forma di patto con gli Stati Uniti di reciproca non aggressione.

Leverett mi ha detto che, senza un cambiamento nella politica USA, l’equilibrio di potere nei negoziati si sposterà verso la Russia. “La Russia vede l’Iran come una testa di ponte contro gli interessi Americani nel Medioriente, e stanno giocando una partita molto sofisticata,” ha detto. “La Russia si sente abbastanza a proprio agio se l’Iran ha cicli per produrre il combustibile nucleare che siano monitorati, e appoggeranno la posizione Iraniana” – in parte perché dà loro la possibilità di vendere a Tehran carburante e materiale nucleare per un valore di miliardi di dollari. “Pensano di poter gestire i loro interessi con l’ Iran a breve e lungo termine, e continuare pure a gestire i loro interessi sulla sicurezza,” ha detto Leverett. La Cina che, come la Russia, ha il potere di veto al Consiglio di Sicurezza, è stata motivata in parte dal suo crescente bisogno di petrolio. “Non vogliono misure punitive, come sanzioni, sui produttori di energia, e non vogliono vedere gli USA prendere una posizione unilaterale su di uno stato che a loro interessa.” Ma, ha detto, “sono contenti di lasciare alla Russia la guida in ciò.” (La Cina, che è il maggior acquirente di petrolio Iraniano, sta negoziando con l’Iran un accordo da molti miliardi di dollari per l’acquisto di gas naturale liquefatto per un periodo di 25 anni.) Come per l’Amministrazione Bush, ha aggiunto, “a meno che non ci sia un cambiamento, è solo questione di quando la sua politica andrà in pezzi”

Non è chiaro se l’Amministrazione sarà in grado di tenere gli Europei in accordo con la politica Americana se i negoziati si interrompono. Morton Abramowitz, un ex capo dell’intelligence al Dipartimento di Stato, che è stato uno dei fondatori del Gruppo per le Crisi Internazionali, ha detto, “Il mondo è diverso rispetto a tre anni fa, e mentre gli Europei vogliono buone relazioni con noi, non andranno in guerra contro l’Iran a meno che non sappiano che è stato fatto da Bush uno sforzo esauriente sui negoziati. Ci sono troppe cose coinvolte, come il prezzo del petrolio. Ci sarà una grande pressione sugli Europei ma non penso che cambieranno idea e appoggeranno una guerra.”

Gli Europei, come i generali al Pentagono, sono preoccupati per la qualità dell’ intelligence. Un ufficiale anziano di una intelligence Europea ha detto che mentre “c’era ogni ragione per supporre” che gli Iraniani stessero lavorando ad una bomba, non c’erano sufficienti prove per escludere la possibilità che stessero bluffando e non fossero affatto andati oltre ad un programma di ricerca civile. L’ufficiale dell’ intelligence non era ottimista sugli attuali negoziati. “E’ un casino, e non vedo alcuna possibilità, al momento, di risolvere il problema,” ha detto. “L’unica cosa da fare è fermarlo. La domanda è, Qual’è la linea rossa?E’ quando gestisci il ciclo del combustibile nucleare? O è solo sulla costruzione di una bomba?” Ogni paese ha un diverso criterio, ha detto. Una preoccupazione che aveva era che, oltre alle sue preoccupazioni per la sicurezza, l’Amministrazione Bush fosse guidata dai suoi interessi nel “democratizzare” la regione. “Gli Stati Uniti sono in missione,” ha detto.

Un diplomatico Europeo mi ha detto che il suo governo sarebbe disposto a discutere le preoccupazioni di sicurezza Iraniane – un dialogo, ha detto, che l’Iran ha offerto a Washington tre anni fa. Il diplomatico ha aggiunto che “nessuno vuole affrontare l’alternativa che si presenta se i negoziati falliscono: o accettare la bomba o bombardarli. Per questo il nostro scopo è mantenere la pressione e vedere quale sarà la risposta dell’ Iran.”

Un secondo diplomatico Europeo, parlando degli Iraniani, ha detto, “La loro tattica sarà di prendere tempo e sembrare ragionevoli – di dire, ‘Si, ma...’ Sappiamo cosa sta succedendo e le scadenze che abbiamo. Gli Iraniani sono stati ripetutamente in violazione delle precauzioni dell’ AIEA e ci hanno dato anni di inganni e occultamenti. La comunità internazionale non vuole che abbiano una bomba, e se li lasciamo continuare ad arricchire è come gettare la spugna, rinunciare prima di parlare.” Il diplomatico ha proseguito, “sarebbe un errore prevedere un fallimento inevitabile della nostra strategia. L’ Iran è un regime che è prima di tutto preoccupato della sua stessa sopravvivenza, e se la sua esistenza è minacciata farebbe tutto ciò che serve - anche cedere.”

I calcoli del regime Iraniano sulla sua sopravvivenza dipendono anche da fattori politici interni. Il programma nucleare è popolare tra gli Iraniani, compresi quelli – i giovani e i laici – che sono i più ostili alla leadership religiosa. Mahmoud Ahmadinejad, il Presidente dell’ Iran, ha efficacemente usato il programma per trascinare la nazione dietro di lui e contro Washington. Ahmadinejad e i religiosi al governo hanno detto che credono che l’obiettivo di Bush non sia di impedire a loro di costruire una bomba ma di allontanarli dal potere.

Diversi funzionari in carica o in pensione con cui ho parlato hanno espresso il dubbio che il Presidente Bush accetterebbe una soluzione negoziata della crisi nucleare. Un ex ufficiale civile di alto livello del Pentagono, che ha ancora a che fare con delicate questioni per il governo, ha detto che Bush rimane fiducioso nelle sue decisioni militari. Il Presidente e altri nell’ Amministrazione invocano spesso Winston Churchill, sia privatamente che in pubblico, come un esempio di un politico che, al suo tempo, è stato punito dalle elezioni ma ricompensato dalla storia per avere rifiutato un accordo. In un discorso Bush ha detto che Churchill “mi sembra come un texano. Non era spaventato dai sondaggi sull’ opinione pubblica…E’ andato avanti e grazie a questo il mondo è migliore.”

Gli Israeliani hanno insistito per anni che l’Iran aveva un programma clandestino per costruire il prima possibile una bomba. Ufficiali Israeliani hanno sottolineato che la loro “linea rossa” è il momento in cui l’Iran gestisce il ciclo del combustibile nucleare acquisendo la capacità tecnica di produrre uranio di tipo bellico. “L’ Iran ha fatto in modo di sorprendere tutti sulla sua capacità di arricchimento,” mi ha detto un diplomatico famigliare con le posizioni di Israele, riferendosi all’ annuncio dell’ Iran di questa primavera che aveva arricchito con successo uranio al livello del 3.6%, necessario per alimentare un reattore. Gli Israeliani credono che l’Iran vada fermato il prima possibile perché, una volta che è in grado di arricchire l’uranio per usarlo come combustibile, il passo successivo - arricchirlo al livello del 90% necessario ad una bomba nucleare – è semplicemente un processo meccanico.

Però, secondo ufficiali militari e dell’intelligence in carica o in pensione l’ intelligence Israeliana non è riuscita a fornire prove specifiche sui siti segreti in Iran. In Maggio, il Primo Ministro Ehud Olmert ha visitato Washington e, rivolgendosi ad una sessione congiunta del Congresso, ha detto che l’Iran “è sul punto di acquisire armi nucleari” che porrebbero “una minaccia all’ esistenza” di Israele. Olmert ha fatto notare che Ahmadinejad ha messo in dubbio la realtà dell’ Olocausto e, ha aggiunto, “Non è una minaccia solo per Israele. E’ una minaccia a tutti coloro che sono impegnati per la stabilità in Medioriente e per il benessere di tutto il mondo.” Ma ad uno scambio segreto di informazioni che ha avuto luogo al Pentagono durante la visita, ha detto il consulente del Pentagono, “ciò che gli Israeliani hanno fornito era molto meno” di ciò che servirebbe per giustificare pubblicamente un’ azione preventiva.


La questione di cosa fare, e quando, sembra lontana dall’essere risolta all’interno del governo Israeliano. Martin Indyk, un ex Ambasciatore USA in Israele, che è ora direttore del Centro Saban per la Politica Mediorientale della Brookings Institution mi ha detto, “Israele vorrebbe vedere la diplomazia avere successo, ma sono preoccupati che nel frattempo l’Iran possa superare una soglia nel know-how nucleare – e sono preoccupati che un attacco militare Americano possa non funzionare. Suppongono che sarebbero i primi ad essere attaccati dall’ Iran per rappresaglia.” Ha agiunto Indyk “Alla fin fine gli Stati Uniti posso vivere con le bombe nucleari Iraniane, Pachistane e Indiane – ma per Israele non c’è una Reciproca Distruzione Assicurata. Se dovessero vivere con la bomba Iraniana ci sarebbe una grande ansia in Israele e una grande tensione tra Israele e l’Iran e tra Israele e gli USA.”

L’ Iran non ha, sin qui, risposto ufficialmente alla proposta del Presidente Bush. Ma il suo responso iniziale è stato negativo. In una intervista del 22 Giugno col Guardian, Ali Larijani, il negoziatore capo per l’Iran, ha rifiutato la richiesta di Washington che l’Iran sospendesse tutto l’arricchimento dell’ uranio prima dell’ inizio dei negoziati. “Se vogliono mettere questo pre-requisito, perché stiamo negoziando?” ha detto Larijani. “Dovremmo mettere da parte le sanzioni e rinunciare a tutti questi discorsi sul cambio di regime.” Ha descritto l’offerta Americana come un “sermone” e ha insistito che l’ Iran non stava costruendo una bomba. “Non vogliamo una bomba,” ha detto. Ahmadinejad ha detto che l’Iran avrebbe fatto una contro proposta ufficiale per il 22 Agosto, ma la scorsa settimana, l’ Ayatollah Ali Khamenei, il leader religioso supremo dell’ Iran, ha dichiarato, ad una radio di stato, “i negoziati con gli Stati Uniti non hanno alcun beneficio per noi.”

Nonostante la dura retorica, l’Iran sarebbe riluttante a respingere una dialogo con gli Stati Uniti, secondo Giandomenico Picco, che, come rappresentante della Nazioni Unite, aiutò a negoziare il cessate il fuoco che pose fine alla Guerra Iran-Iraq nel 1988. “Se sfidi una superpotenza ti senti che sei una superpotenza,” mi ha detto Picco. “E ora iniziano le contrattazione da bazaar Persiano. Stiamo trattando per un tappeto” – il sospetto programma di armamento – “che non sappiamo se esiste e che non vogliamo che esista. E se alla fine non ci sarà mai stato un tappeto sarà stata la trattativa del secolo.”

Se i negoziati si interrompono, e l’ Amministrazione decide per un’ azione militare, i generali seguiranno naturalmente i suoi ordini; i militari Americani rimangono leali al concetto di controllo civile. Ma alcuni ufficiali stanno spingendo per quella che chiamano “la via di mezzo”, che il consulente del Pentagono ha descritto come “un mix di opzioni che richiedono un certo numero di Forze Speciali e una copertura aerea che li protegga per mandarli in Iran a prendere le prove in modo che il mondo sappia cosa l’Iran sta facendo.” Ha aggiunto che, a differenza di Rumsfeld, lui e altri che appoggiano questo approccio non hanno alcuna illusione che possa portare ad un cambio di regime. Lo scopo, ha detto, è di risolvere la crisi nucleare Iraniana.

Mohamed ElBaradei, il direttore generale dell’ AIEA, ha detto questa primavera in un discorso che la sua agenzia crede che ci sia ancora tempo affinchè la diplomazia raggiunga il suo scopo. “Avremmo dovuto imparare qualche lezione dall’ Iraq,” ha detto ElBaradei, che lo scorso hanno ha vinto il Premio Nobel per la Pace. “Dovremmo avere imparato che dobbiamo essere molto attenti nel valutare la nostra intelligence…Dovremmo avere imparato che dobbiamo provare ogni possibile mezzo diplomatico per risolvere il problema prima di pensare a qualunque altra misura”.

E’ andato oltre, “Quando si spinge una nazione all’angolo si dà sempre il posto di guida a quelli che vogliono una linea dura... Se l’ Iran dovesse uscire dal regime di non proliferazione, se l’Iran dovesse sviluppare un programma di armamento nucleare, avremmo chiaramente un problema molto, molto più serio”

centrosardegna
00domenica 3 settembre 2006 22:13
La Turchia puo' diventare il detonatore della terza guerra mondiale





Le recenti esplosioni di Istanbul, Marmaris ed Antalia non vanno interpretate come semplici atti terroristici legati ai separatisti curdi e alla prosecuzione dell'infinita lotta per l'autonomia delle terre orientali turche. Dopo il cessate il fuoco, e' possibile che nell'immediato futuro la delicata situazione attuale nel Medio Oriente passi ad una nuova ed ancor piu' attiva fase di confontazione, soprattutto in seguito all'esame degli errori commessi da ambo le parti.

In caso di allargamento del conflitto, questa regione puo' trasformarsi in detonatore della terza guerra mondiale e recitare nel XXI secolo lo stesso ruolo avuto precedentemente dai Balcani nel secolo precedente.

La tesi riguardante il terrorismo internazionale non ha piu' la magica forza che aveva prima dell'11 settembre e se qualcuno e' intenzionato a spingere l'Occidente nella guerra contro l'Islam, questo qualcuno sara' costretto a convincere gli europei che qualsiasi tipo di recessione dalla linea politica intrapresa dagli Stati Uniti provochera' un quantitativo di vittime difficilmente immaginabile.

Per cui era evidente che l'intransigenza da parte della Comunita' Europea la si poteva superare solo con il ricordo degli atti terroristici in Spagna e Gran Bretagna e con la minaccia che avrebbero potuto ripetersi. Tuttavia va detto che nessun governo avrebbe potuto trattenersi in caso di ripetizione di tali terribili tragedie e cio' sta a signifiacre che, secondo lo scenario, essi avrebbero dovuto essere scongiurati o in fase di preparazione o durante la prima fase della loro attuazione, come e' successo a Londra.

