Due parole

Non capire mi fa sentire oltremodo frustrata. E stupida.
Il silenzio viene di conseguenza. Naturale e logica.

Come se il silenzio fosse un lusso che solo qualcuno si può concedere.
Perché io no? Perché non posso non tacere?
Io parlo a modo mio, anche attraverso quello,
un giorno un caro amico di Milano me lo ha detto.
Mi ha detto che quando taccio...io urlo.
Aveva ragione in quella situazione,
è quando si è tanto feriti da non aver la forza di parlare.
E il nostro dolore passa attraverso l'aria arrivando ovunque.
Persino dove non vorrebbe andare.

Càpita anche quando si crede che l'altro non voglia o non possa ascoltarci,
e quando non ci si sente amati...ci si chiude in se stessi.
A me succede. Come a tutti.

Io non do per avere.
Qualcuno mi ha detto un giorno: "Ti voglio bene perché mi vuoi bene".
Di primo acchito può sembrare una frase inaccettabile,
ma dietro c'era tutta una spiegazione particolare, forse pure condivisibile,
che io ho capito in séguito...e solo in parte, aggiungo.
Ora gli chiederei: "E quando io non sento che mi vuoi bene...che cosa dovrei fare?
Dire, pensare, e credere?"

L'ho scritto: mi tocca sempre la parte della buona e comprensiva.
Quella che ama al di sopra di ogni cosa.
Questo male che ho dentro ne è una prova, del resto.
Essere sempre a disposizione di qualcuno, anche di chi completamente mi ignora.
Non è un'esigenza altrui un po' eccessiva?
Che io debba accettare tutto come viene, senza tenere in conto neanche me stessa?
Mi sembra un'assurda quanto "orribile" pretesa.

Ho sempre creduto che bastasse un gesto, lo credo ancora.
Ma di 1000 cose sbagliate o inutili da fare, quell'unica giusta non è stata fatta.
Il motivo? Non ne ho idea.
Sarà perché ognuno vive i sentimenti come gli pare, a seconda del cuore che si ritrova in petto.
Di certo io so che il mio batte troppo forte, al punto da temere che scoppi qualche volta.

C'è una cosa che non ho mai compreso, perché è fuori da ogni logica.
In ogni tipo di rapporto, intendo...proprio in qualunque tipo di rapporto in cui esista dell'affetto.
L'impossibilità, a volte, di poter dire a chi ci vuole tanto bene (o almeno a chi dice di volerne)
ciò che sentiamo: che si tratti di un nostro disagio per una mancanza avvertita,
o che sia per un nostro personale dispiacere che viviamo in quel momento.
Può essere per tutto, adesso non importa cosa o quanto,
conta il perché non ci si possa sentire liberi di manifestarlo

Nel senso...dovrebbe essere la normalità assoluta questa, a chi confidare certe sensazioni, sennò?
Se non a chi si definisce portatore sano di cotanto affetto?
Chi meglio di quella persona potrà comprenderci?
E se non ci comprende...sarà almeno disposto a metterci impegno per riuscirci,
o cmq per ascoltarci, senza fatica pure, perché il suo affetto per noi ci rende,
presumibilmente almeno, suo interesse primario (primario in quel caso, ovviamente).
Se non primario...almeno interesse di certo, e gli verrà spontaneo sostenerci, aiutarci...
a capire anche noi stessi, e a incontrarsi...incontrarci dentro e insieme, intendo.

E ora...perché quest'apertura mia, di cui non vedo il senso?
Perché farmelo fare così...quando c'è quell'unica maniera giusta per farlo?

Oggi pensavo a questo: a chi non ha paura.
Ci sono persone a cui manca, tra tutte le paure inutili e assurde che hanno, quella che invece è più importante.
E che sarebbe bene avere, almeno ogni tanto, anche inconsapevolmente.
Piccola magari, latente, nascosta, di quelle paure che non disturbano,
se ne stanno sempre quiete ad aspettare...per farsi sentire al momento più opportuno,
quando devono servire per comprendere qualcuno.
E' l'unica paura che, vista e vissuta così, è alleata dell'amore.

Io ce l'ho persino ora, mentre taccio...pur non sembrando io taccia.
Il silenzio è davvero un lusso?
Che poi...sarebbe bastato quel gesto.
Inutile dirlo, vero? Se non viene spontaneo, intendo.
Lo so bene questo, perciò è un silenzio che mi costa tanto.

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