A.MARE.LITTO

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soffio68
00lunedì 13 novembre 2006 23:56
Le stagioni andavano, con tutti i loro bagagli, ma lui era sempre lì.
Gli anni trascorsi a guardare l’immenso mare sembravano non mutare il suo sentire.
Si faceva chiamare Alex dagli amici: Alessandro era un lancio di lettere troppo lungo, ci si perdeva facilmente in quegli spazi, nove, finestre tra denti e lingua, tra vocali e consonanti, tra lui e il mondo. Alex no, era breve, uno shot, con un finale scontroso, quasi fastidioso, non avrebbe mai lasciato aria ad alcun indugio.

Io sono Alex,
per gli amici
uomo in cerca
di tregua
uomo in rotta
per l'orizzonte
uomo in rotta
con la vita
esausto.
Occhi fissi
(mi arrendo)
oltre l’immenso
tiro i remi in barca
lascio alle onde
il mio sguardo
il mare sorride
laddove
denti di corallo,
labbra di cielo
chiedo asilo
alla spiaggia
Non ho più voglia
di volare
lungo la follia
del vento.
Cuore lacero
l'amore annega
carpito dal mare


”Alessandro? Dite che sono io? E chi sono io? Alessandro? Chi lo può dire? “
Un nome non conserva nel portafoglio foto della propria anima.
La sua anima si era persa nella scia dei ricordi, aveva fermato il tempo e le ragnatele salde ricoprivano il suo volto.

Una vita vissuta a considerare il mare.
Sei un uomo di mare quando il mare ti entra nel cuore, tanto che l’orizzonte non conosce approdi, un quadro con due anime, una blu e una celeste, schizzato da croci di barche e volato da gabbiani, che cercano la fuga oltre la cornice, verso l’ignoto.

Sentiva il sapore del sale, nelle narici, come droga, e la puzza di alghe venute a morire sulla spiaggia, quasi a sbeffeggiare l’uomo che si vantava del profumo di iodio.

“Iodio, io odio, io…odio, io … o dio mio…” confessava Alex alla spiaggia regalando lettere e scarabei al vento, seduto col culo umido, con un pugno di alghe in mano e catrame sotto i piedi.
Quante volte aveva consolato il mare incazzato come una bestia schiumante rabbia, sui piedi degli assassini, sugli scogli, sulle barche di legno zuppo ed esausto, sulle reti dei pescatori ormai presi all’amo da un destino salato. Quante volte aveva cantato nenie con la sua chitarra di legnospugno al mare assassino, che ha fame di tutto ed ingoia sogni, speranze e anime.
Eppure lui non riusciva ad averne paura, lo temeva, ma non aveva paura di guardarlo tra le pieghe delle sue ingannevoli rughe. Vivere col mare o morire col mare era indifferente, l’importante era non separarsene, e alla fine avrebbe capito.
Come certe tartarughe, che possono uscire dall’acqua, ma non possono farne a meno troppo a lungo. E come loro si sarebbe esposto al pericolo di morire, impazzire, per tornarci ogni volta, come loro avrebbe rischiato la vita sfidando gli artigli di gabbiani da fast food.

Se ne stava spesso seduto su un pontile, molto triste, lui come il pontile, con la puzza di vernice ad usurpare quella delle alghe e dei pesci sacrificati alla legge delle maree. I giorni e le notti si davano il cambio come commilitoni annoiati, nulla però turbava lo strano scrutare di Alex che rimaneva a fissare l’orizzonte ripetendo per ore uno stesso arpeggio, col vento che cantava, di fronte ad una danza planata di cormorani, al margine delle ferite che il mare non vuole emarginare. Mescolava pensieri e solitudine.

Quella sera il vento si era calmato. La luna arrivava fino ai suoi piedi. Sulla spiaggia dei ragazzi chiedevano al mare solo una complicità occasionale. Alex li osservava, invidioso della loro incoscienza. Loro potevano andar via da quella spiaggia, per lui, invece, attraversare la strada sarebbe stato come tentare di rubare latte d'arancia alle tette dell'orizzonte. Impensabile. La luna lo solleticava; qualche granchio sortiva passeggiate romantiche ai lati della cravatta di raso bianco. Lui li conosceva tutti, li sentiva muoversi sulla sabbia, percepiva il ciottolare dei granelli, sentiva i loro passi e porgeva l’orecchio all’umore del mare, pronto a cogliere un conato di coscienza, un onda anomala, una voce riportata dalle onde laddove era stata presa.
Quella sera Alex percepì una gemito. Si voltò, non vide nessuno. Scrutò allora nel mare. Era arrivato il momento. Lasciò cadere la chitarra. Avrebbe giurato che era la sua voce. Si alzò, seguì la pista dei granchi fino alla grande gobba del pescatore, i piedi sentivano l’acqua friggere ossigeno.