Ma l'approccio nei confronti della regione mediorientale e' completamente diverso, dal momento che attualmente la situazione in quest'area e' molto delicata e affinche' tutti credano nella reale ed effettiva difficolta', bisogna agire in maniera efficace. E in quest'ottica geopolitica, la Turchia ha un ruolo fondamentale. Da una parte la Turchia fa parte della NATO, ma tuttavia non viene fatta entrare nella Comunita' Europea e dall'altra rappresenta la testa di ponte dell'Islam in Europa, un alleato decisamente caparbio che reagisce con molta cautela nei confronti dell'avventura americana in Iraq.

E se Washington dara' il via alla guerra contro l'Iran e la Siria, allora la Turchia dovra' essere saldamente dalla parte della coalizione israelo-americana, diventando in questo caso, alla pari dello stesso Israele e dell'Iran, non solo territorio d'invasione ma anche un'affidabile base di rifornimento nonche' conferma del carattere internazionale della lotta contro "l'asse del male".

Le esplosioni in Turchia non cesseranno finche' il governo locale non riconoscera' il collegamento fra il terrore ed il ruolo che esso giochera' nella futura guerra. L'attacco al settore piu' proficuo dell'economia turca - il settore turistico - pone Ankara in una situazione senza via d'uscita. Gli Stati Uniti hanno tenuto conto dell'errore commesso durante il periodo di occupazione dell'Iran, quando la Turchia si rifiuto' di prestare il proprio territorio alle forze d'invasione.






Alla televisione russa 1TV il monito di LaRouche sulla terza guerra mondiale presentato in prima serata

17 agosto 2006 – Il primo canale televisivo russo, 1TV, ha mandato in onda il 16 agosto, nell’ora di massimo ascolto, un servizio sul Libano nel corso del quale ha intervistato Lyndon LaRouche e l’ex primo ministro Yevgeni Primakov.
La trasmissione Vremya delle ore 21, che approfondisce i temi del giorno, ha citato l’articolo sulla “Sorpresa d’ottobre” di Jeff Steinberg pubblicato dall’EIR, compresa un’attenta inquadratura alla rivista ed al titolo dell’articolo: "Will Bush 'October Surprise' Scam Trigger World War III?" (La truffa di una ‘sorpresa d’ottobre’ innescherà la terza guerra mondiale?).
Dopo aver notato che Israele non intende ritirare tutte le sue truppe dal Libano, il giornalista Grigori Yemelkyanov ha presentato alcuni esperti, sottolineando che “la tregua è fragile e instabile. La situazione potrebbe svilupparsi in qualsiasi direzione: verso il consolidamento della pace o verso un nuovo conflitto”.
Nella fase introduttiva Yemelynov ha posto il quesito: per il momento la guerra è finita ma c’è da chiedersi chi ha vinto e chi ha perso. Ambedue le parti si dichiarano vincitrici. Ma con quale motivo reale?
Yevgeni Primakov, attualmente capo della Camera di Commercio e dell’Industria Russa: “In che misura si vince o si perde, secondo me, dipende dagli obiettivi che si proponevano le parti del conflitto. Israele aveva certi obiettivi, che non ha raggiunto. Ritengo che Israele in tal senso abbia perso”.
Roman Bronfman, esponente del parlamento israeliano Knesset: “In Israele ora la convinzione è che i soldati israeliani abbiano vinto la guerra, ma che i politici l’abbiano persa. Sia i politici che i vertici militari non sono riusciti a dimostrare una capacità di combattere in quest’ultimo mese”.
Hezbollah ha diritto di celebrare la vittoria? Ha continuato il giornalista. L’economia libanese ha sofferto danni irriparabili e il paese sta subendo una catastrofe umanitaria.
Sottolineando a questo punto come la situazione mediorientale sia effettivamente esplosiva, Vremya ha inquadrato la rivista EIR e l’articolo di Steinberg commentando: “La rivista americana Executive Intelligence Review descrive i piani della Casa Bianca di coinvolgere la Siria nel conflitto e, di conseguenza, anche l’Iran, il quale ha concluso un accordo di mutua assistenza con Damasco ... Secondo le informazioni dell’EIR, l’amministrazione americana pianifica di provocare una guerra tra Siria ed Israele ad ottobre. Secondo il piano le forze speciali dovrebbero nascondere in territorio siriano armi di distruzione di massa che sarebbero poi ‘accidentalmente’ scoperte dai soldati israeliani nel corso di un intervento”.
Vremya ha continuato con le immagini di un’intervista al fondatore dell’EIR Lyndon LaRouche, realizzata lo stesso giorno dal corrispondente di Washington di 1TV: “Se gli avvenimenti seguono un tale scenario è improbabile che l’Iran resti fuori dal conflitto. A tal punto sarebbe già impossibile fermare una grande guerra in Medio Oriente. Invece di ricercare un compromesso negoziale, i vertici dell’amministrazione USA stanno facendo il possibile per provocare una guerra in grande stile che nessuno può vincere e che tutti possono perdere. Invece, la situazione è molto diversa. E la loro mentalità è tale per cui non si rendono conto di ciò che stanno facendo. E’ gente che conosco bene e secondo me sono pazzi da legare”.
Un altro settimanale, The New Yorker, ha continuato Vremya, riferisce attraverso il noto giornalista Seymour Hersh, il primo ad aver riferito in merito alle torture di Abu Ghraib, quanto segue: “L’amministrazione Bush era molto direttamente impegnata nel pianifiare la guerra libanese-israeliana. Il presidente Bush ed il vice presidente Cheney erano convinti che il successo della campagna militare israeliana in Libano avrebbe non soltanto raggiunto gli obiettivi desiderati da Tel Aviv, ma sarebbe anche servito come preludio ad un possibile attacco contro le strutture nucleari iraniane”.
Ariel Cohen, esperto della Heritage Foundation USA, ha commentato: “Oggi il mondo si avvicina a scelte capitali, ad un bivio dove sarà deciso se una grande guerra si verificherà nel Medio Oriente. Se la comunità mondiale riesce a cooperare per impedire una tale guerra attraverso i mezzi a disposizione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, saranno tutti a vincere”.
Primakov, che tra l’altro è il massimo esperto russo del mondo arabo, secondo quanto riferito dalle Izvestia, avrebbe anche detto che “il rapimento dei soldati israeliani è stato un pretesto e non la causa dell’invasione israeliana del Libano”. Egli ha anche fatto riferimento a “notizie sui media statunitensi secondo cui Israele aveva preparato questa guerra da tempo”. Primakov ha spiegato che c’era uno scenario che prevedeva di coinvolgere la Siria e l’Iran nel conflitto per poi passare a bombardare questi due paesi. “Questa è la ragione più probabile che spiega perché gli americani sono stati tanto tiepidi nel cercare di arrivare con celerità al cessate il fuoco”. Di questo scenario ha parlato anche il gen. Ivashov. (vedi)
Primakov ha detto di sperare che la diplomazia abbia ora lo spazio sufficiente per ottenere dei risultati.
Parlando degli Stati Uniti, Primakov ha ironizzato sul fattore “trotzkista”, la corrente della “rivoluzione permanente/guerra permanente” che domina il pensiero neocon (vedi: Cheney rilancia la folle “guerra permanente” di Parvus). “Non ritengo che sia negli interessi degli Stati Uniti sostenere lo scontro in Medio Oriente. Ma gli USA non fanno pressioni su Israele a motivo delle prossime elezioni. Spero che a Washington abbiano appreso la lezione di quanto è accaduto e che correggano i piani per esportare la democrazia e le rivoluzioni nel resto del mondo. I trotzkisti hanno già dimostrato che questo non funziona”.
Primakov ha anche sostenuto che ora è essenziale riconoscere gli errori di calcolo di Israele “per indurre Tel Aviv a sedersi ai negoziati di pace”, un’impresa alla quale la diplomazia russa sta lavorando alacremente, ha detto l’ex primo ministro.

Il principale proprietario della televisione 1TV è Gazprom, l’ente di stato per l’energia. Dunque quella di offrire il prime time al messaggio di LaRouche dev’essere ritenuta una decisione presa ai vertici dello stato russo. Essa va ad aggiungersi alla decisione nello stesso senso espressa dai vertici militari nella valutazione sul Medio Oriente del generale Ivashov.


centrosardegna
00domenica 3 settembre 2006 22:19
Il disegno strategico degli Usa in Medio Oriente






Temere il fallimento della Unifil-2 non vuol dire augurarselo. Motivare tale timore con l'analisi delle circostanze e degli antefatti politici, diplomatici e militari che hanno preceduto e accompagnato la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e l'invio di una forza internazionale sui confini del Libano non vuol dire auspicare la ripresa delle ostilità, una improbabile, definitiva vittoria di Hezbollah sul dispositivo militare israeliano, altre migliaia di morti, la devastazione ultimativa di una stato-nazione, la rinuncia a qualsiasi tentativo di avviare a soluzione la questione palestinese, la conflagrazione di una grande guerra mediorientale che oltre all'Iraq e all'Afghanistan coinvolga la Siria, l'Iran, la Nato, l'Europa e l'intero mondo occidentale.

Se così fosse, ha ragione Rossana Rossanda, qualsiasi opposizione, qualsiasi critica all'intervento dell'Onu e alla partecipazione italiana sarebbero inficiate non solo da faziosità, pregiudizi ideologici e «tesi complottistiche» ma da cecità e dissennatezza assolute.

Ecco perché ci sembra opportuno contribuire a un dibattito - a dire il vero pressocché inesistente in Italia dato l'unanimismo imperante - con qualche dato sulle prese di posizione dell'amministrazione statunitense, fattore e motore primario delle crisi e dei conflitti mediorientali, sulle presunte resipiscenze di un presidente alle prese con i clamorosi fallimenti delle sue direttive di politica militare, estera e interna (addirittura influenzato secondo il suo portavoce dalla più che improbabile lettura estiva di Camus) e sull'importanza, determinante per i prevedibili sviluppi internazionali dei prossimi due mesi, della scadenza elettorale di martedì 7 novembre nella repubblica stellata.

Le rivelazioni di Seymour Hersh sulla pianificazione statunitense della guerra in Libano che ha preceduto di molti mesi il «casus belli» della cattura di due soldati israeliani vanno integrate dai documenti e dalle tesi pubblicate nello stesso periodo dai centri dell'ideologia e della strategia «neocon» che dettano legge nell'amministrazione Rumsfeld-Cheney, l'American Enterprise Institute la Foundation for Defense of Democracies, il Center for Security Poicy e il recentemente scomparso Project for a New American Century. Ideologia e strategia perseguite e attuate sul piano pratico a tutti i livelli da personaggi quali Max Boot, Charles Krauthammer, Michael Ledeen e Eliot Abrams. Essenziale, esiziale, l'influenza di quest'ultimo nell'assegnare ad Israele il ruolo di punta di diamante in una grande strategia destinata a disegnare una nuova mappa geopolitica del medioriente colpendo prima Hezbollah e poi la Siria e l'Iran, e portando alle ultime conseguenze le guerre in Iraq e in Afghanistan.

Nella sua veste di primo consigliere per gli affari mediorientali della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato, Eliot Abrams ha accompagnato le missioni del segretario di stato Condoleeza Rice che è riuscita con indubbia abilità diplomatica a bloccare la per 34 giorni la diplomazia internazionale e i suoi tentativi di ottenere il cessate il fuoco nel Libano. Eliot Abrams ha trascorso altre settimane a Tel Aviv prima durante e dopo il conflitto ed ha condizionato, anche se non rientrava nelle sue competenze, lo stanziamento il 20 giugno di 262 milioni di dollari in carburanti speciali per gli F-15 e F-16 israeliani, di un altro mezzo miliardo in bombe a grappolo e «intelligenti» e di una somma più astronomica nel ponte aereo che dagli Stati uniti via le basi aeree nell'East Angla del Regno Unito sta rifornendo di nuovi e più letali armamenti le forze armate di Tel Aviv. Non vi è dubbio che l'inattesa resistenza Hezbollah organizzata sul territorio con una modulazione di tipo svizzero più che mediorientale, abbia imposto una battuta d'arresto ad un'offensiva originariamente programmata sulla durata di dieci, dodici giorni. Non v'è parimenti alcun dubbio che questa battuta d'arresto non abbia alterato il gran disegno strategico dei Cheney, Rumsfeld & Co...

Significativo e preoccupante il ruolo assegnato da Washington alle Nazioni Unite, fino al 14 agosto disconosciuto e negato da quel gran guastatore dell'organizzazione internazionale che è l'ambasciatore Usa Bolton, e poi improvvisamente rivalutato e riportato in primo piano con sollecitazioni martellanti dello stesso presidente Bush. Mancano testimonianze documentali e quindi si entra nel campo di interpretazioni e illazioni alimentate in gran parte dalle difficoltà e dagli ostacoli incontrati da Kofi Annan nella sua missione in M.O. Israele ritirerà le truppe e il blocco navale solo quando la risoluzione 1701 troverà una applicazione completa ed estensiva nella fascia a sud del fiume Litani, e sarà solo Israele a decidere quando tale risultato verrà conseguito anche con operazioni non previste dal mandato Onu come lo smantellamento delle forze Hezbollah e la presenza di una forza internazionale sulle frontiere della Siria. C'è chi pensa non solo nel governo Olmert o in quello statunitense che il compito primario della forza internazionale sia quello di raggiungere i traguardi venuti temporaneamente meno con l'offensiva israeliana e che come è avvenuto in Afghanistan sia auspicabile un passaggio di consegne dall'Onu alla Nato.
Sempre sul piano delle illazioni, si prospetta l'eventualità di un missile a medio raggio di fabbricazione iraniana lanciato dal territorio libanese su un giardino pubblico di Tel Aviv. Non è peraltro materia opinabile che l'amministrazione Rumsfeld-Cheney sia pronta a misure «estreme» entro ottobre per evitare la debacle elettorale del 7 novembre.

Quei pochi che in Italia hanno sollevato le argomentazioni di cui sopra sono stati tacciati di pacifismo suicida e unilateralista, una campagna preventiva indubbiamente efficace ma del tutto sproporzionata soprattutto nei confronti di quei vagiti di un'opposizione parlamentare di sinistra che sembra abbia sostituito il no alla guerra senza se e senza ma con un «nì alla guerra senza me e poi chissà, Tiritiritù? Tiritirità...».
centrosardegna
00sabato 16 settembre 2006 22:09
L’AIEA: ‘IL RAPPORTO DEL CONGRESSO USA SULLE POTENZIALITA’ DELL’IRAN...

