Capitolo VIII

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GildorTheKing
00lunedì 19 giugno 2006 21:17
VIII – DOVE SI RACCONTA DI UN LIUTO

“L’indomani un sottile raggio di sole lambì il mio risveglio. Ero sporco come un cinghiale, e puzzavo altrettanto. Impresentabile anche per la strada. Lì vicino doveva esserci un torrentello, lo cercai e lo trovai, per potermi liberare di tutta la sporcizia che avevo indosso, e, credetemi, fu un atto liberatorio anche a livello interiore, un qualcosa di simbolico. Lavai le mie povere e lacere vesti, e poi m’immersi nudo nelle fresche acque, che lambissero la mia pelle e che calmassero il mio cuore in tumulto. I pochi vestiti si asciugarono in fretta sotto un sole stranamente caldo per quella stagione, e notai uno stuolo improvviso di farfalle gialle volteggiarci attorno. Una volta rivestito mi fabbricai una nuova stampella, certo, un lavoro precario con gli scarsi materiali che avevo a mia disposizione, ma meglio di nulla, per un uomo nelle mie condizioni.”
Estrasse dalla bisaccia un’altra manciata di erba pipa, un aroma pungente si allungò fino al mio naso, portandomi il ricordo di terre lontane. Elend pressò bene le foglie essiccate nella sua pipa d’acero, e fece brillare la fiamma, aiutandola con generose boccate, finché la brace non fu stabile ed il fumo abbondante. Espirò un paio di anelli di fumo, poi la sua voce ruppe l’attesa.
“Ripresi il cammino di buona lena, e nel tardo pomeriggio giunsi al ridente paesello di Reah. Una cosa attirò subito la mia attenzione: la piccola bottega di un liutaio. Questi era intento a riparare alcuni strumenti, e quasi non si accorse che mi ero fatto vicino.
‘Buonsempre’ dissi il più educatamente possibile ‘Sono un viandante in cerca di cibo e di un giaciglio, in cambio offro il mio lavoro’. Non devo essere stato molto convincente, poiché l’uomo inarcò un sopracciglio e sembrò infastidito: ‘Non faccio la carità ai pezzenti, porta le tue rozze mani lontane dai miei strumenti’ rispose in tono brusco.
In fondo potevo capirlo, le mie vesti lacere e la barba incolta, l’incedere zoppicante su di una stampella di fortuna ed il volto coperto di lividi non devono essere state buone referenze, e con l’abbondare di briganti della zona la diffidenza era una legge di sopravvivenza, cinica magari, ma efficace.
‘Buon uomo, non sono solito pregare, né elemosinare, ma la vista dei vostri strumenti mi dà una gioia che il vostro cuore non può immaginare’. Le mie parole, questa volta, dovevano averlo colpito, perché mi guardò con aria strana. ‘Voi sapete suonare?’ Chiese con garbo sforzato.
‘Alla tenera età di cinque anni il mio precettore m’iniziò alla sublime arte della musica’ e senza attendere risposta presi dalle sue mani lo strumento appena accordato, ed improvvisai una melodia triste. Poi cadde pesante il silenzio, il liutaio mi guardava pensoso, ed alla fine propose: ‘Accetto di darvi alloggio e vitto, ma dovrete guadagnarli! Siete disposto a darmi una mano in bottega? Tra pochi giorni devo consegnare un grosso carico, e non mi spiacerebbe avere un aiuto da qualcuno che non bestemmi lo strumento!’ sorrise. Il primo sorriso che vidi dopo la tenebra.”
L’aria di Elend si era fatta trasognata, ma con uno sguardo ansioso lo spinsi a riprendere il racconto senza troppi indugi. “Quattro giorni mi fermai in quella casa, accordando strumenti, riparandoli, piallando e curvando scatole acustiche. Alla fina aiutai il bottegaio a caricare la merce, beh, lo aiutai come meglio potevo con la mia gamba dolorante. Avevo chiesto in prestito un coltello e mi ero accorciato la barba, quantomeno per avere un aspetto umano. Prima di partire c’era solo una cosa ancora che bramavo. ‘Buon uomo, quanto volete per quel liuto laggiù, quello in ebano scuro?’
‘Quello?’ chiese curioso lui ‘Ma quello è un rudere. Certo, la cassa armonica è ancora in buone condizioni, ma richiede molte cure, e soprattutto nuove corde. Posso darvelo per cinque monete.’
‘Ahimè, io ne ho solo tre, altro non mi rimane…’ ma non dovetti mercanteggiare nemmeno un po’, l’uomo me lo cedette per le tre monete che avevo, e non chiese altro.”
Elend estrasse da una logora tela un liuto d’ebano scuro come i corvi della notte, perfettamente lucido e tenuto con cura, dava l’idea di uno strumento d’alta qualità, che meglio avrebbe figurato tra le mani di un bardo esperto e famoso.
“Questo è lui” disse indicando lo strumento “Certo, ho dovuto faticare non poco, per renderlo come tu lo vedi adesso, e mi ci volle del tempo, ma alla fine lo riportai alla vita, e lui aiutò me a riprendermi la mia.
Abbandonato Reah continua a chiedere ospitalità e fare piccoli lavori qua e là, mi cibai di bacche e radici, e della selvaggina che riuscivo a catturare con rozze armi improvvisate, delle quali mi disfavo una volta soddisfatto l’uso. Ed ogni moneta guadagnata la spendevo per risistemare ulteriormente il mio amico, finché non fu in grado di suonare in maniera soddisfacente, permettendomi di raccogliere qualche offerta suonando per le osterie e le pubbliche piazze. Ed ancora oggi siamo insieme, come parti di un unico essere.”
E da allora Elend è un bardo in viaggio verso una nuova casa ed una nuova vita.
Amarganta
00giovedì 22 giugno 2006 09:37
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