Luna calante. Mare di fine estate. Fiore di libertà schiave del mare. Cala il sipario la notte sul palcoscenico della tragedia. C’è chi ride brindando alla vita, accecando il buio con scintille di alcool. C’è chi piange pregando la vita, bendando la ragione con scintille di lacrime.
Lei era il suo amore. Lei non c’era più, il mare, il suo mare l’ aveva portata via. Come può il tuo miglior amico far questo?

Quella notte era una notte perfetta, la spiaggia era vuota. Lei era intrigante, pelle colore desiderio, profumo di follia, baci di scirocco, e gambe come reti nelle quali morire. Quella notte lui non riuscì a dire nulla, il cuore pretese per se tutte le forze, lei invece gli svelò il suo amore, spogliandosi lentamente e accarezzandolo con le labbra. Occhi chiusi, lo sfiorava con i polpastrelli, occhi aperti, gli prendeva il viso tra le mani. Si tolse il reggiseno, gli fece sentire la forza e la forma del cuore, lo strinse a sè e lo baciò, pretendendo in cambio passione dopo, forse, una promessa di amore. L’orizzonte era tracciato dalla lingua, onde di saliva sul corpo cercavano di placare l’ira del dio dell’abisso. Quando tutto era quasi perfetto, lei si mise a correre lungo la riva, era piena di vita, vaso comunicante di un desiderio esclusivo di quel loro rapporto, il mare sarebbe stato il loro complice, li avrebbe avvolti, coinvolti, nascosti, rapiti e restituì al mondo quando il sole avrebbe preteso di non dovere gestire la magia delle tenebre. Due anime, due corpi, un solo flusso di desiderio, circolare. Scambio di umori, mani intrecciate, profumo di sudore e instancabile esigenza di sfidare gli occhi per ammettere che quella notte Alex era entrato nel suo giardino più bello non solo per sentire il sapore oppiaceo dell’orchidea segreta ma anche per gettare il seme di un amore così consapevole. Alex aveva compreso che quella notte avrebbe goduto il godibile e non avrebbe osato chiedere nient’altro alla vita, a parte amare quella donna, coltivare la sua passione e prendersi cura del suoi fiori più belli, partendo dai petali della sua bocca.

Lei entrò in acqua. E lo invito a seguirla complice la luna che illuminava la magia del suo sedere, drago sensuale, sinuoso e fragile.
Alex amava il mare ma non nel senso romantico del termine. Indugiò. L’acqua calda della notte gli metteva una strana inquietudine. “Dai vieni” ripeteva lei. Lui non diceva niente, la guardava, chiedendosi come poteva meritare anche solo di guardarla. La toccava con un dito, l’indice, coprendola per intero in prospettiva, sorrideva e la cancellava dall’orizzonte. Era estasiato dalle spettacolo di stelle affacciato sul mare blu inchiostro. Lei era il suo amore, lei lo sarebbe stata sempre di più, ed ora era bellissima nelle braccia del suo più grande amico. Un amico non può desiderare il tuo amore. Un amico non può pensare di squarciare il tuo cuore. Un amico soffre ma non fa soffrire.

Quella notte non tornò più sulla spiaggia. L’aria buia come carta carbone sporcava le idee di ipotesi nere.
Un amico non può!
Carta carbone ad urlare la paranoia. Ma lei non c’era più. Alex si tuffò, strozzando le onde. Offri in cambio prima le sue lacrime, poi brandelli di pelle, infine anche se stesso. Ma non riuscì a morire, l’istinto lo tenne tra il mare, l’aria e la vita.
Il suo amico, il mare l’aveva portata chissà dove, con scienza precisa, non l’aveva neanche sentita urlare. Il suo amico le aveva messo una mano sulla bocca e l’aveva trascinata via.
Alex chiese aiuto alle stelle, tanti punti a ribadire una fine atroce, alla luna, ai granchi, nessuno ebbe il coraggio di dirgli nulla. Tutti sapevano. Questa è la legge del mare. Lei non era più tornata. Era diventata una sirena, forse. Meglio che crederla morta.

L’amore inventa ragioni assurde, ma non accetta realtà impossibili.

“Vieni” disse la voce, “dove?” chiese Alex, “Vieni, seguimi questa volta, prendimi se ci riesci… ”
Alex si lasciò guidare dal suono quasi ipnotico di quella sensazione sonora, si tolse le scarpe, guardò i granchi, ed entrò.

“Dove sei, amore mio e tu maledetto che ne fai della mia donna? Mi hai strappato il cuore, amico mio, non farlo di nuovo. Un amico non può un amico non può un amico non può per dio non può…” pianse.