... E’ ERRONEO E FUORVIANTE'






L’organismo di controllo dell’Onu per il nucleare (l’AIEA) ha attaccato il Congresso Usa per il rapporto pubblicato da quest’ultimo sul programma nucleare iraniano definito “erroneo, fuorviante e senza riscontri”. In una lettera indirizzata al capo del comitato di intelligence della Camera statunitense (1) , il direttore delle Relazioni esterne dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) Vilmos Cserveny, scrive che il rapporto è “scorretto” quando afferma che l’Iran stia producendo uranio “weapon-grade” in un sito ispezionato dall’agenzia (2) . Al contrario - si legge nella lettera - l’impianto ha prodotto solo piccole quantità di uranio, al di sotto dei livelli necessari per realizzare ordigni (3)

La lettera, una copia della quale è pervenuta al Washington Post, critica il rapporto Usa anche per l’accusa “oltraggiosa e disonesta” che un alto ispettore dell’AIEA sia stato rimosso “per aver concluso che il proposito del programma nucleare iraniano fosse di costruire armi”.

E mentre l’AIEA rileva cinque errori di grande entità nel rapporto Usa, secondo fonti qualificate del Washington Post (alti ufficiali dell’intelligence) sono addirittura una dozzina le affermazioni false o indimostrabili contenute nel rapporto Usa. Il rapporto della Camera Usa, redatto sotto la direzione di Peter Hoekstra, Repubblicano del Michigan, è stato pubblicato il 23 agosto. Non fu sottoposto al voto né discusso dall’intero comitato bipartisan ma valutato soltanto dall’ufficio di John Negroponte, direttore dell’intelligence nazionale, prima di essere ratificato dai soli membri Repubblicani del comitato.

Jane Harman (del Partito Democratico), la vice-capo del comitato, scrisse in un’email indirizzata ai colleghi: “il rapporto è ricco di artificiose scorciatoie analitiche che presentano la minaccia dell’Iran come molto più grave - e le affermazioni dell’intelligence come molto più certe - di quanto non siano in realtà”.

Il rapporto, intitolato “Riconoscere l’Iran come minaccia strategica”, fu redatto da Fredrick Fleitz, agente CIA temporaneamente in servizio presso l’ambasciatore Usa all’Onu, John Bolton. Tanto Fleitz quanto Bolton furono coinvolti nella fabbricazione degli argomenti a favore dell’invasione dell’Iraq del marzo 2003. Fleitz sta ora compilando un rapporto sulla Corea del Nord per il comitato di Peter Hoekstra.

La questione del rapporto sull’Iran rievoca la disputa fra l’AIEA, il suo capo Mohamed ElBaradei e l’amministrazione Bush nella corsa all’invasione dell’Iraq. “E’come un déja vu della situazione che precedette la guerra all’Iraq” dice al Washington Post David Albright, ex ispettore nucleare, presidente dell’Istituto per la Scienza e la Sicurezza Internazionale che ha sede a Washington. “Metti insieme della cattiva informazione acchiappagonzi e un rapporto che scredita gli ispettori ed ecco che hai una minaccia nucleare iraniana che monta su”.

Le relazioni tra la Casa Bianca e l’AIEA sfiorarono la rottura quando l’Agenzia rivelò che l’Amministrazione Usa aveva fondato alcune delle sue accuse al presunto piano iracheno WMD (armi di distruzione di massa, ndT) sulla base di documenti contraffatti. A seguito di ciò la Casa Bianca ordì una campagna - poi non riuscita - per impedire lo scorso anno la rielezione di ElBaradei.

L’AIEA contesta vigorosamente l’affermazione del rapporto Usa secondo cui ElBaradei avrebbe rimosso un ispettore dell’agenzia, Chris Charlier, per aver infranto “il muro della sottaciuta linea politica dell’AIEA che impedisce agli ufficiali della stessa AIEA di dire la piena verità sul programma nucleare iraniano”. Charlier fu sollevato da quell’incarico invece dietro richiesta ufficiale del capo negoziatore nucleare dell’Iran, Ali Larijani - si legge nella lettera - secondo i termini dell’accordo sottoscritto da Tehran che permette l’accesso degli ispettori nel paese. La lettera sottolinea che ciò fa parte della prassi e che l’Iran ha accettato la presenza di più di 200 ispettori AIEA. Charlier peraltro è tuttora capo della sezione sanzioni all’Iran dell’AIEA .


centrosardegna
00giovedì 21 settembre 2006 22:01
L’attacco all’Iran: in preparazione






«Basteranno pochi giorni, con migliaia di missioni di bombardamento. Bombe guidate da satelliti e laser saranno lanciate sui bersagli - 1500 già identificati dal Pentagono - per cercare di penetrare il cemento armato sotto cui alcuni siti nucleari sono nascosti»: così esulta e prevede l'agenzia ebraica Ynet.
L'attacco all'Iran sembra essere stato deciso, e vinte le resistenze degli alti gradi militari, riluttanti a impegnare le forze USA in una terza guerra.
Lo sostiene anche Time Magazine del 15 settembre, che cita fonti del Pentagono: l'impresa impegnerà «quasi tutti i velivoli a disposizione delle forze armate, stealths, F-15, F-16, e gli F-18 che decolleranno da una portaerei».
Navi e sottomarini lanceranno missili da crociera.
Ma essendo la testata di queste armi «piccola e non sufficiente per penetrare il cemento» dei bunker, saranno usate «per altri bersagli».
L'ondata di bombardamenti durerà, anche secondo Time, «pochi giorni con migliaia di missioni», e servirà a «ritardare il programma nucleare iraniano di due o tre anni».



A quando l'attacco?
Dice il Time: una squadra composta da un sommergibile, un incrociatore callse Aegis, due dragamine e due cacciamine hanno ricevuto l'ordine di essere «pronti al dispiegamento» per il primo ottobre.
E il «chief of naval operations» ha chiesto un'analisi di come operare il blocco di due porti petroliferi iraniani.
A quanto pare la risposta degli analisti «non è piaciuta, ed è stato loro ordinato di lavorare di nuovo sul progetto».
La presenza di dragamine e cacciamine dà corpo ai peggiori sospetti: in pochi posti simili vascelli sono richiesti, e principalmente per il blocco dello stretto di Hormuz, il poco profondo canale largo 20 miglia da cui passa il 40 % del fabbisogno petrolifero del mondo.
In Israele, la soddisfazione è al sommo: anche stavolta l'America farà il lavoro richiesto.
La ministra Livni continua a battere la grancassa («Il mondo ha davanti pochi mesi per scongiurare un Iran nucleare»), il che può significare che l'attacco partirà a novembre, dopo le elezioni di mid-term in USA.
Del resto, Israele deve recuperare la sua credibilità militare dopo lo scacco infertole da Hezbollah.
«Israele attaccherà [la Siria], per superare la crisi interna che la travaglia e riabilitare, anche di poco, il suo potere di deterrenza»: così avrebbe confidato al dittatore siriano Assad un membro arabo della Knesset (il parlamento israeliano) durante una visita in Siria, secondo il giornale libanese As-Safir.
A lanciare questo avvertimento sarebbe stato Azmi Bishara, un deputato palestinese (e cittadino israeliano) che ha visitato Siria e Libano con i suoi colleghi Jamal Zahalka and Wasil Taha.
I tre sono ora sotto inchiesta per aver visitato uno Stato nemico.



Si può scatenare una guerra al solo scopo di tornare a far paura come prima?
Eppure questo è il clima nello Stato ebraico.
Tanto più che i generali dell'aviazione israeliana, ha rivelato Haaretz, paventano le conclusioni che il ministero della Difesa sembra aver tratto dallo scontro con Hezbollah: che bisogna investire di più nelle forze di terra, piuttosto che negli aerei.
I generali dell'aria temono tagli, dopo il loro insuccesso (il capo di Stato Maggiore dimissionario e stratega del fallimento, Dan Halutz, era uno dell'aeronautica).
E stanno premendo con i seguenti argomenti: «La principale minaccia che ora ha di fronte Israele è la Siria, che può essere ora incoraggiata ad attaccare per riprendersi il Golan; l'Iran, se riesce a darsi l'arma nucleare; e l'Egitto, se ad Hosni Mubarak succederà un regime ostile ad Israele. Inoltre, Israele può dover affrontare due o tutti questi fronti contemporaneamente, e dunque con la necessità di spostare rapidamente le truppe dall'uno all'altro, cosa che solo l'arma aerea può fare».
La piccola e debole Israele, sempre in pericolo nella sua stessa esistenza, ha bisogno di «100 aerei nuovi l'anno per mantenere la sua superiorità aerea sugli stati musulmani», dicono le fonti sentite da Haaretz.
Altro che tagli: «La Israeli Air Force vorrebbe acquistare tre o quattro squadroni di F-35, il successore dell'F-16, e un numero minore di F-22, successore dell'F-15, ad un costo che può toccare i 200 milioni di dollari per apparecchio».
Poiché è questo il sobrio modo di pensare strategico sionista, non è da stupire che in USA, ad essere certo che un attacco all'Iran sia imminente - e a cercare di scongiurarlo - sia sceso in campo Daniel Ellsberg.


Ellsberg è l'ex funzionario che nel 1969 rese pubblici i «Pentagon Papers», i documenti segreti del Pentagono in cui si progettava l'uso di armi atomiche contro il Vietnam, una rivelazione che portò di lì a qualche tempo all'espulsione di Nixon dalla presidenza.
Oggi, il vecchio Ellsberg, durante un raduno a San Francisco, ha chiamato a raccolta per espellere il «regime di Bush», sostenendo che è «pericoloso come era quello di Hitler», insomma il Quarto Reich.
Ecco i passi essenziali del discorso di Ellsberg: «Siamo di fronte all'alta probabilità […] di un nuovo attacco contro l'Iran […] sono stati fatti piani per l'uso di armi atomiche. […] Lanciamo l'allarme su una crisi imminente, e questa crisi su cui richiamo la vostra attenzione è un'aggressione di tipo hitleriano, come quelle che noi abbiamo già visto commettere dall'attuale amministrazione. L'aggressione all'Iraq non è distinguibile, sul piano del diritto, dall'attacco di Hitler alla Polonia, alla Francia e alla Russia: un crimine contro la pace, per il quale ci sono state le impiccagioni a Norimberga. […] Ogni bomba atomica è una Auschwitz portatile. E la gente dirà: 'Ah, si possono usare facilmente'. Questo Paese, ci dicono, non è la Germania del 1939. Lasciatemi precisare: questa è la Germania del 1933. Nel gennaio del 1933, la Germania non era uno Stato fascista. Hitler era diventato cancelliere con una maggioranza relativa del 36 %, aveva solo due ministri [nazionalsocialisti] nel governo. Nel luglio del 1933, era uno Stato a partito unico. Gli altri partiti furono vietati. I socialdemocratici avrebbero potuto dichiarare uno sciopero generale prima dell'incendio del Reichstag; dopo, fu troppo tardi. Troppo tardi per una resistenza popolare».
Ellsberg ha chiamato esplicitamente a una resistenza popolare contro «il regime Bush».



Nel 1969, dopo i «Pentagon Papers», questa resistenza ci fu in America: «Cinquemila giovani andarono in prigione per rifiuto di andare sotto le armi», «l'FBI ricercò me e mia moglie, io rischiavo 113 anni di galera; ci nascosero per 13 giorni dei giovani che non conoscevamo… giovani che distribuivano i 'Pentagon Papers' casa per casa; e 19 giornali pubblicarono i paper, nonostante le ingiunzioni: non solo il New York Times fu diffidato e pubblicò. Anche il Boston Globe…non c'era mai stata una diffida contro un giornale prima. I giornali erano più giornali di oggi.
La situazione attuale, io credo, ci chiede questo spirito che ci fu nel 1969. Oggi non è un momento normale. C'è bisogno di gente disposta a rischiare la carriera, il lavoro, i rapporti con la famiglia, con il proprio capo, con la propria chiesa… questa guerra non avrà mai fine senza gente che agisca nello spirito del 1969».
Chi fosse tentato di credere che Ellsberg esageri, deve rileggersi l'articolo che Newt Gingrich, il capo repubblicano, ha scritto per il Wall Street Journal del 7 settembre.
«Siamo già nella terza guerra mondiale!», esulta Gingrich nel pezzo, dal titolo «Bush and Lincoln».
L'articolo comincia infatti con una citazione di Lincoln nel 1862, quando decise di scatenare la guerra contro il Sud: «I dogmi del tranquillo passato sono inadeguati al tempestoso presente: dobbiamo pensare in modo nuovo, ed agire in modo nuovo».
Ebbene, dice il politico: «Il presidente Bush si trova precisamente davanti al bivio in cui Lincoln si trovò 144 anni fa: [deve] far approvare una legge che riconosca che siamo entrati nelle terza guerra mondiale. Se noi non pensiamo in modo nuovo come Lincoln, non possiamo guidare la nazione sulla via della vittoria.



La vittoria, secondo Gingrich, non consisterà solo nel «disarmare Hezbollah», ma fare la guerra a Siria, Iran e Corea del Nord «per detronizzare le dittature di quei Paesi».
Ciò comporterà «un aumento drammatico del bilancio», e richiederà che la sicurezza interna e la difesa «passino da un approccio burocratico ad uno aggressivamente imprenditoriale».
Il parallelo con Lincoln fa venire qualche brivido se si ricorda che, dichiarata la guerra contro il Sud, Lincoln ne approfittò per chiudere (nel Nord) oltre 300 giornali di opposizione, incarcerare migliaia di cittadini del Nord contrari alla guerra in veri e propri campi di concentramento; con due diverse «leggi di confisca» sequestrò i beni degli oppositori, ed espulse il senatore Clement Wallandigham, democratico.
I suoi eserciti finirono per ammazzare 300 mila americani confederati, un quarto della popolazione maschile adulta del sud.

centrosardegna
00giovedì 28 settembre 2006 11:24
La Casa Bianca procede con i piani per bombardare l'Iran






Esperti militari di Washington hanno riconosciuto la validità dell'analisi di Lyndon LaRouche secondo cui Bush e Cheney si ripromettono un attacco contro l'Iran a tempi ravvicinati, “senza preavviso”, come ha detto lo statista democratico, senza consultare il Congresso, le Nazioni Uniti e gli “alleati” degli USA. Lo scenario più probabile, ha spiegato LaRouche, è un ordine di Bush di attaccare l'Iran dalla base aerea di Offutt nel Nebraska.

