Fabro il povero

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vanni-merlin
00sabato 3 novembre 2007 09:08
Fabro il povero

A Napoli, al Museo Madre, una mostra celebra a pochi mesi dalla scomparsa Luciano Fabro, uno dei più innovativi scultori italiani, maestro dell'Arte Povera. In scena, le opere degli anni Sessanta


di LAURA LARCAN

NAPOLI - "Premesso che la situazione attuale sconforta per la riduzione dell'opera a gadget. Che si stanno copiando i vetrinisti che ci copiavano. Che si teme una parola sensata sull'arte. Che il giudizio si prostra al consenso. Che la stima si prostra alle aste. Visto che si fugge dall'Opera Perché si teme di restarvici soli. Visto che l'inconsistenza mentale fa dilagare la dimensione materiale dell'opera. Visto che non sono per niente stanco di ribadire quanto illuminò un'epoca analoga. Comincerò col ridare ad ogni Opera lo spazio che ebbe. Comincerò col ritrasformare ogni spettatore in esponente dell'opera stessa.
Ricomincerò!". Eccolo il pamphlet agguerrito di Luciano Fabro, uno dei più innovativi e portentosi protagonisti della scultura italiana a partire dagli anni Sessanta, esponente raffinato e virtuoso dell'Arte Povera, affabulatore di una visione concettuale e performativa della scultura, pioniere di un uso eccentrico dei materiali sull'orlo di una sperimentazione accanita di soluzioni tecniche, scomparso pochi mesi fa all'età di 71 anni, e che viene raccontato dal Museo Madre con la personale "Luciano Fabro. Didactica Magna Minima Moralia", fino al 7 gennaio, curata dalla figlia dell'artista, Silvia, insieme a Rudi Fuchs e a Eduardo Cicelyn, direttore del museo.

Una rassegna che va concepita come "un'opera postuma" di Fabro, perché nasce da un lavoro ideale che lo stesso artista aveva formulato, tiene fede fino in fondo alle scelte e alle strutture che lo scultore aveva pensato e predisposto, perché i curatori hanno rigorosamente raccolto e confrontato la corrispondenza incrociata e i documenti lasciati da Fabro, quel prezioso patrimonio di appunti didattici e precisi, come era abitudine dell'artista e del maestro di tanti giovani all'Accademia di Brera, tra cui anche una pianta completa dell'allestimento espositivo.

Una mostra che, per ferrea volontà di Fabro, celebra solo la produzione legata agli anni tra il '63 e il '68, a rievocare il fermento creativo del suo debutto, che già lo faceva brillare come una singolare figura di febbricitante elaboratore di un linguaggio plastico, per arrivare a un passo prima dell'alba dell'Arte Povera, che esploderà col '68, quando, da lì in poi, Fabro firmerà le opere che lo legano all'immaginario collettivo come le sue Italie appese capovolte, i suoi Attaccapanni come elementi sospesi alla parete generando un movimento ondulatorio, i suoi Piedi fusi in alluminio, bronzo, vetro di Murano e coperti di shantung di seta.

"Tra gli artisti italiani della sua generazione, consegnati presto alla storia come i protagonisti dell'Arte Povera e dunque tutti subito costretti a interpretare un ruolo e a corrispondere a un'immagine - dice Eduardo Cicelyn - Fabro si è distinto per la capacità di sviare sempre le attese perseguendo l'attitudine solitaria di una ricerca autonoma, palesemente avulsa dagli spiriti cangianti di epoche diverse. D'altronde, dopo le lunghe conversazioni avute con Luciano negli ultimi mesi, ho pensato che la sua ostinazione a presentare a Napoli solo e soltanto quei lavori realizzati tra il 1963 e il 1967 fosse giustificata dal desiderio di ripensare le motivazioni più profonde e originali del suo essere artista". Il percorso, dunque, inanella i punti nodali di una fase embrionale della sua carriera, partendo dal tema clou dello spazio che all'inizio elabora attraverso l'uso dello specchio, come ne "Il Buco" del '63, forse un devoto riferimento a Lucio Fontana, ma con l'arbitraria combinazione di un cristallo trasparente a interstizi specchiati costruisce "una cornice fatta per catturare l'attenzione e mettere a fuoco situazioni diverse", come dice Silvia Fabro. Fruendo dello spazio come attraverso un buco, lo sguardo viene spinto a vedere contemporaneamente ciò che si riflette e ciò che traspare.

Lo specchio viene sostituito con una materia opaca nell'"In-cubo" del '66, un parallelepipedo di legno dove entrare fisicamente, concepito dall'artista per consentire a chi lo prova di rilassarsi e trovare il proprio equilibrio. "Uno spazio isolato - avverte Silvia Fabro - in cui i rumori esterni sono attutiti, il pensiero facilitato e l'attenzione diretta alla propria persona: alla percezione di se stessi nello spazio. La mostra tenta di evocare l'immensa produzione scultorea realizzata da Fabro con ogni materia possibile, dal legno al tessuto, dal ferro al piombo, dal vetro al marmo. Come il tubo di ottone del "Raccordo anulare", il tondo di cristallo impresso al centro dell'"Impronta", o ancora la lastra d'acciaio inossidabile forata industrialmente per "Foro da 8 MM", i due bracci in ferro saldati al centro l'uno sull'altro della "Croce", i due segmenti tubolari fissati a squadra fra loro. E una porzione di pavimento pulita, lucidata e ricoperta da fogli di giornale, una scatola di lamiera verniciata, collegata ad un alimentatore di corrente elettrica che aziona una valvola interna usata per espellere l'aria contenuta al suo interno, vale a dire "un meccanismo del tutto inutile, del tutto teoricamente funzionante, ma oggettivamente insulso, visivamente neutro, e tecnicamente assurdo"; come ci tiene a precisare Fabro. E persino un globo, appeso a un cavo fissato al soffitto, che segue il movimento di rotazione della terra.




Notizie utili - "Luciano Fabro. Didactica Magna Minima Moralia", dal 20 ottobre al 7 gennaio, Museo Madre, Via Settembrini, 79 Napoli. La mostra è curata da Silvia Fabro e Rudi Fuchs.
Orario: dal lunedì al giovedì e domenica ore 10.00 - 21.00, venerdì e sabato ore 10.00 - 24.00. Chiuso: martedì.
Ingresso: Intero: € 7.00, Ridotto: € 3.50, Audioguide € 4.00.
Informazioni: tel. 081 19313016.
Catalogo: Electa.


(1 novembre 2007)


da: www.repubblica.it/2007/11/sezioni/arte/recensioni/fabro-povero/fabro-povero/fabro-pov...


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