I ragazzi della spiaggia furono richiamati dal suo gridare, non capivano. Si guardarono intorno e nella confusione qualcuno si accorse che Marina non c’era più. Il falò sulla spiaggia lanciava scintille in cielo, sembrava l’ennesimo sacrificio alla fame atavica del Mare.
Alex nuotò fin dove non toccava più, guidato dalla luce della luna maschera in quel buio carbone di quel cinema sotto il mare. Vide la luce bianca disegnare diverse ombre incrociando un brulicare d’acqua, sentì un braccio, lo afferrò. Era una ragazza. Ma non era Lei. Per un attimo, un solo attimo, Alex fu deluso, poi si rese conto dell’assurdità di quello spigolo emozionale e iniziò a nuotare verso riva, cercando di svegliare la giovane.
Quando l’adagiò sulla spiaggia lei vomitò acqua, vodka e giovane stupidità.
Alex fu felice di saperla viva, i ragazzi lo ringraziarono. Lui non disse nulla, proprio come quella notte, semplicemente tornò al pontile. Raccolse la chitarra e andò verso la sua baracca.
Quella notte fece pace con il mare.
“Conosco la tua fame, amico mio. Il mio cuore è ferito, ma stasera l’ho sentito di nuovo battere, amare la vita. Ho visto gli occhi di quella ragazza. E ho capito che come li ho desiderati io, così li hai desiderati tu. Non è vero maledizione che un amico non può. L’amore giustifica razzie e azioni vigliacche, amico mio l’hai amata a modo tuo. Non è vero che un amico non può. La ragione non può comprendere. Ho il cuore snervato, amico mio eppure stasera l’ho sentito di nuovo stringersi nelle sue fibre. Avrei voluto rapirla sai, avrei voluto portarla con me, ma io non sono forte come te, io non sono il mare, io sono Alex e non ci sto capendo più nulla, maledizione, che dio mi perdoni e perdoni anche te, che non sai chiedere scusa.”

Smise di parlare, poi, fasciato di solitudine iniziò ad arpeggiare la sua chitarra. Il vento fra le mani, su uno scoglio una nuvola scolpiva l’idea di una sirena, la sua voce si aggrappò al vento e fuggì via. Alex si fermò per ascoltare il silenzio della sua anima che non urlava più. Poi improvviso un rumore, la percezione di un’ombra. La lampada aveva litigato con le farfalle e danzava col vento regalando strane ombre alla spiaggia, in un tratto nell’altalena di luce sembrò che lui stesse adombrando lieve l’idea di un suo desiderio: gambe piccoline, capelli neri, una maglietta bagnata e un sorriso che sembrava continuare la linea del suo orizzonte preferito di mare nuvoloso al tramonto.
”Ciao, io sono Marina, volevo ringraziarti”
Alex la guardò e posò la chitarra. Senti la forza dell’oceano lavargli via le ultime schegge di quella notte dal cuore. La ferita faceva ancora male, ma sembrava finalmente disposta a farsi curare.
”Io sono Alex..sandro… e che ci credi o no, beh anche tu stasera hai salvato la mia vita.”.
“Li hai mai visti i granchi giocare ad acchiapparella con la luna?”
”No” disse la ragazza, divertita…
”Vieni, ti porto io…e poi ti presento il mio più caro amico…

Io sono Alessandro
col vento nuovo
a soffiarmi nella vita
esausto e fausto.
Occhi fissi
(mi concedo)
all'orizzonte
scarabocchio coi remi
sull'acqua
parole staccate
lascio alle onde
il mio segreto
riparo il mio cuore
con bava di rabbia
Non ho più voglia
di volare
lungo la follia
del vento
cammino
lungo la marina
il cuore nuovo
spugna speranza
rapito dal mare
torno con collane
di granchi
per pizzicarmi
e sentirmi vivo
di nuovo:
ti perdono amico mio
ora voltati
che l'orizzonte mi appartiene





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Nulla al mondo è normale.
Tutto ciò che esiste è un frammento del grande enigma...
Anche tu lo sei...
Noi siamo l'enigma che nessuno risolve.

Platone

[Modificato da soffio68 14/11/2006 0.00]

dadauuumpa
00martedì 14 novembre 2006 00:10
bellissimo il pezzo, e bellissimo ritrovarti

se mi posso permettere, ti trovo cresciuta, in tanti sensi ..
Anche la tua scrittura mostra, sempre intensa, mostra più maturità....
bella anche la metafora sulla rinascita.....

ti abbraccio kati



Nina
beren erchamion
00martedì 14 novembre 2006 22:22
ciao katy ben tornata [SM=g27822] bellissimo questo racconto,emozionante e musicale
R.Daneel Olivaw
00mercoledì 15 novembre 2006 22:51
davvero bello è un piacere leggerti
soffio68
00domenica 19 novembre 2006 21:47
Re:

Scritto da: dadauuumpa 14/11/2006 0.10
bellissimo il pezzo, e bellissimo ritrovarti

se mi posso permettere, ti trovo cresciuta, in tanti sensi ..
Anche la tua scrittura mostra, sempre intensa, mostra più maturità....
bella anche la metafora sulla rinascita.....

ti abbraccio kati



Nina



Si Nina, sono cambiate molte cose, e questo ha avuto un riflesso positivo sulla mia scrittura...
Un bacio. e grazie...

grazie a tutti

Katy
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