L'allarme è stato lanciato da diversi ambienti contrari alla politica imperiale:

- Il colonnello in congedo dell'Air Force Sam Gardiner ha scritto un articolo per «The Century Foundation» in cui spiega che elementi dell'amministrazione Bush non tengono conto delle preoccupazioni espresse dagli ufficiali in servizio ma sono sempre più propensi a ordinare gli attacchi aerei, miranti non solo ai siti del programma nucleare iraniano, ma a colpire lo stesso governo per “decapitare” il regime. L'analisi di 25 pagine di Gardiner è intitolata “La fine della 'estate della diplomazia'.”

- Un lungo articolo pubblicato il 21 settembre da The Nation, intitolato “Segnali di guerra”, riferisce: “The Nation è venuto a sapere che l'amministrazione Bush e il Pentagono hanno emesso ordini per la costituzione di 'gruppo d'assalto' di navi ... che si diriga verso il Golfo Persico, sulle coste occidentali dell'Iran”. Al gruppo apparterrebbero la portaerei Eisenhower e una scorta di sottomarini. The Nation cita Gardiner e diversi altri ufficiali militari e dell'intelligence, tra cui il noto ex analista della CIA Ray McGovern, che hanno confermato l'estrema gravità della situazione.

- Sull'American Conservative, l'ex funzionario CIA Phil Giraldi ha riferito i moniti provenienti da diversi militari in servizio e da parte di politici preoccupati per la fretta con la quale la Casa Bianca sta procedendo verso il bombardamento dell'Iran.

- Il colonnello dell'Air Force Karen Kwiatkowski spiega in un articolo su LewRockwell.com che l'invasione dell'Iran “non è soltanto già pianificata, ma è già in corso”. “Prove, piani e documenti mostrano che l'invasione dell'Iran, usando l'Iraq, il Golfo Persico, il Pakistan, la Turchia , il Kurdistan, soldati e marines iracheni e americani … è già in corso, illegalmente”.

- Lo scrittore iraniano Abbas Bakhtiar, professore universitario in Norvegia, ha pubblicato due analisi sul pericolo di un attacco USA in Iran. La prima è un articolo apparso il 28 agosto su “Scoop Independent News”, la seconda è un'analisi di 80 pagine intitolata “U.S. vs Iran: Hybrid War”.

Secondo Bakhtiar, l'Iran risponderà all'aggressione con l'impiego di forze regolari e irregolari (da qui il termine guerra ibrida). Dopo aver ampiamente descritto le forze di cui dispone l'Iran, (350 mila regolari, 100 mila della guardia repubblicana, 100 mila volontari. Inoltre: 350 mila riservisti dell'esercito e 300 mila riservisti dei volontari. 45-60 mila poliziotti. Ma secondo alcune stime i volontari potrebbero salire, con le riserve, fino ad alcuni milioni).
Bakhtiar cita rapporti della sicurezza saudita secondo cui l'Iran disporrebbe di elementi piazzati ad alto livello nei ministeri ed in altre istituzioni irachene. Di conseguenza l'Iran potrebbe scatenare la guerra asimmetrica in Iraq, colpendo in profondità le forze anglo-americane ivi stanziate e le loro linee di rifornimento.

Bakhtiar spiega inoltre che le forze iraniane hanno la capacità di bloccare lo stretto di Hormutz, in maniera tale da costringere gli USA ad occupare la regione meridionale dell'Iran e le trenta isole, con un impiego incredibile di forze navali per liquidare le numerose piccole imbarcazioni della guardia repubblicana. Sullo stretto di Hormuz grava inoltre un'ipoteca cinese: nel caso di blocco americano dello stretto, la Cina si troverebbe tagliata fuori dai rifornimenti vitali. Inoltre, lo stesso Iran potrebbe decidere di prendere di mira con i suoi missili tutti i pozzi della regione, compresi quelli del Qatar, del Bahrein e del Kuwait, dove sono presenti basi USA.
Bakhtiar illustra approfonditamente la strategia della guerra ibrida alla quale l'Iran si starebbe preparando dal 1980, anche studiando le esperienze USA in Afghanistan e Iraq. “Le recenti manovre militari iraniane mostrano come, se attaccato, il paese potrebbe schierare uno dei più imponenti eserciti irregolari che si sia mai visto…”

L'Iran probabilmente risponderà alle incursioni aeree USA con spedizioni della Guardia Rivoluzionaria a combattere le truppe americane sia in Iraq che in Afghanistan. A quel punto agli USA non resterebbe che l'opzione di invadere l'Iran, ma il grosso delle sue truppe sarebbe già inchiodato a combattere contro le truppe irregolari nei due paesi confinanti. Allora resterebbe solo l'opzione nucleare. L'Iran, di contro ha anche l'opzione delle armi chimiche e biologiche, scrive Bakhtiar. Inoltre, se l'Iran attacca Israele, quest'ultimo si rivolgerebbe contro la Siria , che comunque ha un patto di difesa con l'Iran e a quel punto non potrebbe restare fuori dal conflitto.

Lo studio è una utile esposizione, molto dettagliata, su come si sviluppa la guerra irregolare che LaRouche ha denunciato come il pericolo maggiore derivante da un attacco dei neocon contro l'Iran.
Non sorprende come un'accelerazione di questa politica folle sia avvenuta proprio nel momento in cui il presidente iraniano Mohamoud Ahmadinejad ha fatto diverse offerte a favore della pace nel corso della visita negli USA ed alle Nazioni Unite

Le audizioni dei democratici al Senato
Intanto sono iniziate il 25 settembre le audizioni del Senate Democratic Policy Committee sulla condotta della guerra in Iraq. La seduta è stata presieduta dal capogruppo Harry Reid e dai sen. Durbin, Dorgan e Shumer. La controparte repubblicana, vivamente invitata a partecipare, ha preferito disertare la seduta.
La lista di tutto quello che è andato per storto nella guerra in Iraq è stata presentata da Reid e sono stati poi ascoltati tre alti ufficiali in congedo. Tutti e tre hanno auspicato un avvicendamento ai vertici del Pentagono ma al tempo stesso hanno anche deprecato la latitanza del Congresso e degli stessi democratici nel contrastare la guerra.

Il colonnello dei Marines Thomas X. Hammes, autore di un libro molto apprezzato sulla guerra irregolare, ha ricordato ai senatori che la banda composta da Bush, Cheney e Rumsfeld non ha “preso il potere”, piuttosto, “il potere è stato loro ceduto” da parte dei parlamentari democratici quando nel 2002 decisero di non indire il dibattito sull'Iraq prima del voto. Dopo quelle elezioni fu troppo tardi, anche perché il dispiegamento militare era entrato in una fase avanzata.
Il general maggiore dell'esercito Paul Eaton ha dovuto rispondere al sen. Schumer sulla riluttanza degli ufficiali in servizio di parlare senza riserve sulla situazione reale in Iraq. Gli ha ricordato che il Congresso ha l'autorità di convocare a deporre, e di obbligare gli ufficiali a dire tutta la verità, a prescindere da chi è al governo. Se il Congresso lo facesse, gli ufficiali sarebbero finalmente liberi di ignorare le pressioni di Rumsfeld, ha detto Eaton.

Il general maggiore John Batiste, uno degli ufficiali in congedo più critico nei confronti di Rumsfeld, ha spiegato che occorre smetterla di “ipotecare il nostro futuro al tasso di 1,5 miliardi a settimana e di sostenere il nostro grande esercito e i Marines con finanziamenti straordinari”.

centrosardegna
00giovedì 28 settembre 2006 22:22
Iran. Silenziosamente verso la guerra






Due storie, tra le tante che si rincorrono sui giornali americani riguardo a quella che viene percepita come un'imminente guerra all'Iran. The Nation, famoso quotidiano della sinistra americana, riporta che il Pentagono ha deciso la partenza di un grosso contingente di navi: fregate, caccia, navi appoggio per sottomarini, navi da rifornimento e persino la portaerei nucleare Eisenhower armata con missili Tomahawk... tutte dirette verso il Golfo Persico, vicino alle coste dell'Iran.

Raw Story invece riporta la soffiata di un alto ufficiale del Pentagono, secondo cui il Dipartimento della Difesa è entrato nella "seconda fase" dei preparativi per un attacco a Teheran. I piani prevedono l'opzione nucleare e un sistema di protezione del trasporto di petrolio, in particolare dal Bahrein. Il Time riferisce dell'impiego di cacciamine e navi in grado di minare i porti iraniani, che sarebbero già in viaggio e il cui arrivo è previsto per l'inizio di Novembre.

Nel frattempo, il candidato al Congresso per lo Stato del Vermont Dennis Morrisseau ha ufficialmente chiesto l'arresto di Bush e Cheney per prevenire un attacco non autorizzato contro la nazione iraniana. "Le forze americane sono già attive dentro l'Iran" ha dichiarato Morrisseau "e le forze navali si stanno schierando ai confini di quel Paese. Il Presidente non ha alcuna autorità per attaccare l'Iran, in assenza di una formale Dichiarazione di Guerra da parte del Congresso."







[Modificato da centrosardegna 05/10/2006 22.00]

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00giovedì 5 ottobre 2006 22:02
Le trame di Cheney per un attacco atomico contro l'Iran







Gli esperti militari consultati dall'EIR negli USA non escludono la possibilità che dalla Casa Bianca parta l'ordine per un improvviso attacco atomico contro i siti nucleari iraniani prima del voto del 7 novembre per il parziale rinnovo del Congresso degli Stati Uniti. Il periodo che va dal 4 al 18 ottobre è ritenuto il più congeniale per un “attacco preventivo” in chiave pre-elettorale.
I piani operativi per questo attacco sono stati nuovamente aggiornati e potrebbero essere attivati in qualsiasi momento. Sono pronti sia i bombardieri e i missili strategici a lungo raggio, sia le portaerei che incrociano nell'Oceano Indiano e nella regione del Golfo Persico. “I militari hanno messo a punto i piani nonostante la loro forte riluttanza. Ci si può aspettare un'ondata di dimissioni degli alti ufficiali se parte l'ordine di colpire”, ha spiegato un insider.

La cosa più grave è che visto il fallimento dei bombardamenti protratti che Israele ha condotto in Libano, non si può certo escludere che gli USA ricorrano alle armi nucleari tattiche per colpire i siti iraniani sotterranei, sostengono fonti diverse.
Durante la settimana in cui gli israeliani hanno bombardato il Libano, i combattenti di Hezbollah hanno atteso nei bunker sotterranei schermati e dotati di aria condizionata per poi uscire allo scoperto e attaccare gli obiettivi israeliani con il lancio di circa 4000 missili. L'impatto psicologico della pioggia di missili è stato tale da indurre il governo di Ehud Olmert a decidere di inviare truppe di terra nell'insidiosa regione meriodionale del Libano, in quello che è stato un nuovo fiasco disastroso per Israele.

Mentre gli esperti militari fanno notare che la vittoria di Hezbollah rappresenta una svolta nella situazione politico-militare nell'intera regione del Sudovest Asiatico e del Golfo Persico, questo non ha fatto che acuire lo stato mentale da “fuga in avanti” dei fanatici alla Casa Bianca di Bush e Cheney, così che c'è da temere che a tempi brevi essi commettano qualche pazzia militare contro la Repubblica Islamica di Iran.
Quelli che la Casa Bianca definisce “siti delle armi nucleari” iraniani sono strutture sotterranee con una schermatura imponente, capaci di resistere a qualsiasi bombardamento convenzionale, spiegano gli esperti.
Quindi l'opzione dei “bunker buster” nucleari non può essere esclusa, nonostante l'intensa “rivolta dei generali” della scorsa primavera che costrinse la Casa Bianca a rimuovere dai piani di contingenza l'impiego di testate nucleari tattiche.

Moniti pubblici

I grandi mezzi d'informazione continuano a proteggere con la cortina del silenzio i piani della Casa Bianca per un attacco a sorpresa contro l'Iran. Intanto però l'allarme è stato diffuso da centri studi e da alcuni siti internet:

* Il 26 settembre il gen. William Odom, che comandò la National Security Agency (NSA), ha parlato ad un incontro sul tema dell'Iraq indetto dalla parlamentare democratica Lynn Woolsey. Odom ha spiegato che si corre il pericolo che l'amministrazione Bush vada in guerra contro l'Iran e che pertanto il Congresso dovrebbe prendere le misure necessarie ad impedirlo. Ha spiegato come la guerra in Iraq rappresenti la sconfitta peggiore che l'America abbia subito in tutta la sua storia, ma una guerra contro l'Iran farà impallidire persino questo disastro iracheno. Odom ha affermato che gli USA dovrebbero trattare direttamente con l'Iran, che il regime iraniano “odia Al Qaeda” e gli USA dovrebbero piuttosto cooperare con l'Iran contro il terrorismo. Un parlamentare gli ha chiesto che cosa ritiene che si possa fare contro i piani dell'amministrazione, al che Odom ha prontamente replicato: il Congresso non ha la facoltà di impeachment?

* Il 23 settembre l'ex senatore e candidato presidenziale democratico Gary Hart ha scritto un articolo per l'Huffington Post intitolato: “La sorpresa d'ottobre”. Un attacco contro l'Iran non dovrebbe sorprendere, ha scritto Hart, giacché “abbiamo un'amministrazione che, se non altro, è impegnata a ridefinire il nostro carattere nazionale in qualcosa che non abbiamo mai visto”. I passi previsti sono i seguenti, ha spiegato Hart: “I tankers dell'Air Force saranno posizionati per il rifornimento dei bombardieri B-2, unità navali armate di missili cruise saranno posizionate in punti strategici dell'Oceano Indiano e forse nel Golfo Persico, i droni [velivoli robotizzati, senza persone a bordo] raccoglieranno i dati sul conto dei bersagli e alcuni commando permetteranno di perfezionare la raccolta dati. Gli ultimi due piani sono già in azione”. La lista degli obiettivi ufficiali è di “due dozzine”, ma questo sarebbe soltanto l'inizio perché “gli autori della guerra in Iran hanno in mente un 'cambiamento di regime'.” A decidere i tempi, sostiene Hart, c'è il fatto che “gli USA sono pronti ad adottare un proprio cambiamento di regime al Congresso a novembre”.

* L'edizione dell'11 settembre di Aviation Week ha pubblicato un lungo articolo intitolato “USA e Israele considerano come rallentare lo sviluppo di armi nucleari iraniane: distruggere la bomba”, firmato da David A. Fulghum e Douglas Barrie.
Con l'aiuto della Corea, spiegano gli autori, l'Iran ha collocato i suoi principali laboratori nucleari a 200 metri di profondità, sotto strati alternati di cemento e di terra, irraggiungibili quindi alle armi convenzionali, come confermano uno specialista missilistico e un generale dell'aviazione israeliani, citati nell'articolo, che preferiscono l'anonimato. Per Lee Willett del British Royal United Services Institute (RUSI) non vi sono dubbi in merito al programma nucleare iraniano: “Evidentemente è orientato alle armi. Altrimenti perché sotterrarlo così profondamente?”.
Partendo da tale presupposto l'articolo fa presto a concludere che gli USA e Israele non tarderanno molto a fare ricorso all'aggressione nucleare. Il generale dell'aviazione israeliana avrebbe detto: “Una volta che ce l'hanno [l'arma nucleare] non c'è tanto da temporeggiare. Quello che può essere fatto adesso non potrà essere fatto tra alcuni anni”. Non occorre colpire ogni sito che abbia a che fare con il nucleare; basterebbero alcuni elementi essenziali, dai 4 ai 40 siti, oppure un minimo di 15 ed un massimo di 70.

* Il colonnello dell'aviazione USA Karen Kwiatkowski, che ha lavorato nell'ufficio del Segretario della Difesa, ha pubblicato un articlo su LewRockwell.com il 25 settembre, in cui afferma che un attacco contro l'Iran “non è soltanto pianificato, ma in effetti è già in corso ... I falchiconigli ci riprovano e forse riusciranno ... questa volta con l'Operazione Colpire l'Iran”. Kwiatkowski riferisce un incontro avuto nel 2003 con un ufficiale della US Navy, al Pentagono, che le riferì come dalla primavera del 2002 il suo incarico riguardava “Logistica per il Golfo. Carichi di intere navi da portare nel teatro per sostenere l'invasione dell'Iraq”. “Questo è ovviamente il vantaggio principale delle guerre da boutique, scelte a piacimento, dal forte contro il debole. Le operazioni d'ingaggio debbono attendere non i materiali, che sono trasferiti per ordine esecutivo, ma il raggiro di un pubblico democratico, distratto, male informato e irragionevole”.

* Paul Craig Roberts, assistente del Segretario del Tesoro sotto Reagan, ha pubblicato un articolo su AntiWar.com, il 26 settembre, intitolato “Perché Bush bombarderà nuclearmente l'Iran”. Roberts afferma con sicurezza che “l'amministrazione Bush attaccherà l'Iran con armi nucleari tattiche”, perché l'amministrazione Bush ha perso le sue guerre in Iraq e Afghanistan e la “coalizione dei volenterosi” si è squagliata. “Bush è incapace di riconoscere i propri errori. Può solo rincarare la dose”. Roberts spiega che, secondo l'attuale dottrina di guerra, le armi nucleari tattiche provocano danni collaterali minimi mentre alterano il clima psicologico e possono terrorizzare il nemico tanto da indurlo a sottostare alle imposizioni.

* In occasione del voto dell'“Iran Freedom Support Act”, buffo nome con cui si intende la politica di sanzioni e di sostegno a gruppi eversivi in Iran, che la Camera dei Rappresentanti ha approvato per direttissima il 28 settembre, i democratici Dennis Kucinich e Jim Leach hanno espressamente denunciato il pericolo di guerra. Il primo ha fatto mettere agli atti l'articolo del colonnello dell'Air Force Sam Gardiner (vedi qui: znews178.htm) aggiungendo di suo: “Questa amministrazione sta cercando di creare una crisi internazionale gonfiando lo sviluppo nucleare iraniano come fece con la truffa sulle armi di distruzione di massa irachene”. A sostegno della sua tesi, Kucinich ha citato la testimonianza di Hans Blix al Congresso, secondo cui l'Iran non costituisce una minaccia.
Leach, più abbottonato, ha spiegato che acuendo i problemi con l'Iran non si fa che complicare i problemi per le truppe USA in Iraq. Ha quindi proposto “più diplomazia e meno strategia”. Ha notato come certi neocons propongono attacchi preventivi contro l'Iran, come se dopo fosse tutto risolto. “Il problema è che l'altra parte finirà per rispondere. E può rispondere per 100 anni”.

* Qualche mese fa la rivista The National Interest del Nixon Center, ha pubblicato un'ampia analisi del col. W. Patrick Lang e di Larry C. Johnson, due esperti di questioni mediorientali che contano decenni di esperienza militare in particolare nel settore dell'intelligence. Nel loro articolo, intitolato “Contemplando i se”, smontano la tesi secondo cui gli USA ed Israele dispongono delle effettive opzioni militari che occorrono per affrontare l'Iran. In maniera molto distaccata, i due riferiscono come “amici nella comunità d'intelligence ci dicono che i funzionari civili al dipartimento della Difesa da quasi due anni pigiano sull'acceleratore affinché si faccia 'qualcosa di violento' in Iran. Ma prima di imbarcarci in un'altra operazione militare occorre calcolare i costi, sincerarci di essere disposti a pagarli, e dobbiamo essere sicuri che gli entuasisti neoconservatori non siano tentati a dire - se un'avventura in Iran si trasforma in una sventura - che era impossibile prevedere le conseguenze negative. Tante sono le cose che potranno farci male se lanciamo una guerra preventiva in Iran. Prima di agire occorre considerare attentamente quali opzioni militari effettivamente sono disponibili”.
I due bocciano in blocco la fattibilità di un'invasione convenzionale del territorio, mettono in discussione l'efficacia di incursioni dei commando e dell'aviazione, sfatano ogni “miraggio” di un possibile attacco israeliano contro i siti nucleari iraniani, e poi passano ad esporre le capacità di contrattacco asimmetrico di cui gli iraniani dispongono. Gli autori concludono: “Alla fine potrebbe diventare necessario affrontare i militari iraniani sul loro status di potenza nucleare emergente, ma i costi sarebbero talmente alti che prima di arrivare ad adottare misure del genere occorrerà esaurire ogni mezzo diplomatico”.

* In una risoluzione presentata alla Camera dei Rappresentanti il 29 settembre, l'on. Dennis Kucinich chiede alla Casa Bianca di consegnare entro 14 giorni i documenti politici riguardanti l'Iran, compreso l'intelligence disponibile sul programma per l'energia nucleare iraniano e sulla “capacità dell'Iran di minacciare gli Stati Uniti con le armi nucleari”. Richiede inoltre ogni documentazione concernente le decisioni “di rimuovere il regime al potere in Iran”, i piani specifici per “operazioni segrete condotte da qualsasi elemento delle forze armate USA in Iran”, sulla costituzione di “un nuovo ufficio nel Dipartimento della Difesa simile per attività, funzione o incarico all'ex Office of Special Plans” (che funse da intelligence parallelo per la guerra in Iraq), su ogni ordine alle unità della marina prossime all'Iran di prepararsi all'azione, e su ogni National Intelligence Estimates, o altri documenti d'intelligence sulle conseguenze di un attacco USA all'Iran, comprendente anche le conseguenze economiche.
Lo stesso giorno l'on. Wayne T. Glichrest e 19 altri parlamentari, repubblicani e democratici, hanno scritto a Bush chiedendogli di aprire una trattativa diretta con l'Iran “il prima possibile”, notando come “più di 25 anni di politica tendente ad isolare l'Iran ci ha allontanato, invece di avvicinarci, a questi obiettivi”.

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00giovedì 12 ottobre 2006 16:20
LA RUSSIA FERMERA’ LA GUERRA?





Israele e gli USA, i terribili gemelli siamesi congiunti dalle loro comunità ebraiche, sono sul sentiero di guerra. Il solito bene informato Uzi Mahanaimi ha scritto sul Sunday Times che i piani sono stati stilati, e i preparativi sono completi per riprendere la guerra a Siria e Iran, temporaneamente interrotta dai combattimenti degli Hezbollah tra le montagne del sud del Libano. Il presidente Bush spera di migliorare la sua popolarità offuscata dalla guerra, secondo Alex Cockburn. Una condanna dell’Iran da parte del consiglio di sicurezza è ciò che gli serve per sferrare l’attacco. Fino ad ora tali risoluzioni erano prodotte dopo un breve periodo di negoziazioni. Ora c’è una possibilità che la Russia usi il suo veto, e allora i piani degli USA saranno accantonati e l’assalto all’Iran annullato.

Prima del 1990, un tale veto sarebbe stato certo. Ai tempi della tanto malignata Unione Sovietica, i russi promuovevano molte cause di cui ancora godiamo i frutti: insieme ai loro alleati Cubani fermarono i carri armati dell’apartheid in Angola e arrivarono quasi alla liberazione di Mandela e alla creazione di un Sud Africa più egualitario. I Russi sostenevano i sindacati Europei e i partiti Comunisti, prevenendo l’assalto furibondo di privatizzazione, outsourcing e globalizzazione. Se stavate meglio prima del 1990, e probabilmente è così, era dovuto all’influenza russa. I Russi rifornivano i nemici dell’Impero con le loro armi valide e a buon mercato, e bloccavano i tentativi dell’Impero di legittimare le loro aggressioni con delle risoluzioni ONU. I loro aerei e i loro missili terra-aria aiutarono i Vietnamiti e i Coreani a vincere la guerra. La loro influenza e abilità erano limitate: i Russi non avrebbero mai potuto competere su un piano di parità con l’immenso potere dell’Occidente imbrigliato da Washington. Ma potevano mettere i bastoni tra le ruote della macchina bellica Americana, e così hanno fatto. L’Impero li odiava e desiderava la loro morte,e molti intellettuali occidentali sostenevano questo desiderio.

Il mio amico, poeta Russo e cane sciolto Edward Limonov, ha scritto una breve storia negli anni ottanta: cosa sarebbe accaduto se la Russia fosse scomparsa completamente dalla faccia della terra? Gli USA sarebbero intervenuti in tutto il mondo su larga scala, e il capitalismo e l’imperialismo avrebbero furiosamente riguadagnato il terreno perso fin dal 1917, così profetizzò; e così è accaduto: Panama, Nicaragua, Yugoslavia, Iraq, Afghanistan sono stati invasi. I ricchi sono diventati più ricchi, la classe media si è ritirata, le libertà disfatte con il pretesto della “Guerra al Terrore” .

La sinistra Occidentale ha contribuito molto a questo infelice sviluppo, per la Russia Sovietica è stata disfatta con doppia perfidia. Alla fine, le loro elite hanno tradito le loro masse e privatizzato la ricchezza creata dal popolo sovietico.

Ma prima di ciò, noi, la sinistra occidentale, avevamo introiettato il cliché dell’impero del male e ripetuto ogni slogan prodotto dal nemico. Abbiamo cantato ‘Let my people go’, e chiesto dei privilegi extra per gli Ebrei, il diritto ad emigrare. Non ci siamo preoccupati che i palestinesi non avessero il diritto di ritornare alle loro case, mentre gli ebrei russi volevano trasferirsi nei loro insediamenti nella Palestina occupata. Noi sostenevamo i dissidenti russi, sebbene essi odiassero tutto ciò che rappresentiamo e consideravamo Pinochet “uno di sinistra soft”. Noi abbiano accusato i russi dei loro vecchi Gulag, e siamo arrivati ad Abu Ghraib. Abbiamo condannato troppo i russi, e contribuito alla loro sensazione di isolamento, e al secondo, fatale tradimento delle loro elite.

Noi, persone buone e sincere, fummo traviate e ingannate dalla macchina dei media in uno scoppio di biasimo contro il nostro unico possibile alleato. La sinistra occidentale non sopravvisse al collasso: si avviò all’autodistruzione e ciò che rimase è rappresentato dai simili di Toni Blair. In tutto il mondo occidentale le elite celebrano il loro lusso e ricchezza illimitate, mentre le persone normali stanno sempre peggio. Non solo gli operai dell’industria: a meno che tu non sia un amministratore delegato vivi adesso peggio di prima, e le tue chance di migliorare il tuo destino sono peggiori di quanto non siano mai state.

Ma per fortuna la Russia non è scomparsa per sempre, sebbene ci sia stata vicina. Boris Yeltsin ha venduto le risorse ai suoi compari e a società Occidentali, ha bombardato il Parlamento e trasferito i media e il petrolio nelle mani dell’oligarchia ebraica. Yeltsin ha nsediato Vladimir Putin, un ex dirigente del KGB e aspirante Pinochet, con il compito di tenere le proprietà nelle mani di ladri e il paese nella stretta dell’occidente. Adesso sembra che i nemici della Russia abbiano sottovalutato quest’ uomo. Invece di fare il Pinochet per conto degli oligarchi, Putin ha rotto la morsa degli oligarchi; ha esiliato e imprigionato alcuni loschi tycoons, e restaurato una sembianza di legge e ordine nel paese. Ha fatto tornare i principali canali TV al popolo. Le mie ricche conoscenze ebraiche in Russia mi dicono che il denaro non regna più nel paese. Ci si può comprare dei comfort, ma non il potere.

I proventi del petrolio iniziano a fluire nel paese, non solo in scrigni privati in banche Svizzere. Ciò ha rivitalizzato l’economia. Le infrastrutture in rovina sotto Gorbachev e Yeltsin sono state ricostruite e migliorate; le abitazioni sono state costruite in quantità; l’esercito degradato ha ricevuto nuove attrezzature;le principali strade luccicano di nuovi negozi; autostrade nuove e sistemate per milioni di auto collegano villaggi e città. La guerra Cecena è passata; la repubblica è stata reintegrata in Russia, e i suoi abitanti godono dei diritti civili. I balletti russi catturano di nuovo gli occhi e i cuori. Dopo il collasso totale dell’industria cinematografica negli anni novanta, i russi stanno facendo di nuovo molti film, anche dei film di cassetta di successo (come The Night Guard ) e anche arte da festival. Lamentele ossessive e tormentate dai sensi di colpa, hanno dato la stura a nuova prosa e poesia. Migliaia di chiese sono state restaurate e le loro cupole a cipolla dorate di nuovo; tutte le chiese sono piene alla domenica. Storicamente un paese di cristiani ortodossi e islamici sunniti, la Russia ha preservato le sue tradizioni, e qui i cristiani e i mussulmani vivono in relativa armonia nonostante gli sforzi delle forze pro-americane per iniettare l’islamofobia nei cuori dei Russi. La TV di stato, tenuta lontana dagli oligarchi ebrei e liberata dalla tirannia del PC, mostra molto materiale d’archivio di venerabili patriarchi dalle barbe grigie ( i Pope Russi) e l’agile karateka presidente che irrobustisce la tradizione di fede e autorità della Russia.

Un romanzo-fiume di 1500 page del pittore russo Maxim Kantor , The Drawing Textbook , l’ultimo grido della letteratura russa, è stato accolto da molti lettori come un proclamazione di voltafaccia: il servilismo ideologico russo all’occidente schiavo del denaro è finito! Kantor non si limita a condannare i capitalisti rampanti: essi erano preceduti dagli intellettuali rampanti. Kantor difende cristo dagli assalti degli umanisti: la cristianità fu tradita dagli umanisti, nella sua visione Kantor non è appassionato del nuovo regime russo: gli spiace che la russia abbia rinunciato al socialismo, e considera 20 anni di sviluppo capitalistico come un flop: “la caserma del socialismo è stato sostituito dal capitalismo da caserma”. Con questo libro, un moderno Guerra e Pace, la reinvenzione della russia è ufficialmente in cammino, e questo grande paese con la sua meravigliosa gente può adesso cambiare il corso della storia.

È dubbio che la Russia si volgerà a sinistra nel breve periodo. Ma l’attivismo internazionale degli Americani avventurieri non è accettabile per alcun stato indipendente Russo. I russi non sono felici per le basi americane che accerchiano la Russia, con le spinte aggressive della NATO, o con limitazioni motivate politicamente delle società russe. I russi avvertono di essere stati imbrogliati 20 anni fa, quando l’occidente proclamò il desiderio di ottenere pace e armonia, e rispettare l’indipendenza delle nazioni. Credendo in questa balla, le truppe russe lasciarono l’est europeo, ma le truppe americane ancora soggiornano in Germania, Italia, Giappone; avanzano in Polonia e questa estate hanno provato ad entrare in Crimea, vicino alla base della flotta Russa. I russi hanno lasciato il Vietnam, ma gli americani ancora occupano Okinawa.


I leader russi si sentono insicuri: dal crollo dell’Unione Sovietica i leader degli stati sovrani indipendenti – Noriega, Saddam Hussein,Milosevic – sono stati ghermiti e imprigionati per aver rifiutato il volere di Washington. Neppure la Russia è in buona salute: la Russia come molte nazioni è obbligata a tenere i propri risparmi nel pozzo senza fondo dell’economia Americana, ma nessuno può ancora incassare questi investimenti. La Norvegia ha investito tutti i suoi guadagni del petrolio nella borsa statunitense; i fondi pensione Svedesi hanno preso la stessa strada. Se questo è il caso dei migliori amici degli USA, cosa succederà ai nemici? Iran, Iraq, Palestina hanno perso tutti i loro risparmi per decisione dell’amministrazione USA. Inoltre il sistema legale permette agli USA di intentare causa a stati stranieri per cifre illimitate. Così i familiari delle vittime del disastro di Lockerbie hanno ricevuto dalla Libia assediata un buon dieci milioni di dollari per passeggero, sebbene le corti americane autorizzano cifre diecimila volte inferiori per le vittime di bombardamenti americani - se poi ricevono davvero qualcosa.

La Russia si sente insicura perché gli USA hanno invaso nazioni sovrane più spesso e con maggior impunità di quanto non sia accaduto con Hitler. Questo sentimento è condiviso dalla meno rumorosa Cina. “La grande questione che divide le Nazioni Unite non è più Comunismo contro Capitalismo, come una volta; è la sovranità” proclama il New York Times. Il suo scribacchino, James Traub, elenca molti paesi che “abusano dei loro cittadini sotto la protezione della sovranità”. Cercherete invano il nome di Israele, sebbene gli ebrei hanno ucciso oltre un migliaio di persone in Libano, e oltre 200 civili lo scorso mese soltanto a Gaza.

L’argomento di divisione maggiore del nostro tempo è alquanto diverso: gli USA e Israele sono le sole nazioni sovrane, mentre gli altri hanno una versione “demo” limitata. Perché Israele la fa franca con le sue aggressioni (adesso con l’embargo aeronavale di uno stato sovrano membro delle Nazioni Unite come il Libano) mentre il pacifico Iran deve essere censurato? Perché Israele è stato capace di rifiutare tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite e non si è visto applicare sanzioni mentre all’Iran manca poco per essere bombardato? I non ebrei hanno minor valore degli ebrei? Il caso dell’Iran fornisce una buona opportunità alla Russia e alla Cina di presentare un caso di sovranità e non-interferenza.

Alcune delle migliori politiche Sovietiche sono state inglobate nel costume Cristiano della Russia, e la tradizione di aiutare l’oppresso e il debole, o resistere l’aggressione a uno di esso. La Russia post-Sovietica ha ereditato queste tradizioni. Ma in questo caso, il bisogno pratico coincide con la compassione. A meno che il presidente Putin veda con equanimità la possibilità di essere strappato a forza e portato in un tribunale fittizio Americano, potrebbe contemplare la possibilità di fermare quest’orgia di invasioni. L’ Iran rappresenterebbe un’invasione di troppo. L’Iran è un paese sovrano; non viola le leggi internazionali. La sua decisione di arricchire l’uranio è pienamente entro i suoi diritti secondo l’NPT. Se adorano Allah o Geova è soltanto un loro affare interno. E applicando il suo diritto di veto, la Russia segnalerebbe che l’interferenza in affari interni di stati sovrani non sarà tollerata e legittimata nelle Nazioni Unite. La Russia non sarebbe sola, anche la Cin, ugualmente scontenta dell’interferenza USA, la sosterrebbe con il proprio veto.




L’alternativa è altamente considerevole: anche se le risoluzioni ONU non riportano sanzioni, gli USA sono famosi per la loro interpretazione guascona dei testi dell’ONU. Qualsiasi condanna (anche la più soft) sarà utilizzata come carta bianca per spogliare l’Iran e farlo proprio; quindi la catena delle basi militari USA continuerà a girare intorno al fianco sud di Russia e Cina, attraverso Turchia, Georgia, Iraq, Iran, Afghanistan, Pakistan. Il “ribelle” Ahmadinejad sarà portato a Tel Aviv in catene, mentre gli USA prenderanno le risorse dell’Iran, e utilizzando il petrolio dell’Iran e dell’Iraq, mineranno la posizione della Russia nel mondo economico. Dopo tutto con questo o quel pretesto potranno confiscare i beni della Russia, spaventando Putin con la sorte toccata ad Ahmedinejad e riporteranno la Russia alla miserabile posizione dei giorni di Yeltsin. Così usare il loro diritto di veto nel consiglio di sicurezza sarebbe un passo molto prudente e saggio da parte di Russia e Cina, specialmente se ciò si accompagnasse al concedere all’Iran la piena partecipazione come membro nell’organizzazione di Cooperazione di Shanghai.

Il risultato di un veto Russo sarebbe maggiore di un semplice differimento dell’assalto degli USA all’Iran: lancerebbe un segnale forte che la fine della Pax Americana è vicina. La “vecchia” Europa può inserirsi in questo e riguadagnare la sua indipendenza, anche chiedendo di rimuovere le vestigia della seconda guerra mondiale, le basi militari statunitensi, dall’Europa. La “nuova” Europa può comprendere che è un passo falso contenere i partigiani pro-America e anti-Russia. Il Giappone potrebbe chiedere di terminare l’occupazione di Okinawa. La Legge delle Nazioni governerebbe di nuovo il mondo, al posto del volere del Pentagono.

E quindi arriverebbe il tempo dell’indipendenza di una nuova America, indipendenza dell’America dalla sua Lobby ebraica. Un tale impulso ebbe luogo nella Russia rivoluzionaria degli anni ‘20 del novecento, quando i comunisti russi discutevano se avessero dovuto fare la rivoluzione del mondo, come chiedeva Trotsky, oppure creare il socialismo nel proprio paese, come proposto da Stalin e Bukharin. Se il loro attivismo militante viene rifiutato, gli americani potrebbero abbandonare i neo-Trotskisti, sia Repubblicani che Democratici, desiderosi di espandere la loro “rivoluzione democratica mondiale” in favore degli isolazionisti che preferiscono costruire piuttosto che diffondere. I sostenitori della diffusione – da George W. Bush a Hilary Clinton – sono grandi amici di Israele. Il sostegno bi-partisan ad Israele tra le elite politiche USA significa anche la loro sottomissione alla Lobby ebraica. Il rifiuto della Lobby può diventare l’unico slogan di una nuova rivoluzione Americana, di un nuovo partito politico di indipendenza e non-interferenza sulla via per creare degli Stati Uniti che possono convivere con il mondo.

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00mercoledì 18 ottobre 2006 22:20
L’APOCALISSE NUCLEARE DI BUSH







La portaerei Eisenhower, col supporto di tre corazzate, la USS Anzio, la USS Ramage, la USS Mason e di un sottomarino ‘fast attack’, lo USS Newport News, proprio in questi giorni sta navigando verso lo stretto di Hormuz, presso le coste iraniane. Le navi saranno sul posto e pronte all’attacco dell’Iran prima della fine del mese. Potrebbe trattarsi di un bluff, potrebbe essere una messinscena. Forse si tratta solo di una dimostrazione di potenza militare americana, ma ne dubito.

La guerra contro l’Iran – una guerra che scatenerebbe uno scenario apocalittico in Medio Oriente – è probabile prima dello scadere dell’amministrazione Bush [a novembre 2008, n.d.t.]. Potrebbe già avere inizio entro le prossime tre settimane. Questa amministrazione, che si dice consacrata da un Dio cristiano al fine di ridisegnare il mondo, specialmente il Medio Oriente, all’inizio del suo regno individuò tre stati come “l’Asse del Male”, e cioè l’Iraq, ora occupato; la Corea del Nord che, perché munita di armi nucleari è intoccabile, e l’Iran.

Coloro che non prendono questa retorica apocalittica sul serio farebbero bene a guardare a persone come Elliott Abrams, che contribuì ad orchestrare la disastrosa ed illegale guerra dei Contras in Nicaragua e che adesso è stato incaricato dall’amministrazione Bush a sovrintendere il Medio Oriente per il Consiglio sulla Sicurezza Nazionale. Abrams ha una visione puerile del mondo, secondo lui suddiviso in buoni e cattivi, noi e loro, le forze delle tenebre e le forze della luce, e questa sua strana, crepuscolare mentalità ha fatto presa sulla maggioranza dei decisionisti che ci stanno rovinosamente portando verso un crisi di proporzioni epiche.

Queste persone perorano una dottrina di guerra permanente, una dottrina che, come William R. Polk sostiene, è una leggera variante della dottrina di rivoluzione permanente di Leon Trotsky. Queste due teorie rivoluzionarie hanno la stessa funzione, di intimidire e distruggere coloro che sono classificati come oppositori, di creare un’instabilità e una paura permanente e di zittire i propri cittadini che contestano le decisioni delle autorità in tempo di crisi nazionale. I cittadini statunitensi, lentamente spogliati delle loro libertà, sono nuovamente portati, come un gregge di pecore, verso l’abisso.

Ma questa sarà una guerra diversa. Sarà una guerra catastrofica che scatenerà gli incubi più ricorrenti ed apocalittici della visione cristiana. Purtroppo nell’entourage del presidente ci sono di quelli che pensano che tutto questo sia stato preordinato da Dio, addirittura il presidente stesso potrebbe pensarlo.

L’ipocrisia di questa crociata morale di cui si vantano non sfugge ai cittadini del Medio Oriente. Si sa che l’Iran ha di fatto firmato il trattato di non-proliferazione nucleare, violandone soltanto una codicilla inserita dai vari ministri degli esteri europei, ma non ratificata dal parlamento iraniano.

Non contesto quanto si dice sulle intenzioni dell’Iran di sviluppare armi nucleari, e neppure minimizzo il pericolo che questo comporterebbe, se l’Iran dovesse arrivarci nei prossimi 5-10 anni, ma paragonate l’Iran al Pakistan, alll’India o ad Israele. Queste tre nazioni rifiutarono di firmare il trattato e svilupparono in segreto le armi nucleari. Si stima che Israele possegga dalle 400 alle 600 testate nucleari. La parola “Dimona”, nome della località dove Israele le produce, per i mussulmani è diventato sinonimo di minaccia, la minaccia che Israele rappresenta per la loro esistenza stessa. Che cosa hanno imparato gli iraniani dai nostri alleati israeliani, pakistani ed indiani?


Visto che ci siamo attivati per destabilizzare il regime iraniano reclutando gruppi tribali e minoranze etniche perché si ribellassero, visto che usiamo termini apocalittici per descrivere ciò che abbiamo in serbo per il regime dell’Iran, visto che altri stati medio orientali quali l’Egitto e l’Arabia Saudita stanno rumoreggiando di voler sviluppare anch’essi l’energia nucleare, e visto che, semplicemente premendo un bottone Israele potrebbe obliterare l’Iran, cos’altro possiamo aspettarci dagli iraniani? Per di più il regime iraniano ha intuito che la dottrina della guerra permanente implica attacchi preventivi e immotivati.

Coloro che a Washington premono per questa guerra sapendo ben poco dei limiti e del caos di una guerra quanto poco sanno del Medio Oriente, credono di poter colpire circa 1.000 siti in Iran per distruggerne il suo potenziale nucleare e azzopparne la forza militare composta da 850.000 uomini. Il disastro della recente guerra di Israele al Libano, dove le incursioni aeree israeliane non solo fallirono nel tentativo di sbarazzarsi di Hezbollah, ma ottennero invece che la popolazione libanese si schierasse con i militanti, non è neanche considerato. Dopo tutto questi “pensatori” non è che vivano in un mondo reale… Il bombardamento massiccio di Israele sul Libano non rappacificò 4 milioni di Libanesi. Cosa succederà quando cominceremo a bombardare un Paese di 70 milioni di persone? Come disse il generale Wesley K. Clark, ora in pensione, ed altri sottolinearono, una volta iniziata una campagna di incursioni aeree è solo questione di tempo prima che tu debba mettere le tue truppe sul terreno, oppure devi accettare la sconfitta, come fece Israele in Libano. E se cominciamo a lanciare bombe anti-bunker, missili cruise e bombe a grappolo sull’Iran, questaa è la scelta che dobbiamo fare: o mandarci le nostre truppe sul terreno a combattere una tanto prolungata quanto futile guerriglia o andarcene umiliati.

“Siamo un popolo che dimentica facilmente” disse l’ottobre scorso a New York il dr. Polk, un nostro vero esperto di questioni mediorientali, ad una platea di addetti alla politica estera, “avremmo dovuto imparare dalla storia che eserciti stranieri non possono vincere le guerriglie. Gli inglesi lo impararono dai nostri progenitori durante la rivoluzione americana e lo rei-impararono in Irlanda. Napoleone lo imparò in Spagna. I tedeschi lo impararono in Jugoslavia. Noi avremmo dovuto impararlo in Vietnam, e i russi lo impararono in Afghanistan e lo stanno sperimentando di nuovo in Cecenia, e naturalmente lo stiamo imparando noi in Iraq. E’ quasi impossibile vincere contro la tattica di guerriglia. Siamo inoltre un popolo molto vanitoso. Il nostro stile di vita è il solo stile di vita. Dovremmo sapere che non sempre i ricchi e potenti vincono contro i poveri e meno potenti.”

Un attacco all’Iran farebbe esplodere il Medio Oriente. La perdita del petrolio iraniano, assieme ai probabili attacchi dell’Iran con missili Silkworm alle petroliere ancorate nel Golfo Persico potrebbero far salire il prezzo del petrolio a 110 dollari al barile. Questo sarebbe devastante per l’economia nostra e mondiale, e innescherebbe probabilmente un’enorme depressione globale. I 2 milioni di Shiiti nel Bahrain, Pakistan e Turchia si rivolterebbero con forza contro di noi ed i nostri deboli alleati. Ci sarebbe un sensibile aumento di attacchi terroristici, anche su suolo americano e grandi sabotaggi a pozzi petroliferi in tutto il golfo. Per le nostre truppe l’Iraq diventerebbe un campo di morte perché gli Sciiti ed i Sunniti per la prima volta si unirebbero contro gli invasori.

Tuttavia, la nazione che pagherebbe il prezzo più alto sarebbe Israele. E la triste ironia è che quelli che promuovono questa guerra pensano di essere alleati di Israele. Una conflagrazione di questa magnitudine vedrebbe Israele risucchiato in Libano e costretto ad una guerra regionale, una guerra che segnerebbe il capitolo finale dell’esperimento sionista in Medio Oriente. Non a caso gli israeliani hanno chiamato il loro programma nucleare “l’opzione di Sansone”. La bibbia dice che Sansone, aggrappandosi alle colonne del tempio, lo fece crollare, uccidendo tutti intorno a lui, insieme a se stesso”.

Se siete sicuri di voler essere proiettati in paradiso, lasciando le vostre spoglie ai miscredenti, queste notizie dovrebbero rallegrarvi, se invece siete persone razionali, queste potrebbero essere le ultime settimane o mesi in cui beneficiare di quanto rimane della nostra stanca, morente, repubblica e del nostro stile di vita.

centrosardegna
00sabato 28 ottobre 2006 21:59
Apologia di genocidio

Apologia di genocidio: i compari di Lynne Cheney e la gestapo universitaria







Il 16 ottobre 2006, a meno di tre settimane dalle elezioni del 7 novembre e con il tempo agli sgoccioli per un attacco militare contro l’Iran che l’amministrazione Bush-Cheney conta di usare a proprio vantaggio elettorale, come “sorpresa d’ottobre”, un oratore presso l’Università di Californa a Los Angeles (UCLA) ha detto agli studenti che occorre un genocidio contro i musulmani per generare “una rinascita dell’orgoglio della civiltà occidentale”.

L’oratore in questione è Yaron Brook, direttore dell’Ayn Rand Institute (ARI), il quale avrebbe anche affermato, come riferisce il giornale universitario Daily Bruin, che “gli stati totalitari islamici pongono una grave minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti”, dicendosi inoltre convinto il modo di sconfiggere questi regimi “è uccidere alcune centianaia di migliaia dei loro sostenitori”. In tal modo, ha detto, “il sostegno popolare per le idee estremistiche si ridurrebbe ad una piccola minoranza nella popolazione”, invece del 40% che secondo Brook sostiene attualmente questi regimi.

Chi crede di poter liquidare queste dichiarazioni come farneticazioni del demente di turno che non ha voce in capitolo dovrebbe approfondire la conoscenza di questi ambienti. Essi sono stati denunciati in una pubblicazione diffusa dal movimento giovanile di LaRouche nei campus universitari (“Is Joseph Goebbels on Your Campus?'').

Il dott. Brook, ex funzionario dello spionaggio militare israeliano, e l’ARI fanno parte degli ambienti controllati da Lynne Cheney, la moglie del vice presidente, che dal 1986 è impegnata a creare sue reti di estremisti di destra nel mondo universitario. L’organizzazione più nota è l’ACTA (American Council of Trustees and Alumni), fondata dalla moglie del vice presidente nel 1993. Il dott. Brook e queste strutture di Lynne Cheney sono impegnate a raccogliere sostegni nel mondo universitario per il “partito della guerra” e ad eliminare ogni voce di dissenso con minacce, intimidazioni e licenziamenti dei professori, in nome della “libertà”, si capisce. Ad esempio l’ACTA della Cheney ha emesso una dichiarazione sul conto di un professore del New Hampshire in cui si legge: “Nel caso in cui ... un membro di facoltà insegna ‘teorie cospiratorie’ fantastiche e infondate, i suoi insegnamenti evidentemente non meritano le franchigie speciali della libertà accademica”. Per questo da tempo l’ACTA ha prodotto un “indice” delle “dichirazioni” e dei personaggi bollati come “anti-americani”, o di essere colpevoli perché "invocano la tolleranza e la diversità come antidoto al male".

La conferenza di Brook del 16 ottobre è stata sponsorizzata dal LOGIC (Liberty, Objectivity, Greed, Individualism, Capitalism), la succursale dell’ARI presso l’UCLA, collegata al Collegiate Network, una catena di novanta giornaletti universitari legatissima all’amministrazione Bush. La Collegiate Network pubblica la rivista on line, CAMPUS, che conta tra i consiglieri Midge Decter, moglie di Norman Podhoretz, uno dei fondatori del movimento neo-con, ma anche suocera di Elliott Abrams, paladino neo-con alla Casa Bianca ed inoltre tesoriere e membro del Cda del Northcote Parkinson Fund di John Train, il coordinatore della persecuzione legale di cui fu vittima LaRouche alla fine degli anni Ottanta. Al Collegiate Network appartiene anche il Bruin Standard diretto da Garin Hovannisian, un protetto di David Horowitz e attuale calunniatore dell’organizzazione di LaRouche in ambiente universitario.

Il partito della guerra

Le guerre in Afghanistan e in Iraq si sono rivelate quelle sabbie mobili che LaRouche aveva previsto prima che gli USA finissero per cacciarvisi dentro, e di conseguenza i sostegni popolari per l’amministrazione Bush sono crollati, dicono i sondaggi.

Alla crescita dell’opposizione interna si aggiunge la disapprovazione internazionale, tanto che in Inghilterra persino gli alti ufficiali in servizio sostengono che è ora di suonare la ritirata. Il partito della guerra appare così sempre più disperato, e per questo attizza la crisi nella Corea del Nord, sperando di poter arrivare a colpire nuclearmente l’Iran.

Un esempio per tutti. George Shultz, padrino dell’attuale amministrazione Bush ed eminenza grigia di tutte le amministrazione repubblicane dai primi anni Settanta, ha pronunciato il 14 ottobre un discorso alla Stanford University affermando che gli USA dovrebbero passare ai fatti, subito. Con il suo tono accademico l’ex segretario di stato dell’amministrazione Bush ha spiegato che il problema si colloca nel fatto che i governi occidentali e l’ONU continuano a ripetere che certe cose sono “inaccettabili”, ma quando poi accadono essi le accettano. Il giornalista Ted Koppel gli ha chiesto che cosa propone di fare e Shultz ha risposto: “Dobbiamo passare ai fatti — sparare”. Il pubblico ha riso.

Shultz ha spiegato: “Quando entrai nei marines un sergente mi mise in mano un fucile dicendo: ‘non lo puntare mai addosso a qualcuno se non sei risoluto a premere il grilletto’. Oggi assistiamo ad una riluttanza continentale a premere il grilletto: Darfur, Iran, Corea del Nord, Hezbollah. Occorre andare fino in fondo e sparare”.

Dunque, tutta la macchina propagandistica del partito della guerra è mobilitata a liquidare questa “riluttanza a premere il grilletto”.

Che cos’è L’Ayn Rand Institute?

L’ARI fu fondato nel 1985 da Leonard Peikoff, laureatosi all’Università di New York sotto Sidney Hook. Dalla fine degli anni Sessanta Hook si è distinto per l’odio nei confronti di LaRouche, ma anche come uno dei fondatori del Congress for Cultural Freedom. Nel mondo universitario fondò l’UCRA (University Centers for Rational Alternatives) che è stato il diretto precedessore dell’ACTA di Lynne Cheney.

Peikoff è l’erede di Ayn Rand, la fondatrice del cosiddetto “oggettivismo”. La teoria è una mistura di Aristotele, di John Locke, un po’ di Friedrich Nietzsche, e sopratutto del fanatismo liberista di Ludwig von Mises, della scuola austriaca. Ne risulta una glorificazione dell’uomo hobbesiano, governato dal proprio egoismo e individualismo nella lotta di ciascuno contro tutti.

Tra i principali seguaci della Rand spicca l’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan, appartenente al gruppo più ristretto dei principali sostenitori della Rand, “il collettivo”, a quale apparteneva anche Peikoff. La firma di Greenspan apparse per la prima volta sul New York Times in una lettera alla redazione del 1957 in cui prendeva le difese della Rand. Greenspan tenne inoltre lezioni per promuovere le idee della Rand al Nathaniel Branden Institute. Anche Branden era un esponente del “collettivo”. Quando fu nominato a capo del Consiglio economico del presidente Gerald Ford, Greenspan invitò la Rand a presenziare alla cerimonia del giuramento. Poi si sbracciò a consigliare a Ford lo smantellamento dei programmi economici che favorivano il ‘general welfare’ e soprattutto riuscì a far passare la linea della ‘deregulation’.

La Rand chiamava Greenspan ‘Undertaker’, il becchino, forse per il suo aspetto lugubre e allampanato, o forse presagendo il ruolo futuro di Greenspan alla Federal Reserve, dove ha scavato la fossa all'economia americana.

L’apologista del genocidio Yaron Brook dirige l’Ayn Rand Institute dal 2000 e nel sito dell’ARI si legge che “Gli anni trascorsi al servizio dell’intelligence dell’esercito israeliano, insieme all’intenso lavoro di ricerca da lui svolto, gli conferiscono un’esperienza sul conflitto mediorientale e sul terrorismo come pure sulla politica estera americana in tale regione. Molti campus universitari in ogni parte del paese lo hanno recentemente invitato a parlare sul tema: ‘la ragione morale per sostenere Israele’.” Brook ha fondato tre imprese, tra cui la BH Equity Research che si occupa di consulenza per capitale di rischio a San Jose in California, e per sette anni è stato professore assistente di finanza all’Università di Santa Clara. Ha un titolo universitario del Technion Israel Institute of Technology e un altro dell’Università del Texas ad Austin.

Guerra nucleare preventiva

Sotterrare lo stato nazionale come ha fatto Greenspan con la sua politica non basta al partito della guerra. Una breve analisi dei collegamenti tra l’ARI e la rete della Cheney nelle università — ACTA/Campus Watch/Horowitz — mostra come la macchina si sia messa in modo per promuovere la guerra nucleare, riprendendo la strategia seguita da Bertrand Russell dopo la scomparsa del presidente Franklin Delano Roosevelt, per indurre il presidente Truman al bombardamento nucleare del Giappone e cercando poi di arrivare al bombardamento nucleare dell’Unione Sovietica.

In un articolo pubblicato sul The Ojective Standard Brook si scaglia contro l’idea della “guerra giusta” brandendo la teoria del “proprio interesse razionale”, formulata da Ayn Rand, per giustificare un attacco preventivo contro l’Iran.

Brook sostiene: “Stiamo perdendo la guerra contro il Totalitarismo Islamico perché la nostra leadership, politica e militare, è mutilata dalla moralità dell’altruismo contenuta al fondo della teoria della guerra giusta. Il codice morale inerente alla teoria della guerra giusta definisce delle regole che ledono, inibiscono e sovvertono ogni speranza di successo nella guerra”.

Coautore di questa tirata demenziale è Alex Epstein, anch’egli dell’ARI, che figura nello staff di frontpagemagazine.com, il sito di David Horowitz.
Horowitz, che in passato lavorò per Bertrand Russell, è un altro sostenitore della necessità di usare le armi nucleari per eliminare in massa i musulmani. Affrontato dagli esponenti del LYM di LaRouche all’Università di Santa Barbara, Horowitz ha difeso il ricorso di Truman alla bomba nucleare contro il Giappone ed ha aggiunto che gli USA dovrebbero usare di nuovo le armi nucleari contro l’Iran.

Un altro esponente della confraternita del genocidio dell’ARI è il prof. John Lewis, autore di un articolo apparso nel numero dell’aprile 2006 di Capitalism Magazine intitolato “La lezione morale di Hiroshima”. L’effetto delle bombe sul Giappone, sostiene il prof. Lewis, “furono tanto benefici, così ampi e duraturi che quel bombardamento dovrebbe essere elogiato come uno degli atti più morali che siano mai stati compiuti”!

Per fare il parallelo con l’attuale ‘necessità’ di bombardare Iran, Nord Corea ed altri, Lewis ripropone il ritornello randiano “C’è voluto un paese che ha a cuore il destino del mondo per bombardare quel sistema [imperiale giapponese] estinguendolo.

“Per gli americani far ciò, rifiutandosi di sacrificare le proprie truppe per salvare i civili del nemico fu un atto di moralità sublime”.

Deliri a parte, la realtà militare del Giappone, quando fu bombardato nuclearmente, è che stava trattando segretamente la resa attraverso l’allora Mons. Giambattista Montini (poi diventato papa Paolo VI), e poteva essere nel frattempo “convinto” ancora di più ad arrendersi con un semplice blocco navale, giacché il Giappone non dispone di risorse proprie. Di conseguenza, il motivo per cui fu bombardato non era militare.

Yaron Brook e John Lewis hanno di nuovo tenuto a Boston un seminario organizzato sempre dall’ARI tra il 20 e il 22 ottobre. Tra gli oratori anche Daniel Pipes, uno dei collaboratori più stretti di Brook, noto propagandista dello scontro di civiltà di marca neocon, e fondatore del Campus Watch.

Nel settembre 2002 l’ARI produsse un’edizione speciale della sua newsletter, Impact, intitolata “L’America in guerra”, con un articolo di Onkar Ghate che predicava tra l’altro: “Una nazione libera non deve ammettere che il timore di provocare vittime civili limiti la propria auto-difesa”. E ancora, “la preoccupazione del governo, condivisa da molti americani, a proposito dell’uccisione dei civili, è moralmente errata”. La conclusione è tipica dell’“oggettivismo” randiano: “La guerra è terribile ma talvolta necessaria. Per vincere la guerra al terrorismo non dobbiamo lasciarci dissuadere da errate preoccupazioni per gli ‘innocenti’. Come nazione libera abbiamo il diritto morale di difenderci anche qualora ciò richiedesse uno sterminio dei civili nei paesi terroristi” (enfasi nostra). Ghate è presentato come responsabile dei programmi di istruzione per gli universitari all’ARI.

Lo stesso fondatore dell’ARI Leonard Peikoff scrisse un articolo pubblicato su Capitalism Magazine il 2 ottobre 2001, (dunque a poca distanza dall’11 settembre), intitolato “Porre fine agli stati che sponsorizzano il terrorismo”. A suggerigli il titolo, scrisse, furono le “parole eccellenti” di Paul Wolfowitz, allora vice segretario alla Difesa, impegnato a spacciare le false informazioni sugli arsenali iracheni usate dall’amministrazione Bush per giutificare la guerra contro l’Iraq.

In quell’articolo Peikoff chiedeva un attacco contro l’Iran e sosteneva l’opportunità di ricorrere alle armi nucleari: “Una guerra di vera autodifesa dev’essere combattuta senza imporre limitazioni autolesioniste ai nostri comandanti sul campo. Dev’essere combattuta con le armi più efficaci che abbiamo a disposizione (qualche settimana fa Rumsfeld correttamente si è rifiutato di escludere le armi nucleari)”.


centrosardegna
00domenica 26 novembre 2006 15:32
I piani di Cheney contro l’Iran






«Non vi illudete: il presidente Bush dovrà bombardare l’Iran prima di lasciare la carica».
Chi scrive queste parole sull’ultimo numero di Foreign Policy è un ben informato: Joshua Muravchick, uno degli ideologi più influenti del circolo neocon-ebraico American Enterprise.
E’ ciò che vuole Israele, ed è ciò che l’America farà.
La conferma viene da un altro ben informato, ma di tutt’altro genere: il grande giornalista Seymour Hersh.
In uno dei suoi densi articoli sul New Yorker, «The next act», egli delinea le strategie dell’Amministrazione, battuta alle elezioni di medio termine e messa sotto tutela dei vecchi «realisti» capeggiati da James Baker.
L’articolo è complesso e ricco di informazioni riservate di prima mano.
Ecco le principali.



Un mese prima delle elezioni del 7 novembre, Dick Cheney ha presieduto una riunione della sicurezza nazionale nell’Executive Office Building.
Tema: trovare dei metodi per continuare la politica di Bush anche nel caso che i democratici conquistassero entrambe le camere (com’è poi avvenuto).
In quel caso, è possibile che la nuova maggioranza leghi le mani all’Amministrazione negandole i fondi per la nuova avventura bellica.
Ma Cheney ha rassicurato i presenti, dice Hersh, «che la vittoria democratica non fermerà l’opzione militare che l’Amministrazione persegue verso l’Iran».
In che modo?
Hersh ipotizza una soluzione «alla Nicaragua»: negli anni ‘80 la Casa Bianca di Ronald Reagan, vistisi bloccare dal Congresso i fondi per sostenere i contras, guerriglieri ostili ai sandinisti del Nicaragua, s’imbarcò in tutta una serie di traffici illegali, fra cui la vendita di armi Made in USA all’Iran attraverso (eh sì) Israele: l’origine dello scandalo Iran-Contra scoppiato dieci anni dopo.
Nei traffici e nello scandalo, insabbiato, era pesantemente coinvolto Bush padre (allora vice-presidente) che utilizzò una rete parallela di fuoriusciti dalla CIA (di cui era stato direttore) a lui fedeli.
Queste spie e agitatori «privatizzati» (avevano fondato agenzie di import-export e piccole compagnie aeree che paracadutavano armi ai Contras) potevano agire senza il controllo del Congresso, cui invece era soggetta la CIA.



Un’organizzazione «parallela» del genere - commentiamo noi - pare essere già all’opera: l’assassinio in Libano di Pierre Gemayel, immediatamente attribuito alla Siria, non solo ha arrestato la marcia di Hezbollah verso il governo in alleanza coi cristiani di Aoun; è stato anche un colpo alla strategia di James Baker, il curatore fallimentare di Bush jr., e del suo Iraq Study Group, che vogliono coinvolgere la Siria e l’Iran in trattative per la stabilizzazione dell’Iraq.
La Siria è stata rigettata nel ghetto degli «Stati canaglia» con cui non si tratta.
Conferma Hersh: «l’apparente trionfo del gruppo attorno a Baker, ‘la Vecchia Guardia’, può essere illusorio».
Un generale a quattro stelle a riposo, vicino a Bush padre, gli ha spiegato che la «Vecchia Guardia», preoccupata più della sorte del partito repubblicano che di quella di Bush figlio, cerca di isolare Cheney per «dare alla loro ragazza, Condy Rice, una possibilità di agire» con la diplomazia.
Per questo sono riusciti a mettere al posto di Rumsfeld il loro uomo, Robert Gates.
Ma ora Gates è da solo in un gabinetto ministeriale che gli è ostile, e, al Pentagono, si dovrà occupare di tutte le gatte da pelare lasciate da Rumsfeld: dall’Iraq all’Afghanistan ai funzionari e generali che rispondevano a Rumsfeld e sono stati da lui promossi.
A rischiare l’isolamento è Gates, non Cheney.
Il Pentagono di Rumsfeld si è accaparrato tutta una serie di competenze in operazioni illegali e clandestine all’estero, che prima erano della CIA.
Con una serie di tali operazioni, «Il Pentagono ha stabilito rapporti clandestini con curdi, azeri, e tribali Baluchi [le minoranze nell’Iran] incoraggiando i loro sforzi per minare l’autorità del regime» iraniano.
Inoltre, «Israele e Stati Uniti collaborano nel sostegno di un gruppo di resistenza curdo, il partito per la Libera Vita in Curdistan: questo gruppo sta compiendo infiltrazioni dentro l’Iran» passando evidentemente dall’Iraq.
«Queste attività essendo considerate militari e non di spionaggio, non è richiesta l’informativa al Congresso».
La Casa Bianca ritiene che l’attacco all’Iran sia il solo mezzo per salvare la situazione in Iraq.
«Come il giocatore d’azzardo che raddoppia la posta per recuperare le perdite», ha confidato un consulente del Pentagono ad Hersh.



E sono molti ancora i neocon interni all’Amministrazione convinti che «un attacco aereo all’Iran manderà il segnale che l’America è ancora in grado di adempiere ai suoi fini. Anche se non distrugge le installazioni nucleari iraniane, molti pensano che 36 ore di bombardamento sia il solo modo per avvertire l’Iran dell’alto rischio di continuare con la Bomba, e di sostenere Moktada al-Sadr in Iraq».
Il capo di questa fazione è David Wurmser, l’ebreo neocon nello staff del vice-presidente che si occupa di Medio Oriente.
Wurmser (come Israele) non si contenta di 36 ore di bombardamento: «Vuole il cambio di regime; sostiene che non ci può essere una stabilizzazione dell’Iraq senza cambio di regime in Iran».
La CIA si oppone; un documento segreto che l’agenzia ha fatto circolare fra i ministeri interessati nega che esista in Iran un programma di armamento nucleare.
L’intelligence è basata sulla «misurazione della radioattività nelle acque e nei fiumi delle fabbriche e delle centrali energetiche» iraniane; altri dati sono stati raccolti «con sofisticati e segretissimi apparecchi di rilevazione di radioattività che agenti israeliani hanno piazzato nei pressi dei sospetti siti nucleari dentro l’Iran. Nessuna dose significativa di radioattività è stata rilevata».
La IAEA e gli europei sono dello stesso parere.
Ma la Casa Bianca ha accolto queste informazioni della CIA «con ostilità».
E l’estate scorsa, Israele ha informato, in base a «dati di intelligence raccolti da spie israeliane interne all’Iran, che l’Iran ha creato e sta sperimentando un apparato d’innesco per la bomba atomica».
«Il problema è che nessuno può verificare questo dato», commenta un funzionario dell’intelligence parlando ad Hersh.
E nota che l’episodio ne ricorda uno simile avvenuto nel 2004.



John Bolton, allora sottosegretario per il controllo agli armamenti (oggi ambasciatore all’ONU) fece sapere in via riservata alla IAEA che l’Iran stava conducendo esperimenti di sincronizzazione di esplosivi convenzionali che servono per innescare la fissione nucleare di una bomba: e ciò, precisò, a Parchin, un impianto a venti miglia a sud di Teheran.
Evidentemente Bolton, l’ebreo, aveva avuto l’informazione da Israele.
Ma la IAEA ha condotto un’accurata ispezione a Parchin, specie attorno ad un pozzo sotterraneo per la sperimentazione di esplosivi, che poteva essere sospetto.
«Non abbiamo trovato alcun segno di materiali nucleari», ha detto ad Hersh un ispettore della IAEA.
Però ai primi di novembre 2006 il primo quotidiano di Israele, Yedioth Ahronot, è tornato alla carica con una nuova rivelazione: immagini da satellite mostrano «massicce costruzioni» in via di edificazione a Parchin, ed El Baradei (il capo della IAEA) non fa nulla…
E’ evidente che Israele sta usando tutte le leve di pressione per ottenere dagli USA ciò che vuole: l’attacco contro l’Iran.
Ehud Olmert ha allestito una «task force per coordinare tutta l’intelligence sull’Iran»: è evidentemente questa task force che fornisce e fabbrica le rivelazioni e i dati spionistici che passa alla Casa Bianca.
Che fretta c’è?, pare vada dicendo Condy Rice, sicura che il programma nucleare iraniano sia ancora lontanissimo dalla Bomba.
Ma Israele insiste.
Lo strano senso d’urgenza israeliano su questa questione è illustrato da Hersh attraverso una citazione di Ephraim Sneh, vice-ministro della Difesa israeliano.
Sneh ha scritto sul Jerusalem Post: «Il pericolo non è tanto che Ahmadinejad decida di lanciare un attacco nucleare, ma che Israele debba vivere sotto la nera nube del timore di un leader impegnato alla sua distruzione… La maggior parte degli israeliani non vorrebbero più vivere qui; la maggior parte degli ebrei non vorrebbero più venire qui con le famiglie, e quegli israeliani che sono in grado di vivere all’estero lo faranno… Ho paura che Ahmadinejad riesca ad uccidere il sogno sionista senza schiacciare un solo pulsante. Ecco perché dobbiamo impedire ad ogni costo che quel regime si faccia una capacità nucleare».
Asserzione altamente significativa, quasi un lapsus freudiano: i capi sionisti sono ben coscienti
della natura artificiosa di Israele, i cui abitanti possono vivere all’estero quando vogliono.
Non possono vivere in Israele se non avvolti da un’idea di totale onnipotenza e invulnerabilità.



Ovviamente anche i capi sionisti sanno che Ahmadinejad, se pure avesse la bomba atomica, non la tirerebbe.
Ma non possono vivere come israeliani in condizioni di parità (come il resto del mondo ha vissuto per mezzo secolo, sotto la dottrina della mutua distruzione assicurata, senza troppi drammi); essi, la razza superiore, possono vivere solo in condizioni di superiorità assoluta e incondizionata.
E' per questo che vogliono la guerra continua, che neutralizzi l’uno dopo l’altro tutti i nemici, anche solo eventuali e potenziali, di Israele.
Dopo l’Iraq, l’Iran.
E dopo l’Iran, chi?
Avranno quello che vogliono, conclude Hersh.
La lobby ha imposto questa sua causa paranoica anche a tutti i democratici.
Hilary Clinton stessa ha proclamato: all’Iran non può essere consentito di avere la bomba atomica.
L’attacco si farà dunque, come dice Muravchick dell’American Enterprise; l’America darà ai giudei anche questo contributo di sangue.
E lo faranno fare a Bush jr., presidente uscente, che ormai politicamente non ha più nulla da perdere